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Fino al 1942 in Italia non c’era una norma uniformante su scala nazionale procedure, disciplina e contenuti in materia di  pianificazione urbanistica.

  Andrea Pantaleo

Il Programma di Fabbricazione è stato uno strumento urbanistico finalizzato ad una pianificazione minimale del territorio.

La realizzazione di un piano era guidata da norme e leggi speciali, gli esempi maestri furono i grandi piani di ampliamento di fine ‘800 e inizi ‘900 di città come Firenze, Roma, Milano, Torino, Genova, Napoli, Bologna e altre medie e grandi realtà.

Nel 1930 fu fondata l’INU (Istituto Nazionale Urbanistica), l’istituzione che si pose il principale scopo di studiare problemi tecnici, economici e sociali relativi allo sviluppo dei centri urbani e alla corrispettiva organizzazione e funzionamento dei servizi pubblici, idee sulle quali fu preparato il futuro urbanistico dell’Italia.
La prima fase dell’INU si concluse con l’approvazione della prima legge urbanistica Italiana, la n. 1150/42 definita anche “fondamentale” e di cui alcune sue parti residuali sono tutt’oggi vigente dopo molte integrazioni e parziali modifiche.

L’impianto normativo della pianificazione Italiana è ancora impostato dalla L. 1150/1942 che disciplina lo sviluppo dei centri abitati e del territorio.
Ciò avviene tramite i Piani Territoriali e Comunali, nonché regolato dalle norme sull’attività costruttiva.
Il fulcro della legge 1150/42 è il Piano Regolatore Generale dell’intero territorio comunale e disciplinante in via essenziale:

  • le reti di comunicazione concepite in vista dello sviluppo urbano e delle esigenze del traffico
  • l’igiene e pubblico decoro;
  • zonizzazione del territorio comunale precisandone le destinazioni e i vincoli edificatori;
  • individuazione di aree volte alla formazione di spazi pubblici;

Fu introdotto l’obbligo di redigere il PRG tutti i comuni presenti in appositi elenchi che il Ministero dei Lavori Pubblici ha provveduto ad aggiornare, mentre per gli altri comuni ne rimase libera facoltà.

Con l’art. 34 della L. 1150/42 fu imposto ai comuni privi di PRG l’adozione di un Regolamento Edilizio, quale strumento di minima disciplina delle trasformazioni, con dovere di allegarvi a quest’ultimo un apposito Programma di Fabbricazione (d’ora in avanti PdF), strumento finalizzato ad una minima pianificazione urbanistica attraverso:

  • la disciplina dei limiti di ciascuna zona del territorio comunale;
  • l’individuazione di diverse tipologie edilizie di zona e dell’abitato;
  • definizione delle eventuali direttrici di espansione urbane;

Il PdF non concepiva la più ampia accezione della disciplina di sviluppo dell’intero territorio comunale, focalizzandosi sui centri abitati e zone di espansione.

Ciò era la visione del legislatore fascista del 1942, che aveva cercato di indirizzare le azioni pianificatorie introducendo questa versione surrogata o “light” del PRG, molto più semplice sul versante procedurale di formazione.

Di converso si instaurò la consuetudine, ancorché contraria alla volontà della giurisprudenza, che il PdF allargasse le competenze tanto da arrivare ad inglobare gli stessi contenuti del PRG.
Tale prassi venne legittimata da una serie di norme come la Legge 18 Aprile 1962 n. 167 sull’edilizia economica popolare, con cui l’art. 3 dispose che il Programma di Fabbricazione individuasse le zone entro le quali realizzare determinate opere, individuandone anche i vincoli corrispondenti preordinati all’esproprio.
Praticamente un “fratello minore” assai vivace e invadente del PRG.

Programma di fabbricazione 1969

Programma di Fabbricazione, Mazara del Vallo, 1969 – Estratto Tesi di A. Pantaleo

Il PdF in realtà doveva costituire semplicemente l’anello di congiunzione tra il territorio e il Regolamento Edilizio.

Attraverso i relativi elaborati doveva proiettare le norme attuative e circoscriverle in riferimenti spaziali, attribuendo così agli agglomerati urbani un minimo livello di disciplina edilizia.

Nascendo come primo impianto di razionalizzazione del territorio comunale, il PdF possiede e mantiene una snella procedura di adozione da parte del consiglio comunale; con l’istituzione formale delle Regioni, a queste veniva trasmesso e sottoposto alla disamina della giunta, la quale poteva:

  • approvarlo;
  • non approvarlo e ritrasmetterlo con osservazioni;
  • apportare modifiche sostanziali e non;

Il piano entrava in vigore con la pubblicazione sul Bollettino ufficiale.

Le distanze tra PRG e PdF furono accorciate con la “legge ponte” del 1967, la quale dispose l’equiparazione di quest’ultimi anche sotto l’aspetto degli standard generali, evidenziando come il Programma non possieda le stesse caratteristiche tecniche e giuridico-procedurali del PRG. Non a caso, il legislatore ha utilizzato il termine “programma” invece di “piano” con cui sono indicati  altri strumenti della pianificazione territoriale.

La legislazione continuò su questa linea applicando l’estensione appplicativa anche ai PdF delle misure di salvaguardia con l’art. 4 della legge n. 291 del 1 giugno 1971 e con l’art. 2 della legge n. 517 del 5 Luglio 1966.
Non solo, anche la proroga dei vincoli urbanistici venne dettata dall’art. 1 della L. n. 756 del 30 Novembre 1973.

In seguito al tal proposito la Corte Costituzionale con sentenza del 20 marzo del 1978 affermò che il divario tra PdF e PRG era stato ampiamente colmato dalle leggi statali posteriori alla 1150/42, anche se  non completamente.

Occorre evidenziare che da un punto di vista procedurale il PdF ha meno formalità e vincoli del PRG

Ad esempio, il PdF non prevedeva obbligo di osservazioni esterne, introdotto espressamente con l’art. 25 della legge 47/1985 con le Regioni furono delegate a legiferare la materia.

Col passare del tempo il PdF inizia a diventare inadeguato per fronteggiare le sempre più complesse problematiche urbanistiche, considerato che in alcuni comuni continuava ad essere lo strumento principale.
Molte Regioni attraverso la loro legislazione in materia di Pianificazione territoriale hanno disposto normative che non contemplavano più il PdF, rimarcando la mancanza di senso a considerare il PdF alla stregua di un PRG, dato che con la Legge Ponte 765/1967 la disciplina edificatoria fu limitata e successivamente revisionata con la Legge Bucalossi n. 10/1977.

A conclusione dell’articolo, forse non sorprenderà sapere che ancora oggi in Italia alcuni comuni utilizzano il PdF come strumento urbanistico, aspetto sul quale ognuno potrà commentare come meglio crede.

Bibliografia:
Edoardo Salzano, Fondamenti di urbanistica, Editori Laterza, Bari 2010;
Angelo Capalbo, Gli strumenti di pianificazione urbanistica,Halley Editrice, 2006;
Andrea Pantaleo, Un parco urbano per la città di Mazara del Vallo, Tesi di Laurea 2013, Università degli Studi di Firenze;

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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