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Le nuove previsioni dello strumento urbanistico incidono sull’edificato e aree libere

Nel caso di variazione degli indici edificatori, si deve fare riferimento sempre all’indice edificatorio attuale, di modo che il permesso di costruire debba essere rilasciato in base agli indici vigenti e non in base a quelli, anche se più favorevoli, vigenti anteriormente.

La materia sopravvenuta ad oggi prevede che ogni Comune deve disciplinare lo sviluppo urbanistico del territorio con l’apposito strumento, prevedendo (ancora oggi) la suddivisione in zone del territorio comunale destinate all’espansione dell’aggregato urbani, la determinazione dei vincoli e caratteri da osservare in ogni zona (Cons. di Stato IV n. 3573/2017), premesso che l’approccio dello “zoning” è ampiamente sorpassato da una nuova visione di “sviluppo autosostenibile”.

Per prima cosa occorre precisare che la materia della pianificazione e governo del territorio è demandata alle regioni, le quali hanno ciascuno provveduto ad emanare specifici provvedimenti, assai diversificati tra loro per filosofia e impostazione.

Molto spesso si assiste alla variazione totale o parziale dello strumento urbanistico comunale attraverso la procedura di variante; spesso possono esservi profondi ripensamenti e revisioni generali del piano regolatore comunale, vere e proprie variante generali atte a sostituire perfino integralmente il previgente strumento con un altro completamente diverso.

Le nuove previsioni possono sostituire quelle previgenti e, ovviamente, disciplinare sia le aree non ancora interessate da edificazione sia le aree già edificate.

La variazione della disciplina sulle aree già edificate sicuramente va ad incidere sulle possibilità e potenzialità edificatorie dei lotti edificati, lasciandoli alterati, oppure variati in aumento o in diminuzione.

Il piano regolatore è lo strumento principe dello sviluppo territoriale comunale

Per quanto attiene il regime dei suoli occorre distinguere le previsioni di piano di carattere espropriativo e valore attuativo connesse all’urbanizzazione aventi in genere validità massima cinque anni, da quelle conformative delle destinazioni dei suoli privati in genere con valenza a tempo indeterminato

Quest’ultime rimangono in vigenza fino alla loro sostituzione o modifica di successivo strumento urbanistico, o sua variante generale o parziale che sia.

La questione da approfondire riguarda soprattutto le “zone sature” già interessate da edificazione

Anche il Consiglio di Stato delinea i principi generali di questa disciplina, focalizzando il criterio e ambito delle future conformazioni del territorio alle nuove previsioni intervenute.

Il Piano Regolare, nel disciplinare le future conformazioni del territorio, prende in considerazione:

  • le sole aree libere, tali da ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione);
  • le zone sature o di completamento che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico.

Nel caso in cui non fosse rispettato questo principio, vi sarebbe il rischio che ogni ulteriore strumento urbanistico possa presentare notevoli discontinuità col precedente, sia per dimensionamento e localizzazione dei carichi urbanistici, sia senza mantenere continuità storica.

Un approccio (errato) di discontinuità tra PRG porterebbe tra l’altro a considerare solo la parte residuale “vergine” del territorio non interessata da alcune trasformazione, quota parte che nel futuro diverrebbe sempre più marginale e ridotta.

La trattazione ovviamente si riferisce a comuni oggetto di pianificazione generale, per quanto attiene le zone non pianificate si rinvia ad apposito approfondimento.

La corretta visione e approccio applicata è quella di una visione olistica e globale del territorio.

D’altro canto, nuove previsioni urbanistiche generali comportano variazioni degli indici di edificabilità, che potranno essere più o meno favorevoli rispetto alla disciplina previgente.

Il Consiglio di Stato è più volte intervenuto sull’aspetto riguardante le successive varianti PRG adottate e approvate che interessano zone già utilizzate a scopo edificatorio.

Di seguito si espone e si riferisce di un orientamento diverso, minoritario e più restrittivo espresso da una sezione del Consiglio di Stato specifica ad una fattispecie assai particolare, la quale si distacca e non condivide invece una giurisprudenza più “favorevole” (leggi l’approfondimento).

Secondo tale organo, l’eventuale modificazione del piano regolatore comportante nuovi e indici di fabbricazione più favorevoli, non può che interessare le sole aree libere, con esclusione quindi di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.

Questo in linea di massima, ma affrontiamo meglio il nodo delle zone sature o asservite.

Ai fini della quantificazione del nuovo cubaggio ammissibile, il nuovo indice edificatorio non deve essere applicato a tutta la superficie del lotto/comparto considerato, ovvero determinando la cubatura massima totale realizzabile e poi sottraendo la cubatura realizzata.
Al contrario, occorre prima determinare la superficie ancora disponibile (cioè quella che risulta detraendo dalla complessiva superficie del lotto quella costituente area di sedime e quella già “consumata” per le cubature in precedenza realizzate), poi applicare solo a questa residua superficie il nuovo indice (Cons. di Stato IV n. 3573/2017).

Infatti il Consiglio di Stato ha affermato che “un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, appalesandosi irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni” (Cons. di Stato IV n. 3573/2017, Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2000 n. 749).

Le variazioni del PRG possono indicare indici più favorevoli o più restrittivi

Più precisamente, il Consiglio di Stato ha precisato che “in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata, l’intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l’effetto che anche l’area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall’area su cui insiste il manufatto” (Cons. di Stato IV n. 3573/2017, Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2002 n. 6128; sez. IV, 6 settembre 1999 n. 1402).

Ciò comporta che il piano regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano le sole aree libere, in cui eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori.

Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur essendo in precedenza previsti e applicati indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori.

Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, in quanto esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi della conformabilità delle sole aree libere.

Ed infatti, nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel secondo l’area è libera, posta la sua non ancora intervenuta utilizzazione.

Per esperienza professionale ho assistito a verifiche urbanistiche in tal senso che chiedevano la verifica degli indici con entrambe le due impostazioni differenti.

Quanto riguarda appunto una specifica fattispecie tratta dalla sentenza del Consiglio di Stato IV n. 3573/2017, la quale precisa di non concordare con la giurisprudenza prevalente.

Si tratta di un argomento che emerge può emergere nella procedura di trasformazione effettuata in “edilizia diretta”, ovvero col rapporto diretto  tra privato e Comune finalizzato ad ottenere il permesso di costruire, senza operare attraverso la disciplina attuativa dello strumento urbanistico generale, come ad esempio il Piano di Recupero.

La disciplina attuativa invece, proprio perchè specifica e particolareggiata per il piano regolatore, diviene l’unico strumento e procedura in grado di considerare diversamente, e globalmente, gli indici relativi ad una zona ancorché edificata.

Infine, si rinvia a specifico articolo dove invece emerge l’orientamento opposto e più favorevole, per il quale anche lo scrivente si sente di condividere nelle sue linee.

Esso riguarda la linea opposta, in particolare per i i lotti urbani inedificati non sono ammesse ulteriori edificazioni se la volumetria ammissibile non supera quella realizzata sul lotto asservito.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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