In giurisprudenza amministrativa convivono più orientamenti circa l'ammissibilità di sanatoria strutturale
Una parte di immobili è stata costruita in forza di vecchie licenze edilizie senza “varianti finali” e dotati di autorizzazione di Abitabilità rilasciata dal Sindaco
Sintetizzare la moltitudine problemi che attanagliano la legittimazione urbanistica degli immobili è pressoché impossibile, ma cerchiamo in questa sede di fornire i fondamenti necessari a risolvere una rosa di problemi presenti in molti alloggi, facendo riferimento a ricerche svolte nella durante la mia esperienza.
Prima una brevissima sintesi dei principali provvedimenti normativi per l’edificabilità dei suoli.
Partiamo dalla famigerata Legge “Fondamentale” n° 1150/1942, la quale[1] istituiva l’obbligo di ottenere la licenza edilizia per gli interventi di « nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l’aspetto nei centri abitati » e, dove esiste il PRG, anche dentro le zone di espansione.
La successiva normativa “chiave” in materia di urbanistica fu la celeberrima “Legge Ponte”, ovvero la n° 765 del 06 agosto 1967, la quale tra le varie innovazioni, estendeva l’obbligo di licenza edilizia a tutto il territorio comunale, a prescindere dalla dotazione o meno di strumento urbanistico da parte del Comune.
Con l’entrata in vigore della successiva Legge “Bucalossi” n° 10/1977 cambia assai la procedura di rilascio dei titoli abilitativi infatti la Licenza edilizia, che aveva valenza di un anno dal rilascio, viene sostituita dalla Concessione edilizia con valenza di tre anni dal rilascio.
Premesso la suddetta sintesi, focalizziamo l’attenzione sugli standard di rappresentazione grafica degli elaborati e disegni inerenti le costruzioni.
Dagli accessi agli atti svolti presso gli archivi comunali si nota che fino agli Anni Sessanta dello scorso secolo nelle piante delle costruzioni era frequente presentare la “pianta tipo” ovvero una pianta generica usata per rappresentare anche molti piani diversi e riportante le sole quotature di sagoma e le altezze; le altre informazioni geometriche erano optional.
Si evince anche una frequente assenza di disegni di sovrapposto (tra stato attuale e di progetto) e di varianti finali al termine dei lavori; tuttavia la stragrande maggioranza di questi edifici otteneva la Licenza di Abitabilità nel giro di poco tempo.
Negli Anni Settanta dello scorso secolo la normale “cultura professionale” si eleva sulla spinta delle innovazioni normative, tecnologiche e anche culturali, ma anche (o soprattutto ? ) grazie al fatto che molti Comuni cominciano a dotarsi dei prescritti strumenti urbanistici (Piani Regolatori o Programmi di Fabbricazione) e/o ad ammodernare i regolamenti edilizi. Spesso questi ultimi introdussero i “contenuti minimi” di rappresentazione degli elaborati progettuali relativi all’ottenimento dei vari permessi edilizi.
Infatti svolgendo accesso agli atti presso gli archivi comunali locali si riscontra un tangibile miglioramento nel dettaglio rappresentativo negli elaborati prodotti per le licenze edilizie del suddetto decennio.
Diviene anche prassi ordinaria la presentazione di documentazione fotografica dello stato attuale, prassi diffusa ma rafforzatasi (di fatto) con l’entrata in vigore della Legge Bucalossi; tale prassi, ancorché assai diffusa, vede la sua introduzione ufficiale nel quadro normativo con l’Art. 35 comma B della Legge sul primo Condono Edilizio n° 47/1985.
Quanto ciò finora descritto rende ben comprensibile un fondamentale aspetto oggetto della trattazione, ovvero le varianti finali.
Le recentissime innovazioni normative introdotte a livello nazionale, in sede di trasferimenti immobiliari e in sede di presentazione pratiche edilizie, prescrivono l’obbligo di conformità urbanistica al reale stato dei luoghi. In parole semplici, gli elaborati dello stato attuale devono pienamente corrispondere alla reale consistenza dell’immobile, sia volumetrica, distributiva, di destinazione d’uso, etc.
Non si vuole aprire in questa sede polemiche contro o a favore di questi criteri di conformità, piuttosto poniamo attenzione ad una problematica riscontrata con certa frequenza su alcuni immobili edificati nel Dopoguerra fino a pochi decenni fa, in particolari le difformità plani-volumetriche degli edifici realmente eseguiti rispetto alle licenze/concessioni edilizie rilasciate e soprattutto, dotati di Autorizzazione di Abitabilità.
Prima però un cenno sulle Licenze/autorizzazioni di Abitabilità/Agibilità: la normativa allora vigente e fino all’entrata in vigore del DPR n° 425 del 22 aprile 1994 prescriveva che il rilascio dell’Abitabilità[2] avvenisse con formale autorizzazione del Sindaco[3], previo sopralluogo di un Ufficiale Sanitario (o ingegnere delegato) e quando risulti[4] che la costruzione si stata eseguita in conformità al progetto approvato. Successivamente all’approvazione del predetto DPR n° 425 del 22 aprile 1994 viene introdotta[5] una modifica sostanziale, ovvero che il compito di verifica dell’Ufficiale Sanitario viene attribuito al direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria responsabilità, la dichiarazione di Conformità dell’opera rispetto al progetto approvato e l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti.
ANALISI DI MERITO
In sede di ricerche e verifiche sugli immobili, spesso purtroppo si riscontrano difformità volumetriche, e spesso di modeste entità, ma non inquadrabili come “variazioni essenziali” o nelle tolleranze edificatorie.
Tenuto conto del quadro normativo vigente, una volta riscontrata o accertata difformità di questo genere la stessa normativa esige che si debba chiedere ed ottenere la sanatoria per tali difformità in quanto abusi edilizie.
Come deve procedere allora il cittadino proprietario di simile immobile?
Con la procedura di Accertamento di Conformità[6], la quale in via estremamente semplicistica pone un pesante presupposto ovvero la “doppia conformità” dell’intervento abusivo agli strumenti urbanistici vigenti alla domanda di sanatoria (oggi) e vigenti all’epoca dichiarata dell’abuso.
In via ancora estremamente semplicistica, gli abusi possono essere:
- Rimossi entro il termine indicato da specifici provvedimenti comunali;
- Sanati mediante accertamento di conformità (procedura ben diversa dal Condono Edilizio, anche se produce simili effetti sanatori);
Una parte di immobili è stata edificata in forza di vecchie licenze edilizie, spesso sprovvisti di “varianti finali” e dotati di Autorizzazione di Abitabilità rilasciata dal Sindaco; rispetto ai suddetti progetti l’immobile può presentarsi con variazioni planivolumetriche quali altezze diverse, oppure un perimetro diverso con dimensioni altrettanto diverse, anche se simili agli elaborati progettuali depositati; tuttavia ciò si traduce in una palese parziale difformità edilizia, e pertanto abuso da sanare, sconfinando anche nella totale difformità.
Non è raro riscontrare piccoli condomini con poche unità immobiliari aventi, per esempio, misure in pianta superiori a 40 centimetri.
In tale fattispecie si può solo procedere con la procedura di accertamento di conformità per sanare gli abusi; il fatto è che spesso tale abuso difficilmente può essere conforme sia ai vigenti strumenti urbanistici, sia anche a quelli dell’epoca dell’abuso (coincidente con la fine lavori dell’intervento edilizio).
Ma non solo: spesso l’abuso di fattispecie, sulla base di preventivo e motivato accertamento dell’ufficio tecnico, non può essere rimosso o demolito(pensiamo per motivi strutturali) e pertanto può essere comunque sanato, ma il Comune applica <<una sanzione pari al doppio dell’aumento di valore venale dell’immobile conseguentemente alla realizzazione delle opere, valutato dall’ufficio tecnico comunale, etc>>. Si tratta di una discreta somma che a seconda dei casi si attesta su alcune migliaia di euro;
E’ difficile far comprendere agli attuali proprietari che devono sanare a loro spese abusi effettuati dal costruttore sui loro alloggi costruiti circa quarant’anni fa (ancorché dotati di Autorizzazione di Abitabilità rilasciata dal Sindaco)
Ecco allora che, concludendo la presente trattazione, si deve cominciare a prendere in esame la “ sanatoria giurisprudenziale ”, nomigliolo attribuibile in seguito alla giurisprudenza che si cita in estrema conclusione. Al momento questa non è codificata dalla vigente normativa, ma il legislatore nazionale e regionale deve cominciare a prenderla in seria e urgente considerazione.
Il Comune di Firenze, a modo suo, ha fatto da apripista con l’approvazione di sua Delibera consiliare n° 040/2012 del 23 luglio 2012, eliminando la sanzione per abusi commessi sugli immobili fino all’entrata in vigore della Legge 10/1977 e connessi alla mancata presentazione di Variante in corso d’opera e, condizione necessaria, che siano dotati di Abitabilità.
Nella stessa direzione si riscontra una recente giurisprudenza, ad esempio Cass. Civ. Sez. II n. 17498 del 12/10/2012, la quale afferma[7] in sintesi finale che <<nel regime degli art. 221 t.u.l.s e D.p.r. 22 aprile 1994, n. 425, art. 4 — vedi ora artt. 24 e 25, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 — il rilascio del certificato di abitabilità era subordinato alla richiesta del certificato di collaudo, alla certificazione dell’iscrizione dell’immobile al catasto e ad una dichiarazione dei direttore dei lavori che doveva certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato (originario o in sanatoria), l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti e che gli atti amministrativi godono di una presunzione iuris tantum di legittimità. Di conseguenza con il rilascio del certificato di abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, le suddette condizioni senza necessità della produzione di un certificato ulteriore tanto più che, come rilevato dal giudice di primo grado con motivazione condivisa dal giudice di appello, dal permesso di abitabilità risultava che era stata effettuata dall’ufficio Tecnico del comune che aveva certificato la Conformità dell’opera alla concessione edilizia>>.
Quest’ultima si traduce in forma e sostanza in una sorta di sanatoria giurisprudenziale.
Note e Riferimenti:
[1] Art. 31 L. 1150 del 17 agosto 1942
[2] Testo Unico Leggi Sanitarie n° 1265 del 27 luglio 1934 Art. 221:
“Gli edifici o parti di essi indicati nell’articolo precedente[220] non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità”
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] Art. 4 DPR 425/1994
[6] Art. 140 Legge Regionale Toscana n° 1/2005
[7] http://www.fanpage.it/il-certificato-di-agibilita-e-la-conformita-dell-opera-ai-titoli-edilizi-cassazione-12-10-2012-n-17498/#ixzz2M81dG5IP
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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