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La legge sul procedimento amministrativo omette la possibilità di impugnare i titoli formatisi con silenzio assenso.

A quanto pare molto presto verrà sciolta la più importante incognita pendente sulle pratiche edilizie depositate

Potrebbe comportare una svolta epocale, a prescindere dal pronunciamento che verrà espresso, il tutto relativamente alla certezza dei provvedimenti amministrativi.

Da circa un ventennio, anno più, anno meno, in Italia le opere edilizie cosiddette “minori” sono consentite tramite deposito di pratiche edilizie rientranti nel regime comunicativo soggette a silenzio – assenso.

La più gettonata in questo arco di tempo, e anche l’unica fino al 2010, è stata la Dia, ovvero Denuncia Inizio Attività; dal 2010 ha visto “invadere” e sostituirsi gradualmente il campo applicativo con la SCIA e le relative Comunicazioni Inizio Lavori.

Soprattutto la DIA e la SCIA, sono soggette ad un termine di silenzio assenso, entro il quale l’ente competente a vigilare sull’assetto del territorio (Comune, principalmente) può agire secondo procedura, inibendo o sospendendo i lavori qualora riscontri la mancanza dei requisiti e presupposti, sia formali che sostanziali.

Tanto per farla breve, i presupposti principali reggenti le DIA e SCIA sono:

  • conformità alla disciplina urbanistica vigente (normativa);
  • conformità alla disciplina e strumentazione urbanistico/edilizia comunale;
  • presenza dei necessari atti abilitativi complementari/settoriali;
  • istituto dell’asseverazione del professionista e committente, perseguibile penalmente come falsa attestazione;

A differenza del classico “permesso” rilasciato dal Comune, le Dia e Scia sono titoli abilitativi di natura privata, che producono gli stessi effetti del tradizionale titolo rilasciato, ovvero consentire l’esecuzione dell’opera o intervento.

Addirittura è possibile effettuare interventi di notevole respiro quali nuove costruzioni, ristrutturazioni edilizia “sostanziali” e ristrutturazioni urbanistiche, qualora ricorrano ulteriori specifici presupposti, il tutto mediante deposito della c.d. DIA (o SCIA) alternativa al Permesso di Costruire.

Un breve video sull’Autotutela:

Cosa succede se la compilazione della pratica edilizia DIA/SCIA non venga o sia stata controllata entro i termini previsti dalla norma, ovvero nei primi trenta giorni? 

Si entra in quel periodo giuridicamente definito come “autotutela”, ovvero il periodo entro il quale la PA può annullare d’ufficio il provvedimento amministrativo illegittimo (art. 21-nonies della L. 241/90), a condizioni che:

  • sussistano pericolo della tutela dell’interesse pubblico;
  • entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi;

Il conteggio dei diciotto mesi decorre dall’adozione del provvedimento di autorizzazione, attribuzione vantaggi economici e dal consolidamento del silenzio-assenso.

In tutto questo va precisato quanto statuito dall’art. 19 comma 3 L. 241/90, specifico sulla SCIA e pressoché applicabile per la DIA (soprattutto a partire dalla L. 15/2005), che 

Le ragioni di interesse pubblico oggi sono inquadrate in quelle vertenti materia di:

  • ambiente;
  • paesaggio;
  • beni culturali;
  • salute;
  • sicurezza pubblica;
  • difesa nazionale;

Cosa succede in presenza di attestazioni non veritiere, o falsa attestazione

Il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge è annullabile da parte della PA con un proprio atto.

Questo vale anche per DIA e SCIA, in quanto atti di natura privata che assumono valore di provvedimento amministrativo con l’istituto del silenzio-assenso.

Essi possono essere annullati d’ufficio sussistendone le ragioni di interesse pubblico entro un termine ragionevole non superiore a diciotto mesi, tenuto conto del bilanciamento dei contrapposti interessi privati (affidamento) e dei controinteressati (art. 21-nonies L. 241/90).

Adesso arriva il bello.

E se tali DIA/SCIA sono state effettuate sulla base di false rappresentazioni dei fatti, dichiarazioni sostitutive false o mendaci?

In tal caso secondo l’art. 21-nonies comma 2-bis L. 241/90 la PA può annullare anche dopo il termine di diciotto mesi.

Quindi, in caso di falsa attestazione di una DIA o SCIA, “non si fa mai franca”.

Rimane tuttavia una sorta di limbo e contraddizione della normativa, sulla quale la giurisprudenza si sta altalenando un poco.

Qualcosa sta per cambiare, o quanto meno è destinato a subire una sterzata sulla certezza dei titoli e atti amministrativi.

In sostanza, quali sono termini e rischi di “tornare sopra” una pratica edilizia pregressa

Nella giurisprudenza del Consiglio di Stato appaiono individuabili due contrapposti orientamenti (cfr. Cons. di Stato IV Ord. n. 1830/2017).

Di seguito, senza pretese di completezza, sono sinteticamente esposti:

  • Minoritario:
    in riferimento a provvedimento di annullamento in autotutela di una concessione in sanatoria, e rispetto alla stessa formulazione dell’art. 21-nonies, cit. applicabile ratione temporis, si è ritenuto che il potere di annullamento ha un presupposto rigido (l’illegittimità dell’atto da annullare) e due presupposti riferiti a concetti indeterminati, affidati all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione (la ragionevolezza del termine di adozione dell’atto; la sussistenza dell’interesse pubblico alla sua rimozione unitamente alla considerazione dell’interesse dei destinatari). Il fondamento di questi due ultimi presupposti è stato individuato nella garanzia della tutela dell’affidamento dei destinatari in ordine alla certezza e stabilità degli effetti giuridici, mediante la valutazione discrezionale della amministrazione nella ricerca del giusto equilibrio tra ripristino della legalità violata e conservazione dell’assetto regolativo del provvedimento viziato. Esigenze rafforzate dalla novella del 2015, con la fissazione del termine ragionevole in quello massimo di 18 mesi, valevole come indice ermeneutico (CdS, sez. VI, n. 341 del 2017);
  • Maggioritario:
    ripreso anche nella vigenza dell’art. 21-nonies cit. (CdS, sez. IV, n. 2885 del 2016; ibidem, n. 4619 del 2012) – secondo il quale il provvedimento di annullamento di concessione edilizia illegittima è da ritenersi in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata, atteso che il rilascio del titolo edilizio comporta la sussistenza di una permanente situazione contra legem e di conseguenza ingenera nell’amministrazione il potere-dovere di annullare in ogni tempo la concessione illegittimamente assentita (CdS sez. IV, n. 3660 del 2016; CdS, sez. V, n. 5691 del 2012). In questo filone giurisprudenziale, per esonerare dalla comparazione tra interesse pubblico e interesse privato, spesso, assumono rilievo le indicazioni fuorvianti o false della parte istante, che avevano determinato l’illegittimità del provvedimento annullato (n. 3660 del 2016 cit.). Invece, la motivazione sulla comparazione degli interessi è richiesta quando l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all’amministrazione (n. 5691 del 2012 cit.). In particolare, in fattispecie nelle quali era applicabile il 21- nonies, cit. si è ritenuto che, se è stata rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, tale circostanza costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto. Si è poi ritenuto del tutto inconferente, nell’economia della causa, il richiamo dell’appellante alla disciplina contenuta negli artt. 21- octies e 21- nonies della legge n. 241 del 1990, perché proprio la falsa rappresentazione della realtà, rendeva necessitata e vincolante l’adozione, da parte dell’amministrazione comunale, del provvedimento di annullamento in autotutela, il cui contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (n. 4619 del 2012 cit.).

In estrema sintesi:

l’avvenuto decorso del ragionevole periodo temporale (diciotto mesi oggi) è sufficiente a ingenerare l’affidamento nel privato anche violando il principio/presupposto della legalità urbanistica?

E’ un pò come presentare una DIA in cui un proprietario, assieme al tecnico, dichiara falsamente che l’immobile oggetto di ristrutturazione non ricade in area paesaggisticamente vincolata.

L’atto endoprocedimentale o complementare dell’Autorizzazione paesaggistica è un requisito essenziale che perfeziona e consolida il Silenzio Assenso della DIA/SCIA, motivo per cui in sua mancanza l’atto DIA/SCIA non si è perfezionato, e la decorrenza del silenzio assenso non ha mai avuto inizio o efficacia.

Il contrasto giurisprudenziale di cui sopra è stato inviato alla convocazione in Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, e verterà allo scioglimento di esso, in particolare dovrà esprimersi in maniera congrua e motivata se il ripristino della legalità violata rientri nella sfera di interesse pubblico, soggetta nella c.d. Autotutela, anche e soprattutto se intervenga a notevole distanza temporale dalla commissione dell’abuso stesso.

Particolare interesse sarà la posizione giurisprudenziale che verrà assunta dal CdS, finalizzata a consentire un legittimo provvedimento di annullamento in Autotutela anche dopo diciotto mesi solo nel caso di falsa rappresentazione dei fatti/presupposto accertate con sentenza penale passata in giudicato (Sic. Cons. di Stato VI ord. n. 1830/2017).

In tale ipotesi l’ulteriore ambito temporale di autotutela si estende nei limiti consentiti dalla prescrizione penale?

Sapremo quindi se e quali termini temporali saranno necessari per ricadere nell’inferno o paradiso, urbanisticamente parlando.

P.S: mi sbilancio scrivendo che a mio avviso prevarrà l’orientamento maggioritario.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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