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La ricostruzione globale di organismi edilizi deve mantenere un rapporto con la costruzione preesistente.

Sconfinare dalla categoria di intervento di ristrutturazione alla nuova costruzione significa applicare una diversa disciplina edilizia

Il Testo Unico per l’edilizia D.P.R. 380/01 col combinato disposto degli articoli 3 e 10 ha introdotto una linea di demarcazione tra ristrutturazione edilizia e l’intervento di nuova costruzione (e quelli ad essa assimilati).

Si tratta di una distinzione che è molto importante perchè potrebbe influire sulla validità dei titoli abilitativi rilasciati e quelli ancora da ottenere.

Non dimentichiamo inoltre che la categoria di Ristrutturazione edilizia si suddivide in due distinte versioni (Approfondimento):

  • Leggera;
  • Pesante;

Negli ultimi anni alla categoria di intervento di ristrutturazione edilizia sono stati ridotti i limiti per la sua fattibilità, in particolare il vincolo di sagoma (eccettuato gli immobili soggetti a vincolo di cui al Codice dei Beni Culturali D.Lgs. 42/2004).

Per prima cosa, la differenza essenziale tra nuova costruzione e ristrutturazione è che la prima presuppone una trasformazione del territorio, mentre la seconda è caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto. (Ne parlo in questo articolo).

Questo è un principio di massima.

Col tempo il legislatore ha cercato di semplificare e chiarire meglio i limiti della ristrutturazione, in particolare il limite “superiore” con la delicata categoria di nuova costruzione. E per ciò negli ultimi anni la normativa ha ricompreso l’intervento di demolizione e ricostruzione con medesima volumetria all’interno della categoria di ristrutturazione edilizia.

Facciamo un piccolo approfondimento:

Con la ristrutturazione edilizia sono ammesse modifiche volumetriche, ma entro quali limiti?

Prima ancora delle modifiche al T.U.E. del 2014 col “Decreto Sblocca Italia”, che hanno portato alla rimozione del vincolo di sagoma nelle ristrutturazioni edilizie, la Giurisprudenza amministrativa (Cons. di Stato n. 5663/2019, n. 3208/2019, aveva già consolidato un principio in merito:

la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non coincidere con una nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente quanto a sagoma, superfici e volumi (N.B. per casi ante 2014)

Se è anche vero che l’art. 3, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 prevede che “Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente”, esso si limita a consentire appunto che una demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria può rientrare tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, ma ciò non significa che aumenti di volumetria possano essere considerati semplici ristrutturazioni.

In quale misura le variazioni volumetriche possono rientrare in ristrutturazione edilizia?

Una risposta condivisibile la fornisce la Cassazione.

Il legislatore ha stabilito alla lettera E) dell’art. 3 DPR 380/01 che integrano “nuova costruzione” quegli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti (manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e ristrutturazione edilizia).

Inoltre ha individuato alcune ipotesi – non esaustive – di interventi qualificati nuova costruzione alle successive lettere da E.1) ad E.7) del medesimo articolo 3.

Per quanto di particolare interesse in questa sede, occorre evidenziare che integrano “nuova costruzione” i manufatti “fuori terra o interrati”, ovvero “l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente” ( art. 3 lett. E1).

Inoltre, occorre evidenziare che mentre gli interventi di restauro e risanamento conservativo non contemplano aumenti di volumetria, essi sono possibili in sede di ristrutturazione.

Tuttavia le “modifiche volumetriche” previste dall’art. 10 del D.P.R. 380/01 per le attività di ristrutturazione edilizia, devono consistere in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ovvero in incrementi volumetrici modesti, tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria (Cass. Pen. III n. 38611/2019).

Ciò in quanto, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra la ristrutturazione edilizia e la nuova costruzione (Cass. Pen. n. 47046/2007).

In questi casi al professionista è richiesto il gravoso compito di scremare da subito il margine di incertezza tra ristrutturazione e nuova costruzione. E’ un tema che ho affrontato anche nel mio nuovo libro “Ante ’67“.

L’unica chiave di lettura possibile è la sovrapponibilità del complesso originario rispetto a quello successivo all’intervento: certamente consiglio una elevata prudenza e moderazione nel muovere le volumetrie.

A margine di ciò, condivido la mia opinione personale che il limite di modifica volumetrico debba individuarsi idealmente nel 20%, facendo riferimento allo stesso applicabile per le opere pertinenziali secondo l’art. E.6 art. 3 del T.U.E.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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