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Confermato dal C.d.S. l’orientamento restrittivo che considera il balcone come estensione dell’edificio

Pur non essendo d’accordo con l’orientamento, devo riportare l’ulteriore conferma giurisprudenziale circa l’equipollenza di balcone a costruzione nel computo delle distanze tra edifici prevista dall’articolo 9 D.M. 1444/1968, in particolar modo quella minima di dieci metri tra pareti finestrate ed edifici frontistanti.

L’ennesima conferma proviene dal Consiglio di Stato con sentenza n. 3398/2024, con cui ha ripreso alcuni principi già consolidati nella giurisprudenza di Cassazione Civile, riguardante la realizzazione di due balconi aggettanti di circa 70 cm su fabbricato esistente posto a distanza non regolamentare (inferiore a 1o metri) da altro edificio fronteggiante: il Comune infatti ha diffidato il proprietario a eseguire l’opera perchè a suo avviso potevano essere realizzate solo aperture del tipo “luci”. Il proprietario invece fa ricorso al TAR sostenendo di aver diritto ad aprire vedute, nei limiti e rispetto dell’articolo 905 del Codice Civile, senza peraltro qualificare l’opera come “costruzione”.

Proprio perchè la realizzazione dei balconi equivale a realizzare costruzione aggiuntiva (vedi anche precedente post), il ricorso viene respinto dal TAR Calabria (sentenza n. 412/2018) sia dal Consiglio di Stato. Le motivazioni che supportano la predetta sentenza del Consiglio di Stato riguardano il contrasto col limite legale di distanza minima inderogabile prevista dall’articolo 9 D.M. 1444/68, in quanto i due fabbricati sono già situati a distanze inferiore a tale limite.

Riporto le definizioni utili per comprendere la questione, come riportate nel Regolamento Edilizio Tipo nazionale 2016:

  • Balcone, voce n. 35: Elemento edilizio praticabile e aperto su almeno due lati, a sviluppo orizzontale in aggetto, munito di ringhiera o parapetto e direttamente accessibile da uno o più locali interni. (Commento: il balcone è quello a sbalzo, e non va confuso con terrazzo/a che corrisponde al tetto piano).
  • Edificio, voce n. 32: Costruzione stabile, dotata di copertura e comunque appoggiata o infissa al suolo, isolata da strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto, funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata alla soddisfazione di esigenze perduranti nel tempo.

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Anche se apparentemente di modesta entità, secondo il Consiglio di Stato, tali caratteristiche non escludono che l’opera in questione rientri nella nozione di “costruzione” rilevante ai fini delle distanze legali minime (art. 873 c.c.), trattandosi di sporgenze solide e stabili di edifici, destinate anche ad estendere ed ampliare la parte concretamente utilizzabile per l’uso abitativo dell’immobile, con esclusione, quindi, di una loro funzione esclusivamente artistica ed ornamentale.

A tal riguardo, occorre richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui nella verifica dell’osservanza delle distanze, di cui all’art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, vanno considerati i balconi, nonché tutte le sporgenze destinate, per i loro caratteri strutturali e funzionali, ad ampliare la superficie abitativa dei vani che vi accedono (da ultimo, cfr. Cons. Stato n. 8834/2023).

In particolare, è stato precisato che “i balconi devono sempre essere considerati ai fini del calcolo della distanza tra edifici e tra questi ed il confine. Le sole parti delle quali può non tenersi conto, in detto calcolo, sono quelle aggettanti, aventi una funzione esclusivamente artistica ed ornamentale, quali fregi, sculture in aggetto e simili” (Cass. civ., sez. II, 17 settembre 2021, n. 25191).

Sul punto, infatti, è stato chiarito che “In tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell’art. 873 c.c., con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, poiché il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché il D.M. 2 aprile 1968, art. 9, – applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, come modificata dalla L. 6 agosto 1967, n. 765 – stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell’estensione del balcone, è “contra legem” in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l’estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a mt. 10, violando il distacco voluto dalla cd. legge ponte (L. 6 agosto 1967, n. 765, che, con l’art. 17, ha aggiunto alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 l’art. 41 quinquies, il cui comma fa rinvio al D.M. 2 aprile 1968, che all’art. 9, n. 2, ha prescritto il predetto limite di mt. 10)” (Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17089, richiamata da Cass. civ., sez. II, 17 settembre 2021, n. 25191).

Faccio notare che esiste anche un orientamento minoritario e meno restrittivo, che ammette la possibilità di esclusione dai computi delle distanze in caso di balconi con funzione architettonica o decorativa (vedi Consiglio di Stato n. 397/2024, n. 1732/2022, n. 3381/2008).

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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