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Strumento attuativo per rigenerare il patrimonio edilizio degradato e per sua conservazione, ricostruzione o sostituzione 

Da tempo, esiste una normativa nazionale che regola la procedura per l’adozione e l’approvazione del Piano di Recupero, abbreviato come P.d.R., precisamente negli articoli 27 e seguenti della Legge 457/78. La disciplina normativa ovviamente si è evoluta con ulteriori modifiche e integrazioni, soprattutto attraverso le legislazioni regionali in materia di pianificazione territoriale e urbanistica.

Il Piano di Recupero rappresenta una forma particolare di strumento urbanistico attuativo, ovvero un livello di pianificazione esecutiva e di secondo grado rispetto a quello previsto dallo Strumento Urbanistico Generale (vedi Piano Regolatore Comunale, o varie declinazioni regionali).

L’ambito di applicazione del Piano di Recupero si concentra sulla “rigenerazione” degli edifici, dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree situate all’interno del perimetro delle zone che sono contraddistinte da condizioni di degrado specificamente individuate dal Piano Regolatore Generale del Comune. In altre parole, potremmo parlare di ristrutturazione urbanistica dei lotti e delle porzioni urbane esistenti.

Una ottima descrizione del Piano di Recupero è stata emessa nella sentenza del Consiglio di Stato n. 8141/2023:

I piani di recupero urbanistico sono strumenti pianificatori attuativi che assolvono ad una funzione “riparatoria” del tessuto urbano, fronteggiando una situazione creatasi in via di fatto e tenendo conto, oltre alla esigenza di recupero dei nuclei abusivi, anche delle generali esigenze di pianificazione del territorio comunale. In particolare, i piani di recupero costituiscono lo strumento (urbanistico attuativo, ndr) individuato dal legislatore per attuare il riequilibrio urbanistico di aree degradate o colpite da più o meno estesi fenomeni di edilizia “spontanea” e incontrollata, legittimati, appunto, ex post. Essi, cioè, hanno sì l’obiettivo di “recupero fisico” degli edifici, ma collocandolo in operazioni di più ampio respiro su scala urbanistica, in quanto mirate alla rivitalizzazione di un particolare comprensorio urbano. L’esistenza di una “edificazione disomogenea” non solo giustifica la previsione urbanistica che subordina la modifica dei luoghi alla emanazione del piano di recupero, ma impone che questo piano vi sia e sia concretamente attuato, per restituire ordine all’abitato e riorganizzare il disegno urbanistico di completamento della zona.

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Contenuti generali del Piano di Recupero

Estrapolando dalle norme nazionali e regionali a cui ho avuto modo di lavorare, riporto un primo elenco di contenuti minimi

Molto spesso il Piano di Recupero porta a modificare i seguenti aspetti, andando a derogare, integrare o specificare le disposizioni generali già previgenti nelle Norme Tecniche attuative del PRG:

  • Destinazione d’uso e utilizzazione dell’area;
  • Indici e parametri edificatori;
  • Distanze legale e altezze;
  • Prescrizioni di intervento sulle modalità costruttive, tipo materiali, tecniche e allineamenti.
  • Ecc.

Per questo il Piano di Recupero solitamente è corredato da documenti essenziali quali:

  1. Elaborati grafici e cartografia, progetti e schemi di urbanizzazione;
  2. Norme Tecniche Attuative
  3. Relazione generale e fattibilità
  4. Schemi di convenzione
  5. Valutazione economica e finanziaria.

Le norme regionali in questo senso hanno sicuramente integrato la disciplina del Piano di Recupero nella propria legge sul Governo del territorio.

Rapporto tra Piano di Recupero e Piano Regolatore Generale

A livello generale, l’adozione e/o l’approvazione del Piano Attuativo possono avvenire in due situazioni alternative, ossia quando sono:

  1. pienamente conformi al Piano Regolatore Generale (PRG) del Comune.
  2. in contrasto col PRG Comunale, richiedendo quindi una modifica contemporanea o preventiva del PRG per garantire coerenza e conformità con lo strumento attuativo proposto.

In altre parole, il Piano Attuativo deve sempre rispettare ed essere in sintonia con lo strumento urbanistico generale a cui deve rapportarsi in via subordinata, evitando contrasti con esso e coordinarsi con le scelte pianificatorie di interesse pubblico; inoltre il P.d.R. deve coordinarsi col P.R.G. specialmente per il dimensionamento di:

  • carichi insediativi
  • standard urbanistici
  • dotazioni territoriali

Se c’è un contrasto tra il Piano Attuativo proposto e il PRG, è necessario apportare modifiche anche al PRG, in modo tale da ripristinare l’essenziale rapporto reciproco di coerenza. Il Comune può identificare le zone soggette all’approvazione del Piano di Recupero, oppure un soggetto privato può proporre autonomamente un Piano di Recupero secondo le disposizioni normative.

Va notato che, nonostante sia uno strumento attuativo, il Piano di Recupero deve essere coerente e in conformità con una valutazione specifica rispetto a tutti gli strumenti urbanistici e di pianificazione sovraordinati e settoriali, come ad esempio:

  • Il Piano Territoriale di Coordinamento provinciale.
  • Il Piano Territoriale regionale.
  • I Piani Paesaggistici.
  • I Piani di Assetto Idrogeologico e idraulico.
  • I Piani Acustici.
  • I Piani ambientali di vari enti.
  • Vincoli specifici o areali.
  • E così via.

Essendo il livello più basso nella gerarchia della pianificazione territoriale, questo significa che il Piano di Recupero deve essere compatibile con tutti gli strumenti urbanistici superiori o correlati ad esso.

Chi promuove il Piano di Recupero?

I Piani di Recupero possono essere promossi da soggetti privati. I proprietari di immobili e terreni situati nelle zone di recupero, la cui somma dell’imponibile catastale rappresenti almeno tre quarti del valore degli immobili interessati, hanno il diritto di presentare proposte per la realizzazione di Piani di Recupero. Tuttavia, questa situazione può generare complicazioni se alcuni proprietari non intendono partecipare all’iniziativa.

Nel caso in cui l’immobile sia in regime condominiale, in deroga agli articoli 1120, 1121 e 1136, quinto comma, del codice civile, gli interventi di recupero relativi a un unico immobile composto da più unità immobiliari possono essere decisi dalla maggioranza dei condomini che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio.

La proposta di Piano di Recupero presentata da iniziativa privata deve essere approvata dal consiglio comunale insieme a una convenzione che stabilisce le disposizioni previste dalla legge, come la cessione di terreni per scopi urbanistici o la loro diretta realizzazione, i tempi di esecuzione del piano e le necessarie garanzie.

Dopo l’approvazione da parte del consiglio comunale, si procede a una seconda fase di osservazioni, valutazioni, controdeduzioni e pubblicazione, seguendo la medesima procedura.

I Piani di Recupero possono avere iniziativa pubblica, cioè promossa dal Comune, direttamente o mediante apposite convenzioni con i soggetti privati di cui al punto precedente, per interventi:

  • da eseguire direttamente per il recupero del patrimonio edilizio esistente nonché, limitatamente agli interventi di rilevante interesse pubblico, con interventi diretti;
  • di adeguamento urbanizzazione;
  • da attuare mediante cessione volontaria, espropriazione od occupazione temporanea, previa diffida nei confronti dei proprietari delle unità minime di intervento, in caso di inerzia dei medesimi, o in sostituzione dei medesimi nell’ipotesi di interventi assistiti da contributo. La diffida può essere effettuata anche prima della decorrenza del termine di scadenza del programma pluriennale di attuazione nel quale il piano di recupero sia stato eventualmente incluso.

Lotti interclusi in ambito urbano, inedificati o urbanizzati

Il piano di recupero è fondamentale non solo per le aree inedificate poste in zone urbanizzate, ma anche per quelle che sono state compromesse da una crescita urbana spontanea e incontrollata. Queste zone possono presentare problemi sotto vari aspetti, tra cui urbanistico, ambientale e paesaggistico, e richiedono interventi di miglioramento ambientale e paesaggistico.

Promuovere ed attuare un Piano di Recupero in ambito urbano rende necessario valutare anche il contesto circostante, e può riguardare lotti interclusi in tutto o in parte interessati da attività edilizia e di urbanizzazione. E’ prioritario valutare lo stato di urbanizzazione esistente relativo al lotto interessato e al tessuto circostante, in modo tale da prevedere uno sviluppo insediato ed equilibrato assetto del territorio:

la priorità della pianificazione attuativa è un reciproco rapporto di equilibrio tra lotto di intervento e il territorio circostante.

La giurisprudenza amministrativa ha fornito chiare coordinate su come rapportare il Piano di Recupero in questi contesti, riassunti bene nelle sentenza TAR Salerno n. 646/2023:

  • ed invero, i piani attuativi ad iniziativa pubblica o privata hanno lo scopo di garantire che all’edificazione del territorio a fini residenziali corrisponda l’approvvigionamento delle dotazioni minime di infrastrutture, le quali, a loro volta, garantiscono la normale qualità del vivere in un aggregato urbano; diversamente opinando, col rilascio di singoli permessi di costruire in area non urbanizzata, gli interessati verrebbero legittimati ad utilizzare l’intera proprietà a fini privati, scaricando interamente sulla collettività i costi conseguenti alla realizzazione di infrastrutture per i nuovi insediamenti (Cons. Stato, sez. V, n. 1013/2003; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, n. 487/2019);
  • ciò posto, è evidente che, ove si tratti di asservire per la prima volta ad insediamenti edilizi aree non ancora urbanizzate – che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria volte a soddisfare le esigenze della collettività – si rende necessaria la pianificazione di dettaglio, quale presupposto per il rilascio del permesso di costruire (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2006, n. 3001; 4 dicembre 2007, n. 6171; TAR Campania, sez. IV, 2 marzo 2000, n. 596; 8 maggio 2003, n. 5330; TAR Lazio, Latina, 27 ottobre 2006, n. 1375; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 2 febbraio 2005, n. 4403 aprile 2007, n. 1501; 15 marzo 2007, n. 1037).
  • l’indefettibilità dello strumento urbanistico attuativo neppure viene meno nelle ipotesi di zone edificate (perfino con presenza di lotti interclusi), esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici, nelle quali la pianificazione può ancora conseguire l’effetto di correggere, armonizzare e compensare il disordine edificativo in atto; zone nelle quali si prospetti, quindi, l’esigenza di restituire efficienza all’abitato, di raccordare armonicamente le nuove costruzioni col preesistente aggregato urbano e di potenziare le opere di urbanizzazione esistenti, tanto più quando il nuovo intervento edilizio, per le sue dimensioni, abbia un consistente impatto sull’assetto territoriale; e nelle quali la preventiva redazione di un piano esecutivo per il rilascio del titolo abilitativo edilizio si ponga, in definitiva, come imprescindibile (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, n. 7799/2003; sez. IV, n. 2228/2020; n. 2390/2020; sez. II, n. 7843/2020; sez. IV, n. 8544/2021; TAR Veneto, Venezia, sez. II, n. 2893/2006; TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 8463/2006);
  • ed invero, non è sufficiente un qualsiasi stadio di urbanizzazione di fatto per eludere il principio fondamentale della pianificazione e per eventualmente aumentare i guasti urbanistici già verificatisi, essendo la programmazione dell’urbanizzazione doverosa fino a quando essa conservi una qualche utile funzione anche in aree già compromesse o edificate (TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 164/2005);
  • il principio giurisprudenziale secondo il quale nelle zone già urbanizzate è consentito derogare all’obbligo dello strumento attuativo può, dunque, trovare applicazione solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata una situazione di fatto che consenta con sicurezza di prescindere dalla pianificazione di dettaglio, in quanto oggettivamente non più necessaria, essendo stato pienamente raggiunto il risultato (in termini di adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie, previste dal piano regolatore) cui è finalizzata;
  • per l’applicazione del principio, insomma, è necessario che lo stato delle urbanizzazioni sia tale da rendere assolutamente superflui gli strumenti attuativi;
  • la verifica non può essere, pertanto, limitata alle sole aree di contorno dell’edificio progettato, ma deve riguardare l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere disciplinato;

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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