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La Cassazione ribadisce le distinzioni applicative per modificare l’edificio preesistente e mantenere certe distanze legali

Il primo aspetto da chiarire in materia di distanze legale tra costruzioni si evince dalla normativa e soprattutto dalla giurisprudenza.

La nozione di costruzione in ambito civilistico va ricercata nella giurisprudenza consolidata, che ha ripetutamente affermato quanto segue:

<<deve considerarsi costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, e ciò indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera, dai caratteri del suo  sviluppo volumetrico esterno, dall’uniformità o continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione e dalla sua funzione o destinazione>> (Cass. Civ. n. 28612/2020, n. 20574/2007).

Pertanto la regola generale che definisce la costruzione ai fini civilistici va applicata a ogni manufatto, restando da capire se e quali opere minori di modesta entità sfuggono da ciò in base alle norme regionali e locali (esempio le recinzioni in legno senza opere murarie).

Adesso passiamo al secondo aspetto riguardante il delicato rapporto tra distanze legali e categorie di intervento ricostruttive.

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Distanze minime, nuove costruzioni “per la prima volta” e ristrutturazioni

Il Consiglio di Stato in diverse sentenze ha già chiarito l’applicazione del punto n.2 comma 1 dell’art. 9 D.M. 1444/68, in particolare ha stabilito che:

tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile. La medesima disposizione tuttavia riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici o parti e/o sopraelevazioni di essi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3522/2016) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse.” (Cons. Stato, sez. IV, n. 3322/2022, n. 5466/2020, n. 6282/2020).

Invece nella disciplina delle distanze legali “civilistiche” la Cassazione ha ricordato il consolidato principio per cui sussiste <<una “ricostruzione” quando l’opera di modifica dell’edificio preesistente si traduce non soltanto nell’esatto ripristino della costruzione precedente, ma anche nella riduzione della volumetria rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio>> (Cassazione civile sez. II n. 9840/2022).

Nel proseguimento del principio, la Corte ravvisa viceversa una “nuova costruzione”, quando l’opera di modifica si traduce nella realizzazione “ex novo” di un fabbricato con aumento della volumetria dell’edificio preesistente. Solo all’ipotesi di “nuova costruzione” è applicabile la disciplina in tema di distanze ai sensi dell’art. 873 codice civile. (Cassazione civile sez. II n. 9840/2022, n. 28612/2020).

Per comprendere meglio rapporto tra regime distanze legali e categorie di intervento edilizie, è necessario riprendere ancora i principi giurisprudenziali, visto che la normativa DM 1444/68 e TUE lasciano alcuni dubbi. Tra l’altro questi principi trovano congruenza nella giurisprudenza amministrativa, già esaminata in apposito approfondimento.

Distanze legali, l’evoluzione del confine tra ristrutturazione e nuova costruzione

Ai fini dell’applicazione della normativa in materia di distanze tra edifici, la “nuova costruzione” è ravvisabile non solo in ipotesi di realizzazione ex novo di un fabbricato ma anche in caso di qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, incidendo direttamente sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti (Cass. Civ. n. 20428/2022, n, 28612/2020; Cass. n. 16268/2017, in motiv., la quale ha ritenuto che rientrano nella nozione di nuova costruzione, di cui all’art. 41 sexies della I. n. 1150 del 1942, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 per il computo delle distanze legali dagli altri edifici, “non solo l’edificazione di un manufatto su un’area libera, ma anche gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell’entità delle modifiche apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, rendano l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente”; Cass. Civ. n. 5741 del 2008).

In giurisprudenza civile (Cass. Civ. n. 20428/2022) rimane confermato che nell’ambito delle opere edilizie, come può ricavarsi dall’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, che ha riprodotto l’art. 31 della I. n. 457 del 1978, la semplice “ristrutturazione” si verifica soltanto se gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura.

Questo criterio va considerato anche nei confronti dei cambiamenti normativi sopravvenuti proprio nella definizione di ristrutturazione edilizia nel DPR 380/01, che hanno ampliamento progressivamente e a più riprese il perimetro della ristrutturazione edilizia ex art. 3 comma 1 lettera d) del Testo Unico Edilizia.

E’ per questo che il legislatore ha innovato il Testo Unico Edilizia DPR 380/01 introducendo una soluzione specifica che consente di mantenere la sagoma ai fini delle distanze tra costruzioni, quando si procede alla loro demolizione ricostruttiva.

La norma in parola è l’art. 2-bis comma 1-ter DPR 380/01, come modificata dall’art. 10 D.L. 76/2020.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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