Mancato o ritardato pagamento degli oneri concessori non impedisce il rilascio del titolo abilitativo
Il DPR 380/01 stabilisce quando versare il contributo in misura massima per nuova destinazione
Vediamo cosa succede se il proprietario dell’immobile intende modificare la destinazione di un edificio costruito e ultimato di recente, oppure se siano trascorsi dieci anni, e in particolare se e quanto dovrebbe versare o riparare gli oneri di urbanizzazione.
Partiamo dall’articolo 19 c.3 del Testo Unico Edilizia, il quale contiene una disposizione che sostanzialmente riproduce quella contenuta nell’articolo 10 ultimo comma L. 10/1977:
Qualora la destinazione d’uso delle opere indicate nei commi precedenti, nonché di quelle nelle zone agricole previste dal precedente art. 9, venga comunque modificata nei dieci anni successivi all’ultimazione dei lavori, il contributo per la concessione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento della intervenuta variazione”.
Questa previsione contenuta già nella L. 10/1977, è stata interpretata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza n. 6592/2018, n. 4326/2013, n. 8620/2010) come embrione del principio dell’obbligo di versare in caso di mutamento destinazione d’uso il contributo concessorio (oneri urbanizzazione + contributo sul costo di costruzione), ribadito anche dall’articolo 25 ultimo comma della L. 47/85.
Altro principio consolidato anche nel vigente quadro normativo: qualora il mutamento di destinazione comporti aggravamento di carico urbanistico, sono dovuti gli oneri concessori rapportati all’incremento dei flussi, all’intensificazione d’utilizzo delle urbanizzazioni esistenti e alla necessità di adeguarli.
Sussiste anche il criterio di quantificazione “differenziale” degli oneri di urbanizzazione, ovvero il pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il mutamento è urbanisticamente rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici. In assenza di questo incremento di carico, che deve essere verificato, sussiste la gratuità dell’intervento.
Quasi dimenticavo, per un approfondimento consiglio anche il mio libro Amazon: “Mutamento d’uso immobiliare“.
Intanto va anticipato che la predetta disposizione sul pagamento/ricalcolo integrale degli oneri concessori entro e dopo i dieci anni dal titolo abilitativo, contenuta nel vigente articolo 19 c.3 DPR 380/01:
- trova applicazione anche nei casi in cui in origine il titolare del titolo abilitativo non avesse originariamente pagato il contributo di costruzione;
- si trova riprodotta anche nelle legislazioni regionali (vedi art. 189 c.3 L.R. Toscana n. 65/2014, art. 52 c.3 L.R. Lombardia n. 12/2005).
- Riguarda i mutamenti di destinazioni d’uso di immobile che in partenza non sono residenziali (richiamando infatti costruzioni o impianti per attività industriali, artigianali, turistiche, commerciali, direzionali e agricole).
Al netto di queste considerazioni generali, la disposizione si limita a stabilire che il mutamento di destinazione d’uso di un immobile (in partenza non residenziale) attuato entro il termine di dieci anni dal momento di conclusione di precedenti lavori determina l’obbligo di versare “… il contributo di costruzione (…) nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione …”.
Invece, una volta trascorso il termine decennale non sono resi gratuiti i mutamenti di destinazione d’uso senza opere come sopra: la previsione dell’articolo 19 c.3 T.U.E. ha il solo effetto di ragguagliare alla “misura massima” la quota contributiva dovuta nel periodo anteriore alla scadenza decennale, limite di misura massima che viene meno quando è decorso il decennio. Resta quindi applicabile il criterio differenziale sugli oneri sopra accennato, provvedendo a versare l’eventuale conguaglio correlato all’incremento di carico urbanistico.
Infine riporto utili riferimenti giurisprudenziali estratto da Consiglio di Stato n. 479/2016 e n. 4483/2014:
Infatti solo se si tratta di mutamento di destinazione d’uso infradecennale trova applicazione l’art. 19, comma 3, del Dlgs. 6 giugno 2001, n. 380, che comporta il pagamento della quota del contributo di costruzione per intero ed anche nell’ipotesi in cui non siano realizzate opere edilizie in occasione del mutamento di destinazione d’uso (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 settembre 2014, 4483), mentre se si tratta di un mutamento di destinazione d’uso ultradecennale trova applicazione l’art. 16, comma 10, del DPR 6 giugno 2001, n. 380, per il quale “nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire”.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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