Cambiamenti funzionali, sociali e tecnologici hanno svilito gli insediamenti antichi fino al degradoa
Senza norma statale alcune regioni provano a limitare il consumo del suolo
Il tema della riduzione del consumo del suolo è ancora arretrato rispetto alla reale esigenza del territorio
Mentre l’iter dell’approvazione della legge sul consumo del suolo annaspa, l’Italia ogni giorno divora quantità di suolo a ritmi vertiginosi.
Come al solito la classe dirigente politica italiana si dimostra insensibile o addirittura inadatta a legiferare la complessa materia del Governo del Territorio, per la quale emana troppo spesso in ritardo provvedimenti inadeguati, formulati in maniera capziosa e in contrasto tra le varie discipline edilizie settoriali.
Ad ogni corso che svolgo non faccio a meno di sottolineare che le diverse discipline settoriali edilizie e urbanistiche siano scoordinate tra loro come termini, dizioni e formulazioni: ma questo leggendario “glossario”, che doveva uscire pochi mesi dopo il Regolamento Edilizio Tipo, si può sapere che fine ha fatto?
Non si sa. La stessa domanda vale anche alla proposta di legge sul consumo del suolo.
Il suolo è una risorsa non più riproducibile.
Ad oggi 2 gennaio 2018, col parlamento ormai sciolto come neve al sole, la proposta ha ricevuto solo l’approvazione della Camera, quindi si dovrà attendere la prossima mossa di approvazione del Senato, salvo complicazioni ed emendamenti.
Come molte normative nazionali in materia urbanistica, antisismica e sul governo del territorio, anche questa giunge ritardataria rispetto ai reali obbiettivi e necessità di tutela di un territorio vulnerabile.
Il tempo passa e si avvicina a passi spediti l’obbiettivo stabilito dall’Unione Europea del consumo di suolo pari a zero, da raggiungere entro l’anno 2050, attraverso una riduzione progressiva vincolante, in termini quantitativi, del consumo di suolo a livello nazionale, come recita l’art. 3 comma 1 del disegno di legge 2383.
A parte il fatto che la riduzione del consumo del suolo non si raggiunge solo in termini quantitativi, ma anche in termini qualitativi: si rischia infatti di avere un approccio già sorpassato in partenza, ripetendo lo stesso errore compiuto per gli standard urbanistici adottati col DM 1444/68, poco flessibili e improntati ad “un tanto al chilo” come dal macellaio.
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Nell’attesa della norma nazionale alcune regioni diventano avanguardiste.
Toscana e Lombardia si sono spinte coraggiosamente avanti in questo senso, promulgando legislazioni regionali che, attraverso i propri strumenti di pianificazione territoriali, apportano strategie per ridurre il consumo del suolo sopratutto di quello inedificato.
La Toscana in tal senso ha riformato il proprio PIT con valenza paesaggistica promulgando la L.R. 65/2014, che sollevò non poche polemiche; la Lombardia in maniera similare, ha provveduto a promulgare la L.R. 31/2014.
Una regione che si spinge ad emanare una propria legislazione in questo senso, intende revisionare la propria strategia di sviluppo territoriale arrivando perfino a comprimere l’intero impianto dei diritti edificatori.
La difficoltà principale di questi due provvedimenti legislativi regionali, in particolare, è stato il primo regime transitorio, quello deputato a rendere più mite il passaggio da un paradigma edificatorio “tradizionale” a quello più limitante.
Si passa infatti da un regime in cui il Comune, da principale decisore dei diritti edificatori e assetto territoriale, diviene co-attore assieme alla regione, entrando in un’ottica di co-pianificazione orizzontale.
In certi casi le difficoltà applicativi emergono proprio nelle prime fasi transitorie.
Nel caso del regime transitorio introdotto dall’art. 5 della L.R. Lombardia n. 31/2014, dettante criteri per la cd. riduzione del consumo del suolo, sembra si sia concretizzata una illegittima compressione delle potestà urbanistiche comunali.
Tale dubbio è emerso dalle conclusioni della recente sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV n. 5711 del 4 dicembre 2017, il quale ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento ai principi di sussidiarietà (artt. 5, 114 e 118 Cost.) e di riserva alla legislazione esclusiva statale delle funzioni fondamentali del comune (art. 117, comma 2, lett. p), Cost.).
Non si entra in questa sede per approfondire il caso specifico, limitandosi tuttavia a sottolineare che l’innovativa presa di posizione delle regioni sul tema del consumo del suolo rischia di aprire scenari sul versante della costituzionalità.
Infatti ancora oggi la legislazione nazionale in materia di pianificazione territoriale manca di una disciplina organica, aggiornata e coerente con le legislazioni regionali e delle province autonome.
Venendo a mancare un modello nazionale di riferimento, ogni modello regionale ancorché innovativo e in linea con gli obbiettivi europei di tutela del territorio, rischia di entrare perfino in contrasto con quella nazionale sovraordinata.
Un altro bug da eliminare quanto prima.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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