Regolamento Edilizio Tipo stabilisce che sporti inferiori a 1,50 metri non rientrano in sagoma dell'edificio
Analizziamo alcuni fondamenti sulle distanze minime da rispettare nelle nuove costruzioni, ampliamenti, sopraelevazioni e ristrutturazioni
Un commento video relativo alle distanze minime del DM 1444/68, con la partecipazione dell’Avv. Fabio Squassoni, articolato su sette punti fondamentali ormai consolidati in giurisprudenza.
Tutto trae riferimento dalla recente ordinanza di Cassazione Civile n. 35780/2022, che riassume tra i tanti i seguenti fondamenti da rispettare nel conteggio della distanza minima di 10 metri tra costruzioni, stabilita ai sensi dell’art. 9 del DM 1444/1968.
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A tal proposito ti voglio ricordare che esistono anche apposite deroghe alle distanze nelle demolizioni e ricostruzioni, analizzate nell’apposito corso online asincrono sull’Academy Realexpert.it.
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I criteri fondamentali nelle distanze legali tra costruzioni
Nel video abbiamo spiegato i sette seguenti principi da rispettare nel calcolo delle distanze tra edifici e come rispettare i celebri dieci metri del DM 1444/68:
1) Definizione distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, disposizione integrativa della disciplina del codice civile sulle distanze, ed essa non è derogabile in sede locale (Cass. n. 1556/2005; n. 19554/2009);
2) Il giudice ha la potestà di disapplicare la norma regolamentare difforme ed applicare le distanze previste dal D.M. 1444 quale norma di relazione immediatamente efficace nei rapporti fra privati (Cass. Civ Sez. Un. n. 14953 del 2011).
3) L’art. 9 del d.m. 1444/68 prescrive la distanza minima tra parete e parete finestrata. È pacifico che l’art. 9 è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata (Cass., Sez. Un., n. 1486 del 1997; Cass. n. 1984 del 1999) e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente (Cass. n. 13547 del 2011), o che si trovi alla medesima altezza o diversa altezza rispetto all’altro (Cass. n. 8383 del 1999).
4) Finalità della norma è la salvaguardia dell’interesse pubblico sanitario a mantenere una determinata intercapedine fra gli edifici che si fronteggiano quando uno dei due abbia una parete finestrata (Cass. n. 20574 del 1997).
5) La Suprema Corte ha osservato che, ai fini dell’art. 9 del d.m. n. 1444/68, due fabbricati, per essere antistanti, non devono essere necessariamente paralleli, ma possono fronteggiarsi con andamento obliquo, purché «fra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento» (Cass. n. 4175 del 2001).
6) Non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, né quello in cui sono opposti gli spigoli a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l’altro. Poiché lo scopo del limite imposto dall’art. 873 c.c. è quello di impedire intercapedini nocive, «la norma non trova applicazione quando i fabbricati non si fronteggiano, ma sono disposti ad angolo retto in modo da non avere parti tra loro contrapposte» (Cass. n. 4639/1997 cit.).
7) È stato anche chiarito che « l’art. 9, n. 2, del D.M. n. 1444 del 1968 non impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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