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Spostare volumetria edificabile tra diverse aree serve per superare quella di ciascun fondo

Il decollo di cubature da certi lotti per farli atterrare su altri consente l’accumulo volumetrico che altrimenti sarebbe limitato da insufficienti indici edificatori del Piano Regolatore Generale comunale.

In passato lo sviluppo di alcune periferie, o di alcune lottizzazioni su iniziativa privata, è passato anche attraverso lo spostamento di volumetrie tra lotti contigui, una prassi assai diffusa che la normativa nazionale non aveva disciplinato fino a pochi anni fa.

Non c’è da stupirsi di fare accesso agli atti e ritrovarsi una semplice licenza edilizia (anteriore all’entrata in vigore della L. 10/1977) con cui hanno applicato cessioni volumetriche, senza neppure ricorrere con atti notarili per trascrivere il nascente vincolo di asservimento.

Infatti il passaggio della “pubblicità immobiliare” mediante i Registri Immobiliari permette la trascrizione di questi diritti e vincoli nascenti, e di renderli trasparenti, conoscibili e opponibili a terzi. Comunque sia il vincolo di asservimento urbanistico scaturisce comunque, a prescindere dalla eventuale trascrizione.

La cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, ripetutamente avallato anche dalla giurisprudenza amministrativa (per tutte si richiama Cons. di Stato n. 3636/2000). Con essa è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la “cessione” della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, mantenendo invariata la cubatura complessiva risultante. Con questo passaggio il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto (Cons. di Stato n. 15767/2020).

Col tempo la giurisprudenza amministrativa ha consolidato tre principi essenziali per ritenere legittima la cessione di cubatura, ovvero il rispetto congiunto di tutte queste condizioni:

  1. terreni non reciprocamente prossimi;
  2. indice di fabbricabilità differente;
  3. diversa destinazione urbanistica;

Il rispetto contemporaneo di questi presupposti costituisce a sua volta il fondamento della legittimazione dei successivi interventi edificatori.

Più precisamente in caso di mancato rispetto di anche una sola delle tre condizioni, si configura una illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio.

E di conseguenza, la realizzazione di manufatto e costruzioni in forza di questo meccanismo, comporta intervento compiuto in assenza di permesso di costruire previsto dall’art. 44 del D.P.R. 380/01 (Consiglio di Stato decisioni n. 38838/2018, Cons. di Stato sentenza n. 15767/2020).

Se da una parte la cessione di cubatura permette di accumulare volumetrie su lotti per interventi edificatori altrimenti non fattibili per insufficienti indici, dall’altra potrebbe esserci il rischio di eludere le previsioni poste dallo strumento urbanistico e dalla pianificazione comunale.

Infatti per un ordinato e corretto assetto del territorio, il ricorso a tale meccanismo senza i tre suddetti presupposti potrebbe concentrare eccessivamente volumetrie in un area piuttosto che un’altra, oppure potrebbe alterare l’uso funzionale dell’area stessa.

La giurisprudenza amministrativa ha posto dei limiti alla cessione di cubatura per evitare la perdita del potere di pianificazione propria del Comune, favorendo interventi che risulteranno in contrasto col Piano Regolatore.

Il concetto di prossimità è quello più difficile da rispettare

Per esempio, se fosse ritenuta legittima la cessione di cubature tra aree distanti tra loro, si rischierebbe una situazione di “affollamento edilizio” in talune zone e di carenza in altre. In altre parole si vedrebbero vanificati gli sforzi di gestire la densità insediativa nel loro insieme, pregiudicando l’attuazione dei criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici (Cons. di Stato sentenza n. 15767/2020).

La contiguità dei fondi, ovvero la distanza tra loro, è condizione essenziale per effettuare la cessione della cubatura e può avvenire anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate.

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Ma come quantificare la contiguità in termini quantitativi?

Non essendo precisato dalla normativa, la contiguità deve essere sempre caratterizzata da una effettiva e significativa vicinanza (Cons. di Stato n. 6734/2003, 15767/2020).

Infatti il D.L. n.70/2011, convertito con modificazioni in L. 106/2011, non ha disciplinato nel merito le condizioni di legittimità della cessione di volumetrie tra fondi; piuttosto ne riconosce formalmente il principio generico, mediante l’art. 5 comma 1 lettera C) che dispone:

«tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la “cessione di cubatura”»

Proprio perché non è quantificata una distanza massima entro la quale si possa considerare rispettato il criterio di vicinanza, è consigliabile consultare lo strumento urbanistico comunale (P.R.G o strumenti omologhi comunali) se ne contiene la previsione. Solitamente mi capita di vedere  una distanza ritenuta congrua nell’ordine dei duecento/trecento metri dai perimetri delle particelle catastali dell’area.

In caso di dubbio è necessario porre prudenza, perché il permesso di costruire rilasciato sul presupposto di illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio tra terreni non ritenuti reciprocamente prossimi, costituisce reato ex art. 44 D.P.R. 380/01 (Cons. di Stato n. 39337/2018, n. 46228/2018).

In altre parole, si configurerebbe abuso edilizio per aver realizzato il manufatto in assenza di permesso di costruire, e in contrasto agli strumenti urbanistici comunali.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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