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Il diritto a mantenere distanze tra costruzioni è legato al mantenimento dei manufatti

La normativa urbanistica italiana sulle distanze tra costruzioni prevede due distinti regimi di mantenimento o adeguamento di esse

Negli interventi edilizi sostanziali l’attuale ordinamento dispone espressamente che tra le nuove costruzioni con pareti finestrate debba intercorrere la distanza minima assoluta di 10 m, termine che viene anche definito come distacco.

In particolare il decreto ministeriale 1444/1968 impone questa prescrizione, con l’articolo 9 riguardante i limiti di distanza tra fabbricati.

Si tratta di un provvedimento finalizzato a tutelare l’aspetto igienico sanitario, come materia di interesse pubblico prevalente sugli interessi edilizi privatistici.

A questo punto occorre anche dire che la normativa non prevede espressamente simile prescrizione o disciplina per le ristrutturazioni edilizie rilevanti per edifici realizzati prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto.

Da qui nasce il frequente dubbio amletico quando un edificio debba essere ristrutturato integralmente con modifiche alla sagoma e involucro, con o senza eventuale spostamento della sua superficie coperta all’interno dello stesso lotto di riferimento.

Adeguare la distanza tra costruzioni durante le ristrutturazioni “pesanti” ?

La conservazione del diritto a mantenere una distanza inferiore a quella prescritta dalla norma (o da fonti secondarie o regolamentari locali) tra edifici realizzati prima di essa, effettuando demolizione parziale o totale e ricostruzione degli stessi, passa per la difficile distinzione fra la categoria della ristrutturazione e quella della nuova costruzione.

In questo caso l’ordinamento italiano non conosce mezze misure, per cui consente di mantenere “diritti acquisiti nel Medioevo” fintanto ché non si muove una foglia;  al momento di una modifica rilevante, scattano tutti gli obblighi di adeguamento assoggettando l’immobile alla disciplina di nuova costruzione.

La normativa non vieta di apportare modifiche (non incidenti su sagoma) ad un edificio collocato ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme e regolamenti sopravvenuti; tuttavia non considera come ragione di deroga alla disciplina sulle distanze il solo fatto che nella stessa collocazione di un fabbricato preesistente venga eretta (previa sua demolizione) altra costruzione completamente diversa per caratteristiche ed ingombro.

Come spesso accade, negli interventi sul patrimonio edilizio esistente è necessario procedere alla demolizione parziale dell’involucro, a causa di condizioni di degrado per motivi strutturali, igienico-sanitari, e per garantire le sacrosante nuove prestazioni di risparmio energetico e isolamento acustico.

In certi casi invece le diffuse condizioni di degrado e di precarietà di un manufatto possono portare il progettista a scegliere la via della demolizione integrale del manufatto, con contestuale sostituzione edilizia con un altro manufatto diverso dal precedente, oppure procedere alla sua ricostruzione fedele e integrale.

Sostituire l’attuale organismo edilizio con uno diverso rientra nel regime di nuova costruzione

La sostituzione edilizia, intesa come demolizione integrale con ricostruzione diverso organismo dal precedente, è fermamente equiparata al regime di nuova costruzione, e ovviamente deve sottostare al rispetto di tutte le discipline urbanistiche e settoriali come se fosse realizzata per la prima volta.

Torniamo al caso della ristrutturazione edilizia prettamente finalizzata a mantenere sul posto una sagoma preesistente.

E’ ben nota la prassi “non ortodossa” pianificata e praticata da taluni, allo scopo di aggirare il prescritto adeguamento alle distanze legali; tale prassi viene attuata durante l’esecuzione di ristrutturazioni conservanti la sagoma in linea teorica, ma che di fatto procedono alla demolizione parziale o perfino integrale delle murature, sagoma e involucro sotto mentite spoglie.

Lo scopo evidente è quello di dover evitare arretramenti e adeguamenti alle distanze legali dai confini e dalle costruzioni frontistanti , operando sistematiche demolizioni e immediate ricostruzioni di porzioni edilizie, sia per piccoli passi (scuci e cuci) sia in maniera andante.

Si tratta di una tattica che vuole eludere  e sottrarre al regime di adeguamento delle distanze tra costruzioni per le ristrutturazioni incidenti sulla sagoma preesistente, anche se non alteranti lo spostamento di paramenti murari.

Facciamo un piccolo esempio: è necessario operare una ristrutturazione edilizia di un immobile costruito nel 1962 distante circa quattro metri dall’edificio confinante; tuttavia per effettuare un deciso intervento di adeguamento e consolidamento strutturale è necessario demolire l’intera porzione perimetrale che si affaccia proprio verso l’edificio confinante.

L’alternativa corretta sarebbe demolire e arretrare alle nuove distanze tra costruzioni

Ai non addetti ai lavori può sembrare assurdo che in tale ipotesi il proprietario dell’immobile debba provvedere a demolire questa porzione con arretramento alla distanza minima prescritta, cosa che in molti casi non è possibile a causa della forma e superficie dei lotti edificati.

Oppure, in alternativa, si ripete che potrebbe scaturire la “scelta obbligata” di effettuare sostituzione parziali consecutive dell’edificio, operando localizzate demolizioni e immediate ricostruzioni delle pareti perimetrali e solai con lo scopo evidente di dimostrare, seppure apparentemente, che il manufatto ha mantenuto integralmente la sua fisionomia legittimata in precedenza.

Oltre ad essere una scelta poco efficace da un punto di vista della sicurezza di cantiere e di efficacia strutturale, potrebbe presentare problemi di legittimità urbanistica durante l’esecuzione del cantiere nonché anche in seguito.

Infatti le caratteristiche costruttive e materiche, ancorché “nascoste” dalle eventuali finiture, rivestimenti o isolanti situate sopra le nuove porzioni, possono dimostrare chiaramente l’integrale sostituzione.

Ci sono stati anche casi in cui alla demolizione integrale di una porzione muraria sia seguita la sua integrale ricostruzione utilizzando lo stesso pietrame ricavato dalla demolizione, mantenendo quindi le caratteristiche tipologiche e materiche previgenti.

Ciò premesso, secondo un orientamento giurisprudenziale più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, la distanza preesistente può essere conservata nel caso di semplice ristrutturazione edilizia quando rimangano inalterate le componenti essenziali quali i muri perimetrali, strutture orizzontali, la copertura, ovvero quando è ravvisabile che nell’edificio preesistente siano venute meno dette componenti, per evento naturale o per volontaria demolizione, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio (Cassazione civile sez. II 14 aprile 2016 n. 7412, analogamente Consiglio di Stato sez. V 08 aprile 2014 n. 1653).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato considera compatibili con la tipologia della ristrutturazione variazioni di sagoma e volume gli interventi che abbiano comportato una “demolizione parziale” dell’edificio preesistente, la quale si ha quando continua ad esistere una parte del manufatto, avente una propria autonomia, tale da far ritenere sussistente un edificio in senso tecnico.

Occorre invece escludere i casi in cui siano conservate soltanto le fondamenta e una parte del muro perimetrale, senza cioè la copertura ed i muri perimetrali (Consiglio di Stato, sez. IV, 10/05/2012; Consiglio di Stato, sez. IV, 19/02/2007).

Esiste anche una parte della giurisprudenza più permissiva, che esclude che possa trattarsi di demolizione totale (che impone, secondo la disciplina applicabile ratione temporis, il rispetto della sagoma nella successiva ricostruzione) nel caso in cui siano state abbattute solo alcune mura perimetrali (Consiglio di Stato, IV, 31/10/2006 n. 6464).

Esiste una linea di confine per adeguare le distanze tra costruzioni?

Difficile quindi trovare una demarcazione decisiva e consolidata, pertanto i casi dovranno essere sempre analizzati per ciascuno; ad esempio il TAR Toscana III con sentenza n. 260/2017 ritiene eccessivo che la demolizione di una sola parete perimetrale possa essere sufficiente ad integrare una demolizione totale;

Tuttavia afferma che la semplice conservazione di una sola parete o di spezzoni di pareti non sia sufficiente ad escludere l’assoggettamento al regime di nuova costruzione, dietro demolizione totale del manufatto preesistente (a pena di rendere del tutto evanescente e vanificabile con comodi espedienti la distinzione fra sostituzione e ristrutturazione).

Mi trovo concorde in questa ultimo indirizzo, in quanto operazioni di demolizioni e ricostruzioni “apparenti” non sono le più efficaci.

Tra l’altro è nota anche la frequente casistica in cui “guarda caso” durante gli interventi edilizi di ristrutturazione crollano spontaneamente le porzioni edilizie che “stranamente” sono proprio quelle oggetto di eventuale arretramento della distanza tra costruzioni.

Ed allora il vicino di casa è sempre lì, pronto a segnalare al Comune, per il solo gusto di farti dispetto e logoramento, per fartela pagare di qualche caciara avvenuta qualche tempo prima.

Purtroppo in Italia siamo circondati da molti “vicini”, per cui ogni cantiere edilizio come minimo riceve tre segnalazioni agli enti preposti.

E quindi, conviene forse stare fermi?

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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