Definizione DPR 380/01 non riguarda la Paesaggistica, ma serve stesso approccio
Alla richiesta di parere per condonare manufatti deve seguire una motivazione dettagliata e specifica, senza formule generiche o stereotipate
Per condonare immobili situati in aree demaniali ai sensi della prima legge in materia L. 47/85 art. 32 comma 5 è necessario ottenere la disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione.
La disponibilità all’uso del suolo, anche se gravato di usi civici, viene espressa dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di centottanta giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all’uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all’area coperta dal fabbricato.
L’atto di disponibilità, regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie per una durata massima di anni sessanta, è stabilito dall’ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento dell’importo come sopra determinato.
Quando il manufatto/opera illecita risulta effettuata sulla fascia di territorio costiero compreso nei 300 metri dalla linea di battigia, si ricade anche in zona paesaggistica vincolata per legge (art. 142 c.1 lettera a) del D.Lgs. 42/2004, e prima ancora L. 431/85). Potrebbero esserci tratti privi di tale vincolo, ma sono ipotesi assai remota come le aree portuali.
In questi casi è necessario ottenere anche il rilascio del nulla osta o parere favorevole dalla relativa Amministrazione preposta alla sua tutela; esso deve valutare in primis il rapporto di compatibilità tra manufatto/intervento illecito e contesto circostante.
Il parere o atto di assenso comunque denominato, da ottenere ai sensi dell’art. 32 c.1 L. 47/85, è necessario anche nell’ipotesi di vincolo imposto successivamente alla realizzazione dell’opera, atteso che, in tali ipotesi, l’obbligo di pronuncia da parte dell’Autorità preposta alla tutela sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione, poiché tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità dei manufatti realizzati abusivamente (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 20/1999).
Tra i tanti casi esaminati si trova interessante quello del TAR Emilia Romagna n. 1017/2022 segnalatomi dal Geom. F. Viola, che merita ringraziamento doveroso.
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La fattispecie riguarda un manufatto ad uso somministrazione bar e la relativa sistemazione esterna, realizzata a ridosso della spiaggia con precedenti licenze edilizie rilasciate dal 1958 al 1968; rispetto ad esse furono effettuate opere in difformità quali ampliamento, modifiche di prospetto e trasformazione spazi esterni, per le quali è stata depositata istanza di condono edilizio ex L. 47/1985.
Tuttavia alla richiesta di parere/nulla osta ai fini paesaggistici (vincolo di fascia costiera imposto per legge), la competente Soprintendenza ha espresso un parere negativo basato sulla seguente motivazione:
“l’edificio abusivo si colloca sulla spiaggia, tra l’asse viario del lungomare di via (omissis) ed il mare, isolato, la cui presenza vanifica le molteplici visuali prospettiche che si intersecano fra il mare e l’entroterra edificato e viceversa, non trovando alcun riferimento con gli elementi naturali che costituiscono il paesaggio quali: la spiaggia, la linea dinamica di battigia che divide le terre emerse dal mare e l’orizzonte marino, emergendo negativamente con particolare evidenza rispetto al fronte edificato delle città da un lato e la costa dall’altro. Si tratta infatti di un corpo di fabbrica e relativi accessori eccessivamente proteso verso il mare, contribuendo in maniera negativa ad una ulteriore antropizzazione della fascia di arenile protetta, ostruendo le visuali che da terra verso mare e viceversa dovrebbero arricchire e valorizzare l’ambiente marino tutelato. La presenza di questi manufatti non qualifica in nessun modo lo spazio circostante, creando un rapporto disorganico e disarmonico con lo spazio circostante risultando pertanto in conflitto con l’ambiente costiero ed i suoi valori paesaggistici tutelati”.
Secondo il soggetto ricorrente contro la decisione della Soprintendenza non erano stati presi in considerazione alcuni elementi fondamentali, quali:
- non sarebbe stata in alcun modo considerata la storicità dell’opera ed il suo inserimento identitario nel contesto paesaggistico in cui si colloca;
- l’immobile si inserirebbe nello skyline dell’arenile di Bellaria Igea Marina, ponendosi in linea con le altre strutture collocate nella medesima area….(…);
- la Soprintendenza non avrebbe tenuto conto della risalenza nel tempo dell’opera di cui si richiede il condono ed il manufatto sarebbe stato realizzato prima dell’apposizione del vincolo;
- l’amministrazione preposta avrebbe dovuto tenere in considerazione le disposizioni del PTCP della Provincia di Rimini vigente laddove, viceversa, nel provvedimento impugnato non vi è alcun riferimento al Piano Territoriale ed alle sue previsioni…..;
Se analizziamo bene la situazione il problema riguarda la valutazione di adeguata motivazione del parere negativo, che a sua volta comporta il diniego del condono.
E’ un ambito particolarmente delicato, proprio perché riguardante valutazioni tecnico discrezionali poste nelle competenze delle rispettive Amministrazioni preposte alla tutela.
Sul blog si è già parlato del perimetro delle motivazioni, e si ribadiscono principi e criteri per cui:
- secondo un affermato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, il giudizio affidato all’Autorità tutoria statale in materia paesaggistico – ambientale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico – valutativa poiché implica l’applicazione di conoscenza tecniche specialistiche proprie dei settori scientifici disciplinari della storia, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità;
- l’apprezzamento compiuto dall’amministrazione preposta alla tutela è sindacabile in sede giudiziale esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione nonché sotto il profilo della adeguata motivazione e senza che il sindacato giudiziale divenga sostitutivo di quello dell’amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4666/2018, n. 2262/2017, n. 2751/2015, T.A.R. Campania, Salerno, n. 1927/2019);
- il parere ostativo si palesa illegittimo nella misura in cui, al di là delle apodittiche clausole ivi conclamate, non emerga una esaustiva verifica in ordine alla compatibilità tra i valori paesaggistici oggetto di tutela e l’intervento oggetto di richiesta di autorizzazione;
- difatti, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2858/2021) ha ritenuto, in via generale, che non sia sufficiente “una motivazione del diniego fondata su una generica incompatibilità, non potendo l’Amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate”;
- nel caso in esame il giudizio in questione pecca di un errore di fondo, quello di individuare il contesto in cui si colloca l’intervento unicamente sulla base di aspetti e caratteristiche naturali del paesaggio, obliterando del tutto gli aspetti e le caratteristiche derivanti dall’azione umana;
Infatti secondo i giudici, nel negare il condono edilizio «la Soprintendenza ha omesso di considerare la realtà dei luoghi e precisamente “l’intorno” dell’area dove insiste lo stabilimento, elemento che non può non rientrare nel giudizio che si va a dare sul rapporto tra il contesto ambientale e intervento realizzato. Se così fosse stato l’autorità statale preposta alla tutela del paesaggio si sarebbe accorta che: quel tratto di arenile è da decenni destinato all’esercizio dell’attività balneare (dove esistono ventidue stabilimenti costituiti con le stesse caratteristiche costruttive e morfologiche) e tale è percepito dall’intera collettività.»
In altri termini, «la Soprintendenza ha omesso di considerare la realtà dei luoghi e precisamente “l’intorno” dell’area dove insiste lo stabilimento, elemento che non può non rientrare nel giudizio che si va a dare sul rapporto tra il contesto ambientale e intervento realizzato. Se così fosse stato l’autorità statale preposta alla tutela del paesaggio si sarebbe accorta che: quel tratto di arenile è da decenni destinato all’esercizio dell’attività balneare (dove esistono ventidue stabilimenti costituiti con le stesse caratteristiche costruttive e morfologiche) e tale è percepito dall’intera collettività; il contesto in cui si colloca l’intervento è caratterizzato oltre che da fenomeni naturali anche da aspetti del luogo che si sono venuti a formare a seguito dell’azione dell’uomo” (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, n. 514/2021).»
Conclusioni e consigli utili
Per cercare un possibile compromesso per soddisfare le esigenze delle rispettive parti contrapposte, è necessario che l’Amministrazione preposta alla tutela dei vincoli paesaggistici svolga una valutazione sulle condizioni reali del contesto circostante e della situazione dei luoghi: in questo modo esiste la possibilità di effettuare una valutazione comparativa tra contesto (zona con vincolo paesaggistica) e manufatto/opera oggetto di condono.
Se ci pensiamo bene la valutazione di compatibilità paesaggistica è di tipo discrezionale tecnica e soprattutto relativa, essendo basato sul raffronto dettagliato tra oggetto e ambiente.
In altre parole: la stessa opera illecita, qualora calata in contesti diversi, produrrebbe effetti di contrasto o compatibilità diversi.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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