Cassazione conferma il concetto per qualificare illeciti edilizi e difformità al permesso di costruire
La fiscalizzazione della mancata demolizione o rimessa in pristino delle parziali difformità non legittima l’intervento abusivo e ne consente la sola permanenza in situ.
In materia di regolarizzazione degli immobili il nostro ordinamento introduce fin dall’approvazione della L. 10/1977 requisiti e criteri necessari per ottenere la sanatoria ordinaria degli abusi effettuati su di un immobile.
Dal 1977 e al 1985 vi era la sola possibilità di sanare le opere difformi ad una concessione edilizia, a condizione che la loro rimozione recasse pregiudizio alla parte legittimata e irrogando una sanzione pari al doppio del valore della parte abusiva apportata (ancora non si parlava di aumento del valore come invece avviene dopo la L. 47/85).
L’art. 15 della L. 10/77 affrontava l’argomento con un piccolo comma, implicitamente riferite alle sole parziali difformità della Concessione edilizia:
Nel caso in cui le opere difformi non possono essere rimosse senza pregiudizio della parte conforme, il sindaco applica una sanzione pari al doppio del valore della parte dell’opera realizzata in difformità dalla concessione;
In questo caso gli aspetti giuridici di sanatoria non erano ben chiari come invece inquadrati oggi, in particolare non era contemplato:
- il criterio di doppia conformità;
- se il pagamento della sanzione comportasse il rilascio della C.E. in sanatoria o meno;
Dal 1985, attraverso la L. 47/85, per le parziali difformità alle Concessioni edilizie furono specificate in due casistiche distinguibili dal criterio di rispetto della conformità:
- doppiamente conformi assoggettate ad Accertamento di conformità;
- non doppiamente conformi la cui rimozione è pregiudizievole per la parte conforme;
In assenza di provvedimenti straordinari come i Condoni Edilizi del 1985, 1994 e 2003, quelle rientranti nel primo gruppo possono ottenere il relativo titolo in sanatoria, denominati nel 1985 quali Concessione edilizia in sanatoria e Autorizzazione edilizia in sanatoria, titoli non più rilasciati.
CONCETTO E RATIO DELLA DOPPIA CONFORMITA’
Con la L. 47/1985 è stata introdotta la doppia conformità quale requisito indispensabile per ottenere il rilascio di titoli in sanatoria al di fuori degli straordinari provvedimenti di condono edilizio.
Il motivo alla base di questo criterio era teso ad evitare ” varianti ad personam “, ovvero evitare il rischio di adattamenti dello strumento urbanistico preordinati a successiva regolarizzazione da parte del reo.
In effetti, trattasi di vero processo all’intenzione, tutto sommato fondamentalmente congruente sul profilo della legalità; a mio avviso oggi tale meccanismo pensato per una rigorosa applicazione potrebbe essere risolto tramite un miglior controllo delle varianti e limitando temporalmente il requisito della doppia conformità agli ultimi cinque/dieci anni antecedenti all’istanza di regolarizzazione.
Al contrario, riuscire a far rispettare la doppia conformità dell’abuso al momento della domanda di regolarizzazione e ad epoche sempre più lontane da oggi diviene in buona parte una combinazione rara.
Penso inoltre che abusi effettuati in epoche lontane e antecedenti all’emanazione della L. 47/1985 non dovrebbero essere più perseguili sul piano urbanistico per avvenuto affidamento nel privato: un simile trattamento di imprescrittibilità è riservato solo all’ergastolo.
Premessa 1:
quanto segue non considera volutamente la parte attinente alla vincolistica sovraordinata, che merita specifica trattazione non oggetto della presente, prettamente di matrice urbanistica;
Premessa 2:
quanto segue analizza le parziali difformità “rilevanti” ovvero quelle soggette oggi a Permesso di Costruire;
Presenza di DOPPIA CONFORMITA’
Se le opere difformi/abusi rispettano contemporaneamente il doppio criterio di conformità agli strumenti e regolamenti urbanistici/edilizi vigenti sia all’epoca di esecuzione sia al momento della presentazione dell’istanza, allora per essi è possibile ottenerne sanatoria con conseguente legittimazione sotto il profilo urbanistico.
Nell’attuale art. 36 DPR 380/01 la procedura di Accertamento di Conformità porta al rilascio dell’opportuno titolo in sanatoria subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall’articolo 16 del T.U.E .
Assenza di CONFORMITA’ DOPPIA
Rientrano in questa fattispecie gli abusi di parziali difformità:
- conformi ad oggi – non conformi all’epoca dell’abuso;
- conformi all’epoca dell’abuso – non conformi ad oggi;
- non conformi all’epoca dell’abuso – non conformi ad oggi;
In questi casi non si può ottenere il titolo in sanatoria e quindi di legittimarne la permanenza sotto il profilo urbanistico, soprattutto in vista di eventuali futuri interventi che potrebbero coinvolgere ad esempio la volumetria abusiva o difforme.
Per essi l’attuale impianto normativo nazionale consente di non rimuovere le parziali difformità, senza tuttavia legittimarne la loro esistenza, ad una sola condizione: che il ripristino comporti pregiudizi alla parte conforme.
Merita particolare attenzione la prima casistica:
- da una parte intende salvaguardare fermamente il principio di legalità espresso col criterio della “doppia conformità”;
- di converso si perviene alla contraddizione di dover rimuovere un’opera abusiva che oggi legittimabile con regolare permesso;
Questa assurda condizione potrebbe essere risolvibile con l’introduzione normativa della c.d. “Sanatoria giurisprudenziale“, la cui applicazione è puramente “pretoriana” perchè scaturente solo dai procedimenti giudiziari.
FISCALIZZAZIONE MANCATO RIPRISTINO
Per gli abusi rientranti in questa categoria l’art. 34 del T.U.E. prevede l’applicazione di sanzione legata alla destinazione:
- uso residenziale: sanzione pari al doppio del costo di produzione, calcolato L. 392/78 (ex Equo Canone), per la parte di opera realizzata in difformità dal PdC;
- uso diverso dal residenziale: sanzione pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere abusive;
In questi casi la sanzione è incamerata a titolo di “fiscalizzazione” degli abusi in questione, permettendo di mantenerli in loco piuttosto che procedere alla rimozione o demolizione.
La c.d. fiscalizzazione non comporta quindi una generalizzata sanatoria ovvero il riconoscimento della conformità di quanto realizzato alla pertinente disciplina urbanistica ed edilizia.
Al contrario per espressa previsione di legge, tale circostanza deve avvenire nel solo caso in cui « la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità », senza che tale riconoscimento possa comportare l’effetto sanante ex post degli interventi abusivi ovvero un accertamento di conformità assimilabile a quello previsto dal successivo articolo 36 del medesimo d.P.R. 380 del 2001 (Cons. di Stato n. 352/2016).
Secondo il costante e condiviso orientamento del Consiglio di Stato il riconoscimento della possibilità di sostituire la (doverosa) demolizione e rimessione in pristino con il pagamento della sanzione pecuniaria e la permanenza in loco dell’intervento, non elide il carattere abusivo delle stesse opere ( Cons. Stato, VI, 9 aprile 2013, n. 1912).
In estrema sintesi proponiamo un esempio minimale:
Ammettiamo l’esistenza di un immobile di due piani realizzato con una concessione o licenza edilizia tanti anni fa:
In seguito nel 2002 la copertura fu alzata in quota per 30 cm con inserimento cordolo in c.a. sulle murature esistenti; il suo ripristino, anche per motivi strutturali sarebbe pregiudizievole per la parte legittimata e quindi viene “fiscalizzata” la mancata rimessa in pristino tramite sanzione pecuniaria e senza rilascio di PdC in sanatoria (fatto salvo specifici aspetti strutturali e vincolistici su cui esuliamo per semplicità).
Ammettiamo per assurdo che oggi ci sia esigenza o volontà di demolire e ricostruire l’intero immobile: in questo caso non sarebbe possibile ricostruire la sagoma comprensiva della porzione volumetrica sopraelevata in quanto non legittimata.
Naturalmente il discorso diventa diverso in caso di sostituzione edilizia integrale in presenza di nuovi indici edificatori per intervenuta variazione al PRG: si ribadisce che l’esempio di cui sopra è da intendersi come puramente esemplificativo.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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