Non ha senso stimare il valore dell'immobile senza accertare lo Stato Legittimo, l'abusività pregiudica la garanzia ipotecaria

Escluso il regime di nuova costruzione per intervento ricostruttivo e spostamento di edificio esistente
Eccoli, li vedo già belli baldanzosi “quelli di Milano“, che sperano di usare la sentenza del C.G.A.R.S. n. 422/2025 per difendersi dalle inchieste e per rinfoncolare il Salva Milano, ma rimarranno delusi, in quanto lassù molti hanno effettuato con SCIA alternative al PdC vere sostituzioni edilizie, con contestuali a mutamento d’uso e incrementi volumetrici: se non gli entra questo concetto in testa, c’è poco da fare se non attendere il prosieguo dei processi o un condono. E sul confine tra ristrutturazione e nuova costruzione, ne ho parlato molto ovunque, anche per lo spostamento a un sedime all’altro.
Nel caso trattato dal cosiddetto “Consiglio di Stato della Sicilia” invece si parla di un altro intervento, di livello minore rispetto a quelli contestati a Milano, e si capisce bene leggendo la sentenza TAR Palermo n. 2409/2023, avente per oggetto una domanda di permesso di costruire per la «demolizione di un fabbricato sito su un lotto e la sua ricostruzione – senza incremento di volumetria – su altro lotto, rientra nella definizione di ristrutturazione edilizia contemplata dall’art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui l’anzidetta disposizione fa riferimento a un “diverso sedime”». Occorre premettere innanzitutto che l’area di intervento non fosse sottoposta a vincoli di sorta o situata in centro storico, perchè altrimenti il discorso diventa ancora più complesso e penalizzante.
Si è trattato di un trasferimento di cubature tra aree non adiacenti, situate all’interno delle medesime zone territoriali omogenee, tenuto conto pure che il Comune fosse dotato di un regolamento per la cessione di cubatura, diritti edificatori e il trasferimento di volumetrie. Affinchè si possa rientrare nella categoria di cessione di cubature occorre il rispetto di tre condizioni essenziali, anche per il reciproco asservimento:
- reciproca prossimità: i fondi interessati dalla cessione devono essere dotati del requisito necessario della contiguità (vicinanza);
- omogeneità urbanistica: devono essere caratterizzati dalla stessa destinazione d’uso territoriale;
- omogeneità edificatoria: i fondi devono avere identico indice di fabbricabilità originario;
Tutta la questione si è incentrata sul fatto che tale intervento possa qualificarsi come ristrutturazione edilizia, la cui definizione (articolo 3, primo comma, lettera d) DPR 380/01), è stata ampliata molto con l’art. 10, co. 1, lett. b), D.L. n. 76/2020, conv. con modificazioni dalla L. n. 120/2020, in modo tale da ricomprendervi anche interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Sul punto, ho sostenuto che questo nuovo assetto normativo potesse ammettere una sorta di “sostituzione edilizia minore“, a parità di volume.

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Il TAR Sicilia, respinge la difesa del cittadino ricorrente motivando che per rientrare nella ristrutturazione edilizia, mediante demolizione e ricostruzione, l’intervento debba avvenire su un’area il cui suolo è già stato consumato dall’esistenza di un edificio.
Il C.G.A.R.S. invece riforma questa decisione e accetta la tesi del ricorrente, con la seguente motivazione:
Deve, dunque, concepirsi adesso la ristrutturazione edile secondo la rinnovata ottica desumibile dal tenore testuale della disposizione in esame volta a non vincolarla ai precedenti requisiti presupponenti una rigida “continuità” tra le caratteristiche strutturali dell’immobile preesistente e quelle del manufatto da realizzare, ivi inclusa l’area di edificazione. La nozione di sedime richiamata nella nuova formulazione dell’art. 3 lett. d) D.P.R. n. 380/2001è, infatti, molto generica e non riporta alcuna specificazione. Donde, l’impossibilità di limitarne il concetto all’ambito perimetrale di un determinato lotto. Se, infatti, il legislatore avesse espressamente ammesso la ristrutturazione edile in caso di ricostruzione di un manufatto preesistente su un’altra area del medesimo lotto di terreno, allora la tesi restrittiva sostenuta dal T.A.R. nella sentenza appellata sarebbe stata condivisibile, essendo chiaro l’intento di non consentire siffatta attività edile laddove realizzata mediante la demolizione di un fabbricato sito in un certo terreno e la sua riedificazione su un altro terreno. Ma poiché il legislatore si è limitato soltanto ad ammettere la ristrutturazione anche in caso di ricostruzione di un manufatto preesistente su un diverso “sedime”, ossia su un’area diversa da quella originariamente occupata dal manufatto da demolire e ricostruire, deve ritenersi possibile, in assenza di specifiche indicazioni contrarie, siffatta attività edificatoria anche mediante l’utilizzo di un’area diversa, anche se appartenente ad un altro lotto. Il sedime è, infatti, la superficie di terreno sulla quale poggiano le fondazioni di un edificio o di un manufatto edile, essendo la proiezione longitudinale della costruzione sul terreno, e, quindi, non coincide con l’area di un intero terreno catastalmente censito. Di conseguenza, la riconosciuta possibilità di demolire un fabbricato esistente e di ricostruirlo su un’altra area, ossia su un diverso sedime, non può ritenersi soggetta ai limiti dimensionali del terreno originariamente interessato dalla costruzione da ristrutturare, potendo, dunque, ammettersi la ricostruzione anche altrove, ossia in un diverso lotto, pur sempre nel rispetto delle capacità edificatorie proprie di quest’ultimo. D’altra parte, in tal senso depone il novero degli elementi di novità che possono contraddistinguere l’edificio ristrutturato, potendo, invero, quest’ultimo differire da quello originario per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, al punto da potersi desumere la volontà del legislatore di superare quell’originaria relazione di continuità strutturale che doveva necessariamente contraddistinguere l’immobile ricostruito rispetto a quello demolito. Né, peraltro, può ritenersi che la nuova concezione della ristrutturazione edile implichi “consumo di nuovo suolo”, poiché la scelta di ricostruire altrove presuppone pur sempre la necessità di demolire da un’altra parte e, pertanto, postula un bilanciamento tra l’edificio da realizzare e quello da eliminare.
In altre parole, secondo il C.G.A.R.S. nella ristrutturazione edilizia dovrebbe rientrarvi anche il trasferimento di cubature tra lotti diversi nelle vicinanze, rispettando tutti i presupposti pianificatori e propri del trasferimento di volumetria. Ci sono diversi punti condivisibili nelle motivazioni espresse sopra, però ho due appunti da fare e sui quali sarà interessante seguire gli sviluppi:
- L’alta Corte siciliana non sembra appoggiarsi alla più recente giurisprudenza di Cassazione penale e Consiglio di Stato su questo argomento, e sul rigido rapporto di continuità con l’organismo edilizio originario;
- Il trasferimento di cubatura, a parità di volumetria tra lotti adiacenti è una categoria di intervento da agevolare con semplificazioni, tuttavia viene meno ogni minimo rapporto di continuità, per cui esprimo perplessità sul fatto che possa qualificare ristrutturazione edilizia;
Caso mai, in sede di riforma del testo unico edilizia DPR 380/01, sarebbe opportuno individuare questi interventi e applicare procedimenti semplificati.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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