La Giunta comunale approva i piani attuativi qualora compatibili con lo strumento urbanistico generale vigente, il Consiglio Comunale quando comporta variante ad esso.
Era l’unico titolo abilitativo per autorizzare ogni intervento edilizio
Istituita con la Legge Fondamentale 1150/42, fu largamente usata fino alla Legge Bucalossi 10/1977.
La sua introduzione nel 1942 portò ad un nuovo regime amministrativo che ha caratterizzato la ricostruzione postbellica prima, e la più grande espansione edilizia italiana.
Occorre dire che dall’atto di emanazione della prima legge organica nazionale in materia urbanistica (e non di governo del territorio), l’Italia fu completamente sconvolta dagli eventi bellici, dal cambiamento di regime dittatoriale al democrazia, fino alla nuova Costituzione.
Nel giro di pochi anni di lì a breve, l’Italia conobbe il più grande fenomeno di urbanesimo e crescita urbana della sua storia, fenomeno prettamente incontrollato dalla Politica e che portò sempre spesso a far formulare tardivamente provvedimento normativi per attenuare e lenire gli effetti.
Si dovette attendere l’emanazione della L. 765/1967 “Ponte” affinché il legislatore estendesse l’obbligo di licenza edilizia a tutto il territorio comunale, a prescindere dalla dotazione di strumenti urbanistici (Piano Regolatore, ndr).
L’articolo 31 della L. 1150/42 prevedeva questo solo titolo abilitativo, da richiedere qualora l’intervento riguardasse costruzioni situate in:
- centri abitati;
- nelle zone di espansione del piano regolatore comunale, ove esistente;
Art. 31 comma 1 L. 1150/42.
Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificare la struttura o l’aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7, deve chiedere apposita licenza al podestà del Comune.
La seconda condizione, come già spiegato nel post sulla legittimazione urbanistica negli atti notarili, era una condizione che si è verificata raramente se non nelle grandi città che si erano dotate del PRG, e in quelle pochissime città di medie e piccole dimensioni.
Quindi in moltissime parti del territorio “aperto” o allora esterno ai centri abitati, di fatto c’era una situazione di scarsa pianificazione e controllo dell’assetto del territorio, a meno di regolamenti edilizi assai più restrittivi in tal senso.
Tale obbligo iniziale di licenza edilizia ai centri abitati ricorda quello presente negli statuti cittadini medioevali.
L’art. 31 della L. 1150/42 aveva una procedura assai semplice, o semplificata diremmo oggi: sulla istanza di rilascio il Podestà (oggi sindaco) doveva esprimersi con propria determinazione, ed essa doveva essere notificata al richiedente entro e non oltre sessanta giorni dalla richiesta.
Una figata pazzesca, se la guardiamo dalla configurazione della vigente Burokrazia.
Ai fini della responsabilità il legislatore indicava il committente e l’assuntore dei lavori (impresa edile, ndr) come responsabili di ogni osservanza (tutte) alle norme generali di legge, regolamentari e alle modalità esecutive (prescrizioni, ndr) fissate dalla licenza edilizia, mentre progettista e direttore dei lavori erano invece del tutto assenti.
Una bella differenza rispetto a quanto statuito oggi dal Testo Unico per l’Edilizia DPR 380/01 in materia di soggetti responsabili.
Le categorie di intervento soggette a Licenza edilizia erano quelle che oggi diremmo rilevanti.
Sempre l’art. 31 indica in maniera scarna gli interventi soggetti al previo rilascio della licenza edilizia, e si riportano per esteso:
- nuove costruzioni edilizie;
- ovvero ampliare quelle esistenti
- modificare la struttura
- modificare l’aspetto;
Sul primo punto c’è poco da aggiungere, se non il fatto che la definizione di “nuova costruzione edilizia” non era definita in maniera specifica.
Sul secondo punto, ovvero quello sul patrimonio edilizio esistente, trovo interessante poterli tradurre e reinquadrare ad oggi nel 2018 le rispettive categorie corrispondenti.
Gli ampliamenti sono un termine anch’esso chiarissimo.
Per “modificare la struttura” si deve intendere oggi come ristrutturazione, senza però riferimenti quantitativi e qualitativi di sorta. Inoltre non è dato sapere se sia riferito ad una struttura globale dell’organismo edilizio/fabbricato, o se sia circoscrivibile alla sola struttura portante/statica della costruzione.
Svolgendo molti accessi agli atti di vecchie licenze, tuttavia, si evince che la prassi applicata riguardasse la ristrutturazione in senso lato, prescindendo da una visione puramente strutturale e statica.
Infine anche le modifiche dell’aspetto: difficile dire quale fosse il livello o spartiacque tale da far scattare la necessità di ottenere la licenza edilizia.
Ritengo che il legislatore fascista del 1942 volesse in qualche modo tutelare quello che allora i regolamenti edilizi individuavano come “decoro architettonico” in rapporto allo spazio pubblico e/o alla visibilità pubblica.
Si tratta sì di una visione e cultura urbanistica tardo ottocentesca, tuttavia coerente anche col restante impianto normativo della L. 1150/42: il punto 8 del successivo art. 33 L. 1150/42 in materia di regolamenti edilizi parla infatti di aspetto dei fabbricati ed estetica:
8) l’aspetto dei fabbricati e il decorso dei servizi ed impianti che interessano l’estetica dell’edilizia urbana (tabelle stradali, mostre e affissi pubblicitari, impianti igienici di uso pubblico, ecc.);
Con la Licenza edilizia sono state autorizzate ogni tipo di intervento edilizio.
Fintanto non giunsero le modifiche apportate dalla L. 10/1977, la licenza edilizia fu utilizzata sia per gli interventi rilevanti, sia anche per quelli che oggi li definiamo come minori. Inutile addentrarsi in maniera comparativa sulla cosiddetta “edilizia libera”, non contemplata in via neppure residuale dalla L. 1150/42.
Certamente la licenza edilizia contemplava un diverso regime dell’edificabilità dei suoli rispetto a quello poi intervento con la L. 10/1977 “Bucalossi”. Il regime infatti per la licenza era appunto quello autorizzativo, cioè valevole solo a rendere noto al comune un proprio diritto edificatorio.
Diversamente invece era il successivo regime di concessione edilizia, il quale sottintendeva il concetto che il diritto ad edificare non era più prerogativa privatistica bensì rimesso nelle mani dell’ente comunale, alla luce di un nuovo regime correlato agli standard urbanistici e carichi urbanistici.
Si trattava di un vero salto del paradigma, che ebbe ulteriormente modifica col Testo Unico DPR 380/01, che lo ha sostituito col Permesso di Costruire, un regime leggermente diverso da quello della Concessione edilizia, ma somigliante più ad esso che a quello della licenza edilizia.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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