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Nei centri storici il cambio di destinazione d’uso è soggetto a permesso di costruire.

Il caso “Tornabuoni” potrebbe avere conseguenze su tutto il centro storico di Firenze

Ciò emerge dalla recente sentenza di Cassazione Penale III n. 6873/2017, la quale ribadisce il fatto che a prescindere dalla categoria di intervento, il mutamento di destinazione d’uso degli immobili ricadenti in zona omogena A (centri storici e nuclei storici) è soggetta al Permesso di Costruire.

Tra l’altro si legge dalla testata Firenze Today che in conseguenza a tale pronuncia, il Comune di Firenze ha sospeso tutti i cambi di destinazione d’uso a tempo indeterminato, e ha applicato la sentenza con efficacia retroattiva obbligando la rimessa in pristino per gli immobili il cui cambio di destinazione era stato approvato da gennaio 2017 (leggi articolo).

Di questo argomento ne avevamo già parlato in un precedente articolo a cui rimando per maggiori approfondimenti (clicca qui).

Ma veniamo al caso specifico “Tornabuoni”.

Dalla sentenza di evince la contestazione di opere edilizie compiute in assenza del permesso di costruire e comunque in totale difformità da numerose DIA presentate in violazione dell’art. 79 LR Toscana n. 01/2005. 

Nell’epigrafe della sentenza si legge che con tali opere sono state eseguite sul <<Palazzo Tornabuoni-Corsi di Firenze, situato in zona A del PRG (Centro storico), un insieme sistematico di opere tali da realizzare un complesso in gran parte nuovo, mediante la radicale ed integrale trasformazione dell’immobile, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali dell’edificio, comportanti l’aumento delle unità immobiliari, l’alterazione dell’originale impianto tipologico-distributivo nonché dei caratteri architettonici dell’edificio, la modifica delle destinazioni d’uso di parti rilevanti dell’immobile stesso, trasformato in gran parte (10.000, metri quadrati) in struttura turisiticoricettizia, in attività terziarie e commerciali, e ciò in assenza “ogni adeguata dimostrazione della compatibilità con i caratteri storici, morfologici, tipologici ed architettonici dell’edificio”, come imposto dall’art. 6.2 delle NTA del PRG.>>

Il fatto che questo tipo di intervento di trasformazione fosse stato compiuto con DIA è l’oggetto principale di contestazione.

La Suprema Corte ribadisce alcuni principi fondamentali nell’analizzare il caso, che ritengo utili riportare in sintesi:

  • parcellizzazione artificiosa dell’intervento edilizio: la realizzazione di opere edilizie necessita di titolo abilitativo riferito all’intervento complessivo e non può essere autorizzata con artificiosa parcellizzazione. Il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso, infatti attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale;
  • ristrutturazione edilizia e restauro:  la categoria “ristrutturazione edilizia” a fronte del più ristretto ambito di quelle del “risanamento conservativo” e del “restauro” come configurate dal D.P.R. n. 380 del 2001 e dal D.Lgs. n. 42 del 2004, [comporta] la radicale ed integrale trasformazione dei componenti dell’intero edificio, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali di esso, comportanti l’aumento delle unità immobiliari nonché l’alterazione dell’originale impianto tipologico – distributivo e dei caratteri architettonici»;
  • mutamento d’uso postuma all’ultimazione del fabbricato: quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l’ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza (ipotesi ricorrente nella vicenda in esame), si configura in ogni caso un’ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dall’art. 3, comma 1, lett. d) del cit. T.U., in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. L’intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione»;
  • mantenimento destinazione d’uso e manutenzione straordinaria: resta imprescindibile necessità di mantenere l’originaria destinazione d’uso caratterizza ancor oggi gli “interventi di manutenzione straordinaria”, non avendo alcun rilievo il fatto che, in conseguenza delle modifiche introdotte dall’art. 17, comma 1, lett. a), nn. 1 e 2, d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, sia oggi consentito nell’ambito di detti interventi procedere al frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico;
  • restauro e risanamento conservativo tra Scia e PdC: resta, in ogni caso, il fatto che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d’uso anche all’interno della medesima categoria funzionale.

In sostanza il mutamento di destinazione d’uso nelle zone omogenee A (es. centri storici) ricade sotto il Permesso di Costruire, e non in Dia/Scia.

Questo aspetto non emerge solo per questione di carattere giurisprudenziale, piuttosto è pienamente congruente col principio statuito dal Testo Unico per l’edilizia, all’art. 10, il quale assoggetta a permesso di costruire la ristrutturazione edilizia comportante cambio di destinazione d’uso nelle zone omogenee A.

Poco importa il fatto che il restauro e risanamento conservativo non sia citato tra gli atti soggetti a permesso di costruire, e che gli possa consentire destinazioni d’uso compatibili: questa impostazione diviene recessiva se comparata alla ristrutturazione edilizia soggetta a PdC con cambio d’uso.

Pertanto, i cambi di destinazione d’uso compiuti nelle zone omogenee A (centri storici e/o nuclei storici anche in territorio aperto) mediante DIA/SCIA invece col Permesso di costruire, tali interventi sono da considerare illegittimi, in particolare nell’ipotesi di totale difformità.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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