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Il giudice penale non può attribuire effetti ai provvedimenti di regolarizzazione “atipica” che prescindono dalla doppia conformità

Il Testo Unico per l’edilizia D.P.R. 380/01, così come riformato dal D.L. Semplificazioni n. 120/2020, non è stato oggetto di modifiche relative al regime sanzionatorio amministrativo, e soprattutto alla procedura di accertamento di conformità dell’art. 36 del T.U.E.

Quindi continua a sussistere l’istituto della regolarizzazione edilizia da effettuarsi con doppia conformità alla disciplina urbanistico edilizia vigente al momento dell’istanza e all’epoca dell’abuso; questo istituto è rimasto pressoché intatto fin dall’entrata in vigore della L. 47/85, che lo ha introdotto nell’ordinamento nazionale.

Combinando la lettura degli articoli 31, 36, 44 e 45 del D.P.R. 380/01, emerge chiaro come esista un’unica ipotesi di estinzione dei reati contravvenzionali alle norme urbanistiche.
Infatti ciò può avvenire soltanto col rilascio in sanatoria del Permesso di costruire secondo l’art. 36 della stessa norma, non ammettendo alcuna altra possibilità (art. 45 comma 3 DPR 380/01).

Fino a che il procedimento amministrativo di sanatoria ex art. 36 non è esaurito (con rilascio o diniego), l’azione penale avviata rimane sospesa (art. 45 comma 1 DPR 380/01).

Invece va esclusa la possibilità che tali effetti estintivi penali possano essere attribuiti alla cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Cass. Pen. n. 31961/2020, n. 45845/2019).

Anche se in passato la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto legittimo il rilascio della sanatoria giurisprudenziale, in ambito penale è sempre stato ritenuto che essa non attribuisce effetti estintivi del reato urbanistico, per mancanza del requisito della doppia conformità richiesto dal combinato disposto di cui agli artt. 36 e 45 comma 3 D.P.R. 380/01 (Cass. Pen. n. 45845/2019, n. 14329/2008, n. 40969/2015).

La sanatoria giurisprudenziale in passato è stata considerata rilevante per escludere l’adozione (o l’esecuzione) dell’ordine di demolizione previsto dall’art. 31, comma 9. T.U.E., tuttavia questo orientamento è stato superato (Cass. Pen. n. 45845/2019, n. 14329/2008, n. 40969/2015).

Il giudice penale non può attribuire alcun effetto ai provvedimenti di sanatoria “giurisprudenziale” o “atipica“, cioè che prescindano dal requisito della doppia conformità, non soltanto per quanto riguarda l’estinzione del reato urbanistico, ma pure rispetto alla non irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, T.U.E., ovvero alla revoca dello stesso qualora il provvedimento amministrativo contra legem sia eventualmente stato emanato successivamente al passaggio in giudicato della sentenza.

Distinzione tra sanatoria ordinaria ex art. 36 e sanatoria “giurisprudenziale”.

Più volte in questo blog ho affrontato la definizione e applicazione di queste due modalità di regolarizzazione edilizia [INDICE ARTICOLI], suddividendole così per la valutazione comparative delle opere illecite:

Si premente che dopo anni di dibattimento in sede di giustizia amministrativa, si è affermato in maniera univoca l’impossibilità della sanatoria giurisprudenziale in quanto contra legem, cioè non prevista dall’ordinamento.

La “sanatoria giurisprudenziale” in passato è stata riconosciuta da una giurisprudenza minoritaria come strumento con carattere eccezionale di matrice pretoria (Cons. di Stato n. 2784 del 06/05/2015).

La procedura di sanatoria non ammette termini o condizioni diverse da quelli dell’art. 36 D.P.R. 380/01, e deve riguardare l’intervento edilizio nel suo complesso; tra le condizioni espressamente indicate dall’art. 36 D.P.R. 380/01 vi è la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Cass. Pen. 45845/2019, n. 47402/2014).

La giurisprudenza amministrativa ha escluso da tempo l’ammissibilità della sanatoria giurisprudenziale sul presupposto che la sua applicazione contrasta con il principio di legalità (ex multis Cons. di Stato n. 4838/2007), dal momento che non è contenuta nelle norme.
Inoltre l’art. 36 T.U.E. ha riproposto la corrispondente disciplina contenuta nell’articolo 13 L. 47/1985, in quanto il legislatore ha scelto di ignorare il parere del 29 marzo 2001 espresso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato, con cui ne aveva sollecitato l’introduzione in sede di stesura del Testo Unico in materia edilizia.

La doppia conformità come deterrente per abusi edilizi

La giurisprudenza amministrativa (Cons. di Stato n. 6784/2009) ha ritenuto che l’art. 36 T.U.E. consiste in una norma derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati senza titolo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie, precisando che tale regola non è suscettibile di applicazione analogica né di interpretazione riduttiva.
Inoltre la sanatoria giurisprudenziale non può ritenersi applicabile in quanto introduce un atipico atto con effetti provvedimentali al di fuori di qualsiasi previsione normativa, in quanto l’ordinamento è caratterizzato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione secondo il principio di nominatività, poteri non previsti dalla legge e non surrogabili in via giudiziaria (cfr. Cons. di Stato n. 3220/2013)

Il Consiglio di Stato ha ulteriormente confermato la propria posizione in tema d’illegittimità della sanatoria giurisprudenziale rilevando che il divieto legale di rilasciare un permesso in sanatoria “giurisprudenziale”, anche a seguito di modifica favorevole dello strumento urbanistico postuma all’abuso, sia giustificato della necessità di:

  • evitare la strumentazione del potere di pianificazione urbanistica per legittimare ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile)»;
  • affermare l’esigenza di disporre una regola dissuasiva dall’intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce senza titolo sa che deve comunque disporre la demolizione dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico» (Cons. di Stato n. 1324/2014, n. 2755/2014, Cass. Pen. 45845/2019).

Anche nella sentenza di Corte Costituzione n. 101/2013 ha ulteriormente osservato che, diversamente dal condono, la sanatoria ordinaria «è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi “formali“, ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, “anche di natura preventiva e deterrente”, finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità».

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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