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Tutelare resti di manufatti con rilevanza culturale è finalizzato alla ricostruzione o evitare ulteriore degrado

Il territorio aperto italiano presenta diffusi casi di edilizia rurale (e non solo) in stato diruto o in rovina

Sulle ragioni per cui vi è questo fenomeno rimandiamo ad altra sede.

Possono presentarsi casi in cui la Pubblica Amministrazione decida di far dichiarare di interesse culturale ex art. 10 e seguenti del Codice dei Beni Culturali D. Lgs. 42/2004 un immobile la cui consistenza sia in stato di rovina integrale o parziale.

Più precisamente, si tratta di una dichiarazione di  interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico verso il manufatto, motivata in base a specifiche valutazioni documentali.

Lo scopo è preservare la consistenza a prescindere dai motivi che hanno portato allo stato diruto

L’Amministrazione statale competente può legittimamente apporre un vincolo di bene culturale, anche quando l’immobile risulti parzialmente o totalmente in rovina (per degrado naturale o meno) in quanto esso, risalente nel tempo e di pregresso pregio, meriti comunque tutela del suo stato attuale (Consiglio di Stato Sez. VI n. 3382 del 10 luglio 2017).

Tutto ciò a prescindere se sia possibile o meno effettuare una ricostruzione.

Poiché i beni aventi un rilievo artistico, storico o archeologico nel corso del tempo subiscono lenti degradi ovvero traumatiche rovine per eventi naturali o altre cause, è del tutto ragionevole che l’Amministrazione statale imponga il vincolo su ciò che resta ovvero su ciò che è stato ripristinato o ricostruito (Consiglio di Stato Sez. VI n. 3382 del 10 luglio 2017).

La dichiarazione di interesse culturale altro non è che un vincolo di protezione e tutela dell’oggetto.

Si pongono quindi due scenari alternativi tra loro:

  • mantenere l’attuale consistenza in rovina, proteggendola dal suo degrado;
  • attivarsi per la sua ricostruzione, fedele o meno alla precedente consistenza;

La dichiarazione di interesse culturale, una volta notificata al proprietario (art. 10 e segg. D.Lgs. 42/04) pone a carico di quest’ultimo l’onere di proteggere l’opera oggetto di vincolo, onde evitare le relative conseguenze sul piano sanzionatorio e obblighi speciali previsti dalla disciplina.

Nel caso in cui si debbano effettuare trasformazioni, il vincolo impone l’obbligo di dotarsi di apposita autorizzazione dalla competente Soprintendenza per effettuare qualsiasi tipo di trasformazione, oltre a doversi dotare degli opportuni titoli edilizi necessari sotto i relativi profili.

Inoltre, in occasione dei lavori di ricostruzione/ripristino anche totale di beni artistici, storici o archeologici, ben può l’Amministrazione – con le cautele del caso – consentire la realizzazione di quei lavori e di quelle modifiche che consentano di ridurre i rischi per la pubblica incolumità, anche se non è ripristinata l’assoluta identità dei beni preesistenti (Consiglio di Stato VI n. 3382/2017).

La presenza di questo vincolo, imposto con la dichiarazione di interesse culturale, comporta automaticamente la conseguenza di non potersi più “disinteressare” dei fenomeni di degrado dell’immobile.

Tra l’altro, sul versante puramente edilizio, il legislatore a livello nazionale ha sempre riservato una disciplina più restrittiva verso gli immobili assoggettati a vincolo dei beni culturali.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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