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Vietate le intercapedini di larghezza inferiore all’altezza del più alto degli edifici che si fronteggiano.

In materia di distanze tra edifici vige ancora il concetto “sovietico” di distanziare gli edifici in maniera perentoria.

Ho trovato interessante lo spunto di una riflessione pubblicata su Lexambiente, il quale mi ha spinto a leggere la sentenza di Cass. Civ. II n. 2093/2018, relativa alla formazione di intercapedini vietate dal decantato D.M. 1444/68.

Cercherò di essere stringato anch’io, tornando sopra ancora sulla questio delle distanze minime tra fabbricati e dei famigerati dieci metri.

L’art. 9 comma 1 punto 1 del D.M. 1444/68, assieme all’art. 41-quinques L. 1150/42, punta ad evitare la creazione di intercapedini tra fabbricati di larghezza inferiore all’altezza del più alto degli edifici che si fronteggiano (Cass. Civ. II n. 2093/2018, Cass. Civ. n. 12741/2006; Cass. Civ. n. 4372/2002; Cass. Civ. n. 2342/1995).

Prendiamo in particolare considerazione i fabbricati costruiti nelle zone omogenee C di espansione dopo l’entrata in vigore della Legge ponte n. 765/67 e del figlioccio decreto attuativo DM. 1444/68, fatto salvo norme e regolamenti locali più restrittivi.

Occorre sottolineare che tali disposizioni si applicano in particolare alle seguenti casistiche, tutte successive all’entrata in vigore del D.M. 1444/68 come statuito dal suo stesso articolo 1:

Fino all’entrata in vigore del Testo Unico DPR 380/01, era previsto che nei comuni sprovvisti di PRG, strumenti urbanistici o di Programmi di Fabbricazione, fosse disposta una distanza minima secondo l’art. 41-quinques della L. 1150/42 (introdotto dall’art. 17 della Legge ponte n. 765/67):

c) l’altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza degli spazi pubblici o privati su cui esso prospetta e la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire. (abrogato col T.U.E).

L’art. 9 del DM 1444/68 si distingue in due parti con criteri differenziati.

La prima riguardante l’edificazione degli edifici in funzione delle zone omogenee, la seconda invece si appoggia al solo criterio della sezione stradale di affaccio interposta tra edifici.

Ecco perchè bisogna fare attenzione a non confonderle tra loro.

Prima parte dell’art. 9 DM 1444/68:

Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12.

Fatto salvo ulteriori e diverse norme/regolamenti locali maggiormente restrittivi, nei nuovi edifici è prescritto in tutti i casi il rispetto perentorio di 10 m tra pareti finestrati ed edifici antistanti in tutte le zone omogenee diverse dalla A. 

In aggiunta, e non in esclusione dal rispetto della distanza di 10 m, se la nuova costruzione è in Zona omogenea C (di espansione, ndr) si deve rispettare anche il rapporto D>H, cioè il distacco tra edifici non può essere inferiore all’altezza del fabbricato più alto.

Seconda parte dell’art. 9 DM 1444/68:

Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

  • ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
  • ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
  • ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate (non anche quelle della parte prima dell’art. 9, ndr), risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

Questa seconda parte è una condizione aggiuntiva che si sovrappone, si somma, alla parte prima. In sostanza dispone il rapporto D>H, dove D è la distanza minima tra fabbricati comprensiva delle interposte strade veicolari pubbliche.

Deroga alle distanze tra costruzioni del D.M. 1444/68?

L’unica possibile deroga prevista alle distanze tra edifici proviene dall’ultimo comma dell’art. 9 del D.M. 1444/68, il quale ammette distanze inferiori a quelle indicati in tutti i precedenti commi, cioè nelle due parti che ho evidenziato, senza fare distinzioni.

Tale deroga ammette distanze inferiori tra edifici solo nel caso di gruppi di edifici oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

In sostanza lo spirito del D.M. 1444/68, sommato a quello dell’abrogato art. 17 della Legge ponte n. 765/1967, era quello di spingere i Comuni a pianificare il proprio territorio con gli opportuni strumenti urbanistici (PRG, Programmi di Fabbricazione), in assenza dei quali prescriveva comunque misure perentorie.

Invece, in merito alla ricostruzione degli edifici legittimati in funzione delle distanze tra costruzioni, rinvio a questo approfondimento.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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