Costruzioni e interventi esonerati dal titolo abilitativo richiedono dimostrazione epoca e consistenza
La dimostrazione della conformità dell’immobile passa anche dalla continuità tra fonti documentali
Per svolgere le opportune verifiche immobiliari è necessario impostare un approccio storiografico dell’immobile, verosimilmente a quanto si insegna negli esami universitari di Restauro.
Praticamente si deve immaginare di prendere una macchina del tempo per cercare in via regressiva tutti i vari stadi di cambiamento e trasformazioni avvenuti fin oltre l’epoca di obbligo di titolo abilitativo comunque denominato.
E anche stavolta si deve ricordare che tale limite non va applicato tout court all’Ante ’67, o al precedente Ante ’42 (cioè rispettivamente nella legge ponte n. 765/67 o legge fondamentale n. 1150/42); bensì la giurisprudenza ci insegna che l’obbligo di licenza, nulla osta o autorizzazione ad edificare poteva essere già stato introdotto prima dell’entrata in vigore della L. 1150/42 in base a norme (che si omettono per brevità), o regolamenti locali previgenti alla Fondamentale.
Spesso nel fare le ricerche e verifiche ci si imbatte nel silenzio o carenza delle fonti documentali, e in questo articolo vorrei affrontare un caso specifico sul criterio di ricostruzione coerente delle fonti.
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Definizione di Stato Legittimo immobiliare nel TUE
La definizione di Stato Legittimo è stata introdotta dall’art. 10 comma 1 lettera d) DL 76/2020 (conv. in L. 120/2020), trovando collocazione nell’art. 9-bis c.1-bis del DPR 380/01, che riporto integralmente:
1-bis. Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.
Ho sempre sostenuto che per stabilire la storia della legittimazione urbanistico edilizia dell’edificio, o porzioni di esso, sia necessario riscontrare qualsiasi documento rilevante nel dimostrarne datazione e consistenza.
In particolare è ribadito il criterio di coerenza, continuità e congruenza reciproca tra i successivi stadi evolutivi dell’immobile, al pari di un processo investigativo finalizzato a ricostruire la storia totale della vicenda.
Valenza probante di Atti notarili e accatastamenti intermedi
Non si possono ignorare tutti i passaggi, trasformazioni o semplici descrizioni della consistenza reperibili da tutte le risultanze documentali interposte nell’arco temporale storico, cioè compreso tra oggi e il primo titolo abilitativo all’edificazione della costruzione originaria. Oppure, in mancanza di quest’ultima, fin oltre l’epoca in cui non vi era obbligo di titolo abilitativo in quel luogo.
Questo criterio è stato confermato anche recentemente nella fattispecie della sentenza TAR Campania, Salerno n. 02/2022, avente per oggetto l’impugnazione anche di ordinanza di rimessa in pristino e demolizione di abusi edilizi.
Il caso analizzato riguarda un incremento volumetrico di un edificio rurale risalente, cioè realizzato in epoca remota e anteriore all’entrata in vigore della L. 1150/1942, il quale diventa assoggettato a tutela paesaggistica tramite vincolo apposto con DM 23.01.1954.
L’immobile viene considerato preesistente al 1942, con una consistenza di 58 mq sulla base della mappa catastale prodotta nel periodo 1901-1905 (sic).
In seguito l’immobile è oggetto di compravendita con atto notarile del 1961, dove lo stesso immobile rurale viene descritto come “fabbricato rurale are 0,58”, cioè appunto 58 mq. Ricordo ancora una volta, che l’obbligo di accampionare al Catasto Urbano/Fabbricati gli immobili rurali è stato introdotto ripetutamente a partire dagli Anni ’80, salvo norme precedenti.
Nel 1997 avviene un altro passaggio di proprietà con rogito notarile, nel quale viene ancora riportata la consistenza del fabbricato pari a 58 mq, rispetto a 112 mq effettivamente accertato e contestato dagli organi competenti nel 2020.
Infine, interviene un ultimo atto di trasferimento immobiliare del 2018, anch’esso attestante l’esecuzione del fabbricato in epoca anteriore al 1 settembre 1967; tale atto viene peraltro rettificato nel 2020 congiuntamente alla rettifica catastale medesimo anno, che aggiorna la consistenza vigente e superiore ai 58 mq originari.
Il proprietario avrebbe sostenuto una sorta di “continuità implicita regressiva” della consistenza presente ai giorni nostri, praticamente sostenendo che il fabbricato abbia avuto sempre quella maggior consistenza, giustificando l’erroneità dei dati indicati negli atti di provenienza e catastali, successivamente rettificati.
La tesi del cittadino ricorrente non convince il collegio giudicante del TAR, il quale basandosi sulla ricostruzione documentale svolta dal proprio tecnico verificatore (consulente tecnico d’ufficio, ndr), la respinge e conferma l’ordinanza di demolizione.
Infatti le risultanze della verificazione compiuta sono convalidate, considerando attendibile la congruenza e continuità tra le rispettive evidenze documentali, peraltro supportate dall’acquisizione di aerofotogrammetrie e cartografie catastali (tra cui Google Earth).
In particolare viene dato maggior valore probante e attendibilità alle risultanze documentali più vicine alla presumibile epoca di edificazione, e all’introduzione del vincolo paesaggistico (1954).
Dalla predetta sentenza del TAR Salerno (cfr anche TAR Napoli n. 5723/2021) risulta confermato che il carattere abusivo delle opere sia desumibile dalla rilevata assenza di titoli abilitativi o dalla differenza da quanto risultante dalle acquisizioni cartolari o documentali.
Conclusioni e consigli
Le verifiche vanno estese nell’arco temporale più consono, da valutare sempre caso per caso.
Certamente, il consiglio in questo caso è non tralasciare nessun documento, atto notarile o qualsiasi fonte capace di descrivere la consistenza dell’immobile con data certa.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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