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Il Regolamento edilizio allora vigente dispose in tutto il territorio comunale l’obbligo di licenza per costruzioni e interventi edilizi

Il Consiglio di Stato ha ribadito un proprio indirizzo coerente con le normative previgenti.

Anticipo subito che si tratta di un articolo che supera molto l’annosa questione dell’Ante ’67 assai nota nell’edilizia e nella commerciabilità degli immobili.

Questa sentenza, nel ripetere un consolidato principio, affronta un caso specifico e pertanto di difficile applicazione automatica a tutti i Comuni italiani, pertanto si raccomanda la dovuta prudenza e ponderazione nell’utilizzare la seguente analisi.

Partiamo quindi da un presupposto: con deliberazioni n. 2372 e n. 2584 del 1935 il Commissario Straordinario del Comune di Napoli, e con deliberazione della Giunta provinciale n. 93080/1935, e previa omologazione del Ministero dei Lavori Pubblici n. 14616/1935, fu promulgato il Regolamento Edilizio del Comune di Napoli.

All’articolo 1 del regolamento fu statuito che:

Tutte le opere ed i lavori da eseguirsi nel territorio del Comune di Napoli, sia per conto di Enti, sia di privati, sono sottoposti alle norme del presente Regolamento.
In conseguenza del detto territorio non è permesso eseguire, senza preventiva licenza del Sindaco, e con modalità diverse da quelle in seguito stabilite:

  1. costruzione di nuovi edifici, sopralzi od ampliamenti di quelli esistenti;
  2. demolizione, ricostruzione parziale o totale, modifica, trasformazione o restauro di edifici esistenti;
  3. spostamento o rimozione di elementi di fabbrica o di altre cose e materie che abbiano comunque carattere storico, archeologico, artistico, od anche semplicemente panoramico, e che siano esposti alla vista del pubblico;
  4. restauro, decorazione o attintatura delle facciate dei fabbricati rivolte alla strada pubblica o comunque visibili da strade, giardini o spazi pubblici;
  5. apposizione sulle facciate esterne dei fabbricati, o impianto, comunque in vista del pubblico di fanali, insegne, stendardi, leggende, quadri indicatori, antenne-radio, lapidi, condutture elettriche, telefoniche, ecc. anche se tali apposizioni vengano da Enti e concessionari di servizi pubblici.
  6. esecuzione di scavi od opere sotterranee in genere;
  7. qualunque altra opera che possa interessare lo sviluppo, l’igiene e l’estetica della Città in relazione al contenuto del presente Regolamento.

Non occorre la licenza per i lavori di ordinaria manutenzione che non comportino variazione alcuna allo stato originario.

A Napoli la risalenza dell’obbligo supera la Legge Fondamentale n. 1150/42.

Secondo il Consiglio di Stato, con sentenze n. 2120/2017, n. 4455/2016, n. 13/2015, n. 5141/2008, l’obbligo di licenza edilizia preventivo su tutto il territorio comunale occorreva fin dal 1935 per nuove costruzioni, sopraelevazioni, ampliamenti e per le opere indicate all’art. 1 del suddetto regolamento edilizio comunale, ovvero dall’entrata in vigore del suddetto regolamento edilizio comunale.

Questa impostazione sovverte quella comunemente conosciuta dai vari attori del settore edilizio, ovvero della non obbligatorietà della licenza edilizia prima del 1967 fuori dai centri abitati e zone di espansione PRG, e addirittura in tutto il territorio comunale prima del 1942.

L’argomento l’ho trattato nel mio celebre articolo sulla legittimazione e conformità urbanistica degli atti notarili per immobili ante ’67.

Il Consiglio di Stato invece, con questo indirizzo espresso nelle suddette sentenze, ritiene che l’obbligo di dotarsi di preventiva licenza edilizia per esercitare lo “jus aedificandi” va fatto risalire al 1935.

Regolamenti edilizi ante ’42 hanno notevole rilevanza sulla legittimità.

La suprema corte amministrativa ripercorre e riconosce che a livello generale vigeva “ex lege” la necessità della licenza edilizia al 1942 per i soli centri abitati (ex art. 31 della l. 1150/1942) e, per l’intero territorio comunale, al 1967 (ex art. 10 l. 765/1967; si veda inoltre l’art. 31, comma 5, della l. n. 47/1985 a conferma della possibilità, anche prima della l. n. 765/1967, di richiedere, da parte dei comuni dotati di regolamenti edilizi “ad hoc”, la licenza edilizia non solo per le costruzioni da realizzare entro il perimetro dei centri abitati).

Tuttavia, riconosce pure il valore di legittimità di tale regolamento edilizio e la sua efficacia, assai più stringente e addirittura anteriore all’invenzione della licenza edilizia “vera e propria” della postuma L. 1150/42.

Il Consiglio di Stato infatti ribadisce testualmente che «per le opere e i lavori da compiersi nel territorio del Comune di Napoli –nell’intero territorio comunale, come si vedrà-, tuttavia, la necessità del previo titolo abilitativo edilizio va fatta risalire al 1935 dal momento che l’art. 1 del regolamento, al comma 2, aveva chiaramente stabilito che nel territorio del Comune non era permesso eseguire, senza preventiva licenza del Sindaco e con modalità diverse da quelle stabilite, costruzioni di nuovi edifici, sopralzi e ampliamenti degli edifici esistenti e quant’altro specificato all’art. 1 del regolamento stesso, fermo che nel caso di lavori fatti senza licenza o in difformità da questa “colui che li avrà fatti eseguire…sarà tenuto a ridurre ogni cosa al primitivo stato” (art. 9 regolam.) »

Il Regolamento edilizio interviene su tutto il territorio comunale.

Per chi dovesse operare su Napoli, sappia bene che tale obbligo di licenza edilizia non era circoscritto solo ad alcune zone, come qualcuno potrebbe erroneamente interpretare nella lettura, bensì a tutto il territorio comunale.

E’ importante rammentare che il regolamento edilizio comunale di Napoli prevedesse comunque una sorta di zonizzazione del territorio con applicazione differenziata di alcuni aspetti del regolamento stesso.

Più precisamente l’art. 12 del regolamento, collocato “topograficamente” nel Titolo II, relativo alle norme igienico –edilizie per le costruzioni nuove e per i fabbricati esistenti, prevedeva che, ai fini dell’applicazione del regolamento medesimo, il territorio comunale fosse diviso in tre zone, individuate in modo specifico ai numeri 1), 2) e 3), dove la prima è la zona centrale, la seconda comprende tra gli altri gli abitati di S. Giovanni, Barra e Ponticelli, esclusa la zona industriale, e la terza zona è costituita dal territorio comunale non compreso nelle zone precedenti (Cons. di Stato n. 13/2015)

Questa forma di esclusione della zona industriale dalla seconda zona non deve essere intesa come esclusa dall’applicazione del regolamento, tramutandola come una “zona franca”, bensì deve essere correttamente interpretata che essa confluisce nella terza zona in via residuale.

Obbiettivo di questa impostazione è di avere una clausola di chiusura che evitasse “zone bianche”, ovvero escluse dalla regolamentazione.

Ergo, chi opera su Napoli dovrà operare nel rispetto di quanto sopra.

Aggiunto a nota di commento che sono giunti i tempi per rivedere questi criteri, assai rigidi a mio avviso, non per agevolare l’abusivismo, ma perchè risulta davvero difficile poter dimostrare in maniera inconfutabile volumetrie, sagome e aspetti dei fabbricati in un’area assai estesa come Napoli.

Ricorrere all’aerofotogrammetria per queste zone diventa un labirinto a causa della scarsità di tale documentazione, spesso eseguita a macchia di leopardo, con voli ad alta quota e strumentazione di presa dell’epoca, con tutti i limiti di qualità e nitidezza.

Mi diranno poi se, tale atteggiamento rigido, sarà proprio efficace in un territorio tristemente noto per evidenti fenomeni di abusivismo edilizio e lottizzazioni abusive. Di necessità o meno. 

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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