In giurisprudenza amministrativa convivono più orientamenti circa l'ammissibilità di sanatoria strutturale
La possibilità di rendere conforme lo stato illegittimo dell’immobile mediante prescrizione di opere è in contrasto con l’Accertamento di conformità
Diventa difficile spiegare al cittadino che è vietato effettuare un modesto intervento di adeguamento per rendere “doppiamente” conforme un immobile contestualmente alla procedura di sanatoria edilizia ordinaria.
Quando si parla di sanatoria edilizia si fa riferimento alla procedura ordinaria o a regime, cioè prevista dall’art. 36 del DPR 380/01 e ammissibile in qualsiasi tempo; al contrario, non si deve confonderla con la procedura di sanatoria edilizia “straordinaria”, cioè ammissibile in passato a certe condizioni e meglio nota come “Condono edilizio”.
Riportiamo alcune regole fondamentali richieste per accedere alla regolarizzazione degli immobili, escludendo la CILA tardiva ex art. 6-bis TUE, e facendo riferimento a quanto disposto dagli articoli 36 e 37 del DPR 380/01, rispettivamente previsti per:
- Accertamento di conformità per ottenere il Permesso di Costruire in sanatoria (art. 36);
- SCIA in sanatoria (art. 37);
Entrambe le procedure di sanatoria richiedono principalmente il rispetto della “doppia conformità”, cioè verifica di conformità della disciplina urbanistica ed edilizia da riscontrarsi contemporaneamente a due distinte epoche:
- al momento di presentazione della domanda di Permesso di Costruire in sanatoria (art. 36) o presentazione di SCIA (art. 37);
- al momento dell’epoca di realizzazione dell’illecito edilizio;
Poniamo la situazione in cui l’immobile presenti una configurazione tale degli illeciti edilizi che non risultino doppiamente conformi ai due momenti, e magari soltanto ad un singolo dei due momenti richiesti.
La prima cosa che può venire in mente col buon senso è di aggiustare questa mancanza di (doppia) conformità ai due momenti richiesti dalla norma, effettuando ulteriori opere di adeguamento per conformarsi alla regola o norma in cui vi è contrasto. Tuttavia ad oggi non risulta percorribile questa strada, vediamo nel prossimi paragrafi.
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Purtroppo la giurisprudenza amministrativa non condivide questa ipotesi risolutiva sostenuta dal buon senso.
Ebbene sì, nel nostro ordinamento normativo non è prevista la possibilità di effettuare opere postume alla domanda di sanatoria finalizzate ad adattare e rendere conforme l’immobile o unità immobiliare alla disciplina urbanistico edilizia vigente al momento della domanda e/o all’epoca dell’esecuzione dell’opera illecita.
La soluzione di opere postuma alla domanda non risulta ammissibile neanche qualora sia lo stesso ente pubblico ad imporla sottoforma di prescrizione o condizione essenziale al rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
Premetto che alcune norme regionali hanno invece introdotto alcune particolari procedure amministrative proprio per sopperire a quella che potrebbe apparire una carenza di “buon senso pratico”; tuttavia sul punto la Corte Costituzionale si è già espressa più volte in senso contrario, la quale conferma la rigida applicazione del principio di doppia conformità in sanatoria edilizia.
Anche la Cassazione Penale ha escluso l’applicabilità di effettuare opere postume all’istanza di sanatoria, proprio perchè verrebbe ad incidere anche (e non solo) sui profili penali.
Lo stesso criterio viene ripreso anche dalla giurisprudenza amministrativa, da ultimo per esempio dal Consiglio di Stato con sentenza n. 6180/2022, di cui riporto integralmente il passaggio più importante di seguito.
L’esecuzione di opere postume alla domanda di sanatoria edilizia, ancorchè finalizzate a rendere conformi in tutto o in parte certe irregolarità edilizie alle norme, disciplina urbanistico edilizia, strumenti urbanistici e regolamenti edilizi, congiuntamente o disgiuntamente all’epoca dell’abuso e al momento dell’istanza, si pone in contrasto col regime stesso di doppia conformità previsto dal DPR 380/01.
Infatti l’esecuzione di opere postume porterebbe a creare una conformità ex post, pertanto a minare il senso e la finalità della doppia conformità prevista dagli articoli 36 e 37 DPR 380/01.
Ma si arriverebbe addirittura a creare un altro paradosso, forse peggiorativo: l’esecuzione di opere postume o interventi condizionati potrebbe portare ad una configurazione dell’immobile non conforme alla disciplina vigente all’epoca dell’abuso, ma sopratutto al momento dell’istanza di sanatoria.
In altre parole si verrebbe a creare implicitamente una nuova difformità aggiuntiva e soprapposta a quella configurazione cristallizzata e riferita al momento dell’istanza di sanatoria (o deposito SCIA in sanatoria).
Inoltre si rammenta nuovamente che l’ordinamento nazionale non ammette la “sanatoria giurisprudenziale”, cioè senza prevedere la doppia conformità e richiedendo soltanto la singola conformità al momento dell’istanza di sanatoria.
Per il Consiglio di Stato SERVE la doppia conformità, infatti da alcuni anni la giurisprudenza amministrativa si è assestata sulla perentoria esclusione di questo tipo di sanatoria, da allora è rimasto immutato.
Estratto dalla sentenza Consiglio di Stato n. 6180/2022:
11.2. A ben diverse conclusioni si deve invece giungere con riferimento alla apponibilità di “prescrizioni” al titolo edilizio rilasciato in sanatoria.
Va al riguardo ricordato che col termine “sanatoria” vengono tradizionalmente intesi due istituti completamente diversi per presupposti e finalità, il cui unico tratto comune è dato dalla circostanza che entrambi si risolvono nella legittimazione di un intervento successiva alla sua realizzazione. L’accertamento di conformità, o “sanatoria ordinaria”, consiste nella regolarizzazione di abusi “formali”, in quanto l’opera è stata sì effettuata senza il preventivo titolo o in difformità dallo stesso, ma senza violare la disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione che a quello di presentazione della domanda (c.d. “doppia conformità”). La genesi dell’istituto risale alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (art. 13), che ha ripreso, ampliandone la portata, la limitata previsione già contenuta nella l. 28 gennaio 1977, n.10, ed è oggi trasfusa nell’articolo 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U.E.), che prevede un procedimento a domanda, sostituito in alcune Regioni dalla presentazione di una s.c.i.a. La parola “condono” invece, seppure entrata nell’uso comune, a stretto rigore non figura in alcun testo legislativo, complice una certa ritrosia linguistica ad utilizzare un termine evidentemente evocativo della portata sanante di situazioni “sostanzialmente” illecite, previo pagamento di una sanzione pecuniaria che produce l’effetto di estinguere anche la fattispecie penale identificabile nella relativa costruzione.
11.3. Con riferimento all’accertamento di conformità o sanatoria ordinaria, per come oggi definita dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, la tesi ostativa alla apposizione di condizioni muove dall’assunto che il presupposto espressamente richiesto dalla norma è che l’intervento da sanare risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Il divieto di contenere prescrizioni è diretto corollario di tale cornice giuridica, poiché altrimenti si finirebbe per postulare non già la “doppia conformità” delle opere abusive richiesta dalla norma, ma una sorta di conformità ex post, condizionata all’esecuzione delle prescrizioni e quindi non esistente né al momento della realizzazione delle opere, né al tempo della presentazione della domanda di sanatoria, bensì – eventualmente – solo alla data futura e incerta in cui il ricorrente abbia ottemperato alle stesse (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4176, secondo cui «alla luce del vigente ordinamento giuridico, non è ammissibile il rilascio di una concessione in sanatoria subordinata alla esecuzione di opere edilizie, anche se tali interventi sono finalizzati a ricondurre il manufatto nell’alveo della legalità», atteso che «contrasterebbe ontologicamente con gli elementi essenziali dell’accertamento di conformità, i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina urbanistica»).
Conclusioni e consigli
Ritengo tuttavia maturi i tempi per modificare la versione eccessivamente rigida dell’istituto della sanatoria edilizia, prevedendo dei paletti dettati dal buon senso e magari di superare il tabù della cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”, cioè contemplante soltanto la singola conformità al momento dell’istanza.
Perchè se ci facciamo caso, nel vigente DPR 380/01 esiste già una ridotta possibilità di applicare la “sanatoria giurisprudenziale”: si chiama CILA tardiva, da presentare ai sensi dell’art. 6-bis TUE ed essa richiede il rispetto della sola conformità al momento della sua presentazione.
Faccio pure notare che a forza di interventi correttivi e modifiche al DPR 380/01, la categoria delle opere rientranti in CILA è accresciuta, per esempio con l’allargamento del perimetro di manutenzione straordinaria “leggera”. Vediamo se il legislatore prenderà spunto.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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