Skip to content

Azione repressiva applicabile anche col silenzio assenso consolidato nelle pratiche edilizie

La Cassazione conferma il principio per cui il superamento dei termini ordinari di verifica dei requisiti di DIA/SCIA non incide il potere sanzionatorio.

Con la sentenza n. 19616/2017 la terza sezione di Cassazione Penale analizza una fattispecie di abuso edilizio inerente un cambio di destinazione d’uso ritenuto illegittimo dall’autorità preposta a vigilare gli abusi edilizi.

Anche in questo caso si ripropone il tema scottante sugli scenari e conseguenze successiva alla presentazione di una pratica edilizia soggetta al silenzio assenso, in particolare delle DIA e SCIA, qualora queste non siano perfettamente legittime e in possesso di tutti i requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge.

Occorre rammentare quanto espresso in altri articoli, per una migliore comprensione.

L’art. 19 della L. 241/90 prevede che la DIA abbia natura di atto privato e non di provvedimento amministrativo, in quanto non è espressione di una potestà pubblicistica (Cass. Pen. III 19616/2017).

Dalla presentazione della DIA inizia la decorrenza del termine dei trenta giorni entro i quali la PA poteva/doveva effettuare le verifiche dei requisiti formali e sostanziali, quindi la sussistenza dei requisiti di conformità alla strumentazione urbanistica locale e alla disciplina normativa vigente, nonchè gli eventuali presupposti per avviare i lavori come nulla osta e atti di assenso comunque denominati.

Decorso tale termine di trenta giorni, si apre un secondo periodo, recentemente individuato in 18 mesi, entro i quali la PA può agire in autotutela e annullare quella procedura consolidatasi col silenzio assenso, vedi DIA e SCIA, ovviamente a certe condizioni in cui vi è in gioco l’interesse pubblico e quant’altro (vedi approfondimento).

A prescindere dal periodo di autotutela, la decorrenza dei primi trenta giorni non pregiudica il potere-dovere del Comune e dell’autorità giudiziaria di intervenire sul piano sanzionatorio nel caso in cui le opere realizzate a seguito della presentazione della D.I.A. risultino invece sottoposte alla disciplina del permesso di costruire (Cass. Pen. III 19616/2017, n. 10740/2014).

Un caso rilevante e verosimile potrebbe essere la “questione Tornabuoni” di Firenze

In sostanza l’esercizio di poteri inibitori e repressivi, scaduto il termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA (e SCIA), deve ritenersi ammissibile nei limiti di cui agli art. 21 -quinquies e nonies della predetta legge (Consiglio di Stato, sez. VI n. 717 del 09/02/2009).

Ne consegue che, a maggior ragione, il termine di trenta giorni non impedisce l’esercizio dell’ordinario potere sanzionatorio-repressivo per ogni trasformazione edilizia contrastante con la disciplina urbanistica.

Come dire: decorsi trenta giorni e formatosi il silenzio assenso, anche a prescindere dall’autotutela, non è menomato il potere sanzionatorio e repressivo del Comune verso il responsabile dei supposti abusi.

Ad oggi non c’è certezza se il lungo decorso del tempo dalla presentazione di una DIA/SCIA possa essere in grado di garantire la formazione di un provvedimento amministrativo tacito “inattaccabile”.

Facciamo un esempio pratico: se negli elaborati grafici di una DIA fosse stato scritto che il rapporto illuminante di una stanza non rispettasse il minimo del rapporto 1/8, è comunque legittimato nonostante in palese contrasto col DM 15/07/1975 e col regolamento edilizio locale?

A quanto pare non si concretizza tale salvezza.

Tant’è che la questione sta andando al vaglio anche sul piano della legittimità costituzionale o meno (leggi approfondimento).

Tutti i diritti sono riservati – all rights reserved

carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
CONTATTI E CONSULENZE

Articoli recenti

Torna su