La giurisprudenza ha elaborato principi utili per quantificare il contributo di costruzione
Per la Cassazione qualifica ristrutturazione se mantiene caratteristiche identitarie con edifici anche dopo DL 76/2020
Ci risiamo con quanto già espresso con precedente articolo: la Cass. Penale con sentenza n. 18044 del 08 maggio 2024 ha ribadito una rigorosa linea nel determinare il confine tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione. Per molti desta stupore che tale interpretazione avvenga anche a posteriori del D.L. 76/2020, che ha cercato di innalzare (di poco) le possibilità di effettuare ristrutturazioni sostanziali all’interno della categoria prevista dall’articolo 3 comma 1 lettera d) DPR 380/01.
Ripercorriamo la questione anche con le precedenti pronunce, rammentando che su tale argomento ho prodotto anche un apposito video corso online.
La predetta sentenza di Cassazione penale n. 18044/2024, relativa ad una demolizione di preesistente edificio commerciale in cinque villini residenziali con diversi sedime, sagoma e volumetria, ha ripreso i limiti della nozione di ristrutturazione edilizia, che per definizione non può mai prescindere dalla finalità di recupero del singolo immobile che ne costituisce l’oggetto. Gli stessi limiti e lo stretto rapporto rimane invariato anche alla luce delle semplificazioni apportate dal DL 76/2020 alla categoria di intervento: l’alta Corte ritiene ancora che debbano rientrare in ristrutturazione edilizia soltanto quegli interventi finalizzati al recupero di fabbricati esistenti di cui sia conservata traccia, dovendo l’edificio presentare caratteristiche funzionali o identitarie coincidenti con quelle del corpo di fabbrica preesistente (vedi anche Cass. Pen. n. 1670/2023).
In altre parole, non tutte le trasformazioni dell’organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente sono ammesse in ristrutturazione edilizia (art. 3 comma 1 lettera d) DPR 380/01), ma quelle in cui sia sempre identificabile con quello preesistente.
La Cassazione ha inteso estendere lo stesso significato univoco di ristrutturazione edilizia applicato antecedentemente al DL 76/2020, cioè che essa non può prescindere dalla finalità del recupero edilizio senza tradire quella di conservare il patrimonio esistente, anche per evitare l’elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della ricostruzione (Cass. Pen. n. 18044/2024, n. 23010/2020).
Riflessione di commento
Il confine tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione è in continuo movimento a partire dalla L. 457/78 che ha distinto per la prima volta le rispettive categorie; in tutti questi anni i principali cambiamenti e diversificazioni sono avvenuti tendenzialmente verso l’alto, aumentando cioè l’ambito applicativo della ristrutturazione edilizia e dei relativi titoli edilizi semplificati (DIA e SCIA). Premesso che (anche) questo ambito è stato attenzionato nel bene e nel male anche dalle Regioni, il perimetro della categoria di ristrutturazione edilizia si è allargato con la prima emanazione del DPR 380/01, ancorché sdoppiato con la sua versione di “ristrutturazione pesante” (che non ha più senso mantenerla); dopo di ché ci sono stati i rilanci e distinguo operati da:
- DL 69/2013 (L. 98/2013)
- DL 133/2014 (L. 164/2014)
- D.Lgs. 222/2016
- DL 76/2020
- DL 17/2022 (L. 34/2022)
- DL 50/2022 (L. 91/2022)
Nonostante i rialzi e l’eccessiva differenziazione stratificata (tra demo-ricostruzioni in zone vincolate o meno, ripristino di edifici crollati, e così via), ancora oggi esiste una buffer zone in cui è possibile impantanarsi tra ristrutturazione edilizia e sostituzione edilizia, intendendo quest’ultima una forma di modifica sostanziale di quanto edificato sul lotto in un qualcosa di completamente diverso, equipollente a nuova costruzione. L’attuale definizione di ristrutturazione edilizia contenuta nel vigente articolo 3 comma 1 lettera d) DPR 380/01 dispone nei primi due periodo:
d) “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico.
Da come è scritta, sembrerebbe ammissibile una sorta di “sostituzione edilizia” a parità di volume preesistente, salvo le speciali ipotesi di (limitati) incrementi volumetrici di “scopo”; praticamente all’interno del lotto edificato si dovrebbe avere libertà di intervento a parità di volumetria, senza sforare in nuova costruzione. Ma tant’è che questa linea, a quanto pare, non è condivisa dalla predetta ultima sentenza di Cass. Penale.
Però c’è una cosa che rema a favore della tesi rigida di Cassazione Penale, che risulta sfuggita a più autori e giuristi: il mantenimento del rapporto sostanziale col preesistente edificio non è connesso solo come criterio identitario e di traccia, ma anche funzionale.
In base anche a quanto meglio evidenziato nel mio penultimo libro “Mutamento d’uso immobiliare”, le ristrutturazioni edilizie demo-ricostruttive se risultano accompagnate anche da cambi di destinazione d’uso rilevante, finiscono per configurare nuova costruzione (sostituzione edilizia). Quante volte si è detto che, norme regionali a parte, il mutamento d’uso tra categorie urbanisticamente rilevanti configura trasformazione edilizia autonoma soggetta a permesso di costruire (vedi Allegato A del D.Lgs. 222/2016). Perfino cambiare una cantina in appartamento richiede il permesso di costruire perchè ritenuta intervento edilizio rilevante, figurarsi se avviene contestualmente a ristrutturazione edilizia.
E comunque, nella vigente definizione di ristrutturazione edilizia non è compresa anche il cambio di destinazione d’uso rilevante, cioè tra diverse categorie funzionali. Pochi o forse nessuno ancora ha capito questa sottigliezza.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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