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Rimuovere abusi e ripristinare la costruzione autorizzata potrebbe portare ad una contraddizione

Non è la prima volta che affronto le diverse storture e controsensi che si vengono a creare con l’applicazione della disciplina urbanistico edilizia, prima tra tutte il DPR 380/01.

Le contraddizioni aumentano sopratutto quando si devono applicare congiuntamente le svariate norme di settore e speciali aventi incidenza urbanistico edilizia: antisismica, acustica, risparmio energetico, vincolistica, eccetera.

Poche settimane fa ho evidenziato i paradossi che possono nascere dall’applicazione della sanzione pecuniaria in sostituzione della mancata demolizione degli abusi edilizi (Fiscalizzazione), di cui consiglio lettura.

Adesso vorrei affrontare un altro paradosso che nasce quando al committente viene contestata la presenza dell’abuso edilizio, e il conseguente ordine di demolizione e rimessa in pristino emesso ai sensi dell’art. 31 del DPR 380/01.

LA STORIA CAPITATA AL CLIENTE CON L’ABUSO PARZIALE

E’ un caso che ho esaminato di recente e degno di condivisione, affinchè il legislatore nazionale provveda a inserire strumenti e soluzioni nel Testo Unico Edilizia.

Il proprietario odierno ha una villetta unifamiliare, libera su tutti i lati e situata dentro al lotto, classica tipologia edilizia a due piani fuori terra.

Essa è stata autorizzata con licenza edilizia del 1960, con un altezza massima in gronda pari a sette metri; sennonchè durante la costruzione il sottotetto è stato posizionati con maggiore altezza pari cinquanta cm. Praticamente configura una parziale difformità dal permesso di costruire, secondo il vigente art. 34-bis del DPR 380/01.

Tale difformità non risulta sanabile per mancato rispetto della doppia conformità imposta dall’art. 36 DPR 380/01. Infatti l’altezza effettiva supera ben oltre le tolleranze odierne (2%) quella massima ammissibile dall’allora vigente Piano Regolatore comunale, diventando condizione sufficiente per non rispettare la doppia conformità.

Se non sai cosa intendo per doppia conformità, rinvio a questi utili articoli.

Sono emersi pure dubbi condivisibili che tale illecito edilizi si potesse “fiscalizzare”, cioè mantenerlo pagando una discreta sanzione pecuniaria: infatti era difficile sostenere il pregiudizio statico strutturale dell’immobile per la rimozione dell’abuso, in quanto era interamente in muratura. In altre parole, non era dimostrata l’irreversibilità del ripristino dello stato legittimo dell’immobile.

Il proprietario non si perde d’animo, decide di seguire per filo e per segno la normativa, e quindi “abbassare” copertura e sottotetto alle misure autorizzate nella licenza edilizia di molti decenni fa.

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Ed ecco apparire il paradosso.

L’ingegnere strutturista fa presente che il nuovo tetto “ribassato” a quota legittimata deve rispettare le vigenti normative antisismiche (NTC 2018), e depositare anche la struttura all’ex Genio Civile. Mica si può ricostruire l’originario tetto mediante tecniche, spessori, materiali e grado di sicurezza del 1960, chi si prende la responsabilità in caso di crolli e lesioni future?

Ma anche il Termotecnico dice la sua: spostare il tetto per rifarlo più in basso comporta comunque il rispetto della vigente normativa di efficientamento energetico, cioè L. 10/1991 e D.Lgs. 192/2005, pertanto va comunque prevista la posa di isolanti termici con adeguati spessori.

In sostanza, se l’originario tetto autorizzato aveva uno spessore di 18 cm, l’attuale copertura da ripristinare secondo normativa sfiora i 36 cm, praticamente il doppio.

Il proprietario arriva a bloccarsi a questo bivio decisionale:

  1. Non potrebbe effettuare la demolizione dell’abuso e rimessa in pristino “fedelissima” alla licenza edilizia, perchè devono essere rispettate norme tecniche sopravvenite e più restrittive;
  2. Non potrebbe effettuare la rimessa in pristino con modifiche rispettose delle norme tecniche vigenti, perchè probabilmente non rispetterebbe i parametri urbanistico edilizi in doppia conformità ad oggi e all’epoca dell’abuso. Ma anche volendo rimanere in sagoma e volumetria autorizzata, “scendendo” la posa della copertura, si andrebbe a ridurre le altezze interne, e altri parametri, e quindi creando una nuova difformità rispetto alla licenza originaria.

Quindi, diventa impossibile applicare la rimessa in pristino, tralasciando comunque i costi dell’operazione qualora fosse possibile.

Infatti il nostro ordinamento normativo non ammette:

Conclusioni e consigli

Provo a tirare le fila, ma mettendosi nei panni del proprietario si capisce subito che la normativa vigente contiene ancora dei bug da risolvere con urgenza. Anche volendo adempiere, il cittadino onesto rischia di trovarsi a pagare costi assai pesanti rispetto ai benefici derivabili dalla rimessa in pristino.

Ma non solo: ritengo di aver dimostrato che in buona parte dei casi l’ottemperenza all’ordinanza di demolizione dell’abuso e la rimessa in pristino “fedele” dello stato legittimato potrebbe portare ad una situazione peggiorativa (es. antisismico) oppure comporti automaticamente ad effettuare un altro abuso edilizio rispetto alla licenza edilizia originaria.

Pertanto consiglio al legislatore di rivedere l’intero istituto della sanatoria affinchè possa fornire nuovi strumenti risolutivi, perchè non siamo più negli Anni Ottanta.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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