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L’Adunanza plenaria conferma che non sussiste l’esigenza di tutelare l’affidamento del titolo edilizio basato su elementi non veritieri

Alla fine è prevalso l’orientamento che espone ad annullamento in autotutela di titoli basati su falsità e difformità ai presupposti necessari.

Non mi stupisce l’esito della pronuncia in Adunanza plenaria emessa dal Consiglio di Stato il 17 ottobre 2017 n. 8 (testo sentenza gratuito).

Da anni la normativa e la giurisprudenza ribolliva come un magma sul tema dell’affidamento nel privato degli effetti/vantaggi derivati dall’ottenimento di titoli abilitativi illegittimi.

La pronuncia ha esaminato il decennale dilemma nel trovare un equilibrato bilanciamento fra due importanti interessi contrapposti: da un lato l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e dall’altro l’interesse dei destinatari al mantenimento dello status quo ante rafforzato dall’affidamento legittimo determinato dall’adozione dell’atto e dal decorso del tempo.

La contrapposizione di questi interesse risulta tanto più necessaria nel caso di atti di ritiro di titoli edilizi, i quali sono destinati ad esaurirsi con l’adozione dell’atto ampliativo, palesando una scelta legislativa volta a riconoscere maggiore rilevanza all’interesse dei privati destinatari dell’atto e minore rilevanza all’interesse pubblico alla rimozione dell’atto i cui effetti si sono ormai prodotti in via definitiva.

Il tema trae radici dall’introduzione dell’art. 21 octies e nonies della L. 241/90, avvenuta con L. 15/2005 sul tema dell’annullamento di ufficio ed evoluto vivacemente fino ai giorni nostri.

In particolare l’ultima novità viene dalle riforme Madia che, in tema di annullamento d’ufficio in autotutela del provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza (articolo 21-octies L. 241/90), ha introdotto il termine “ragionevole” di diciotto mesi dalla sua adozione (poi diventato dodici dopo il DL 76/2020).

In edilizia e urbanistica ci sono conseguenze importanti sulle procedure amministrative.

Tale facoltà di annullamento è riservata alla PA per:

La questione invece non si applica per gli atti soggetti a regime comunicativo come la CILA, e quindi la questione prima o poi dovrà emergere anche su queste tipo di comunicazioni.

Tale facoltà di annullamento è consentita alla PA nei diciotto mesi nei quali essa deve appunto valutare la contrapposizione tra interessi pubblici e quelli dei destinatari.

La questione è esplosa quando i provvedimenti (PdC e SCIA) si fondano su false rappresentazioni dei fatti, dichiarazioni mendaci o false attestazioni.

Con la L. 124/2015 è stato aggiunto infatti il comma 2-bis all’art. 21 nonies L. 241/90 riguardante specificatamente l’ipotesi di provvedimenti basati su falsità, per i quali è concessa alla PA il potere di annullamento anche oltre il termine ragionevole di mesi diciotto (portato a dodici).

Il Consiglio di Stato con questa adunanza plenaria è entrato in merito proprio su un caso di concessione edilizia in sanatoria (Video bonus su YouTube) rilasciata sulla base di circostanze non veritiere, annullato d’ufficio ad una distanza temporale considerevole dal suo rilascio, relativamente ed esclusivamente a fattispecie verificatesi prima delle riforme Madia apportate con la L. 124/2015.

Con tale adunanza plenaria sono stati esaminati e statuiti i seguenti principi, tenuto conto della mancanza di specifica normativa di merito:

  • il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
  • l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi);
  • la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte;

In tali ipotesi l’amministrazione potrà adeguatamente motivare l’adozione dell’atto di annullamento sul mero dato dell’originaria, non veritiera prospettazione.

Nelle medesime ipotesi, infatti (e anche a prescindere dai profili di rilevanza penale), l’oggettiva falsità della prospettazione dei fatti rilevanti e la sua incidenza ai fini dell’adozione dell’atto illegittimo non consentiranno di configurare una posizione di affidamento legittimo e consentiranno all’amministrazione di limitare l’onere motivazionale alla dedotta falsità, non sussistendo un interesse privato meritevole di tutela da porre in comparazione con quello pubblico (comunque sussistente) al ripristino della legalità violata.

In sostanza, il Consiglio di Stato ha optato per l’orientamento giurisprudenziale prevalente che ricomprendeva il ripristino della legalità violata nell’ambito dell’interesse pubblico, rispetto a quello più recente e minoritario che privilegiava l’affidamento nel privato in nome della certezza e stabilità dell’azione amministrativa.

Si conclude in sintesi che, l’adunanza plenaria ha impostato un deciso corso nei casi di titoli edilizi basati su false circostanze e rappresentazioni:

  • le azioni di annullamento in autotutela potranno essere adottate anche a distanza di anni;
  • l’annullamento non necessità di motivazione in ordine alle regioni di pubblico interesse finalizzate al ripristino della legalità violata;
  • non esiste deroga per tali principi neppure in caso di trasferimento immobile posteriore, dove il proprietario non coincide col responsabile dell’abuso;

E’ una vera cesura in quanto riapre pesantemente i giochi su molte pratiche edilizie rilasciate o depositate (DIA, SCIA) negli ultimi anni, esponendole al serio rischio di una loro riesaminazione con effetti nefasti sul piano sanzionatorio e sanatorio.

Discorso diverso invece è da applicare alle fattispecie posteriori all’emanazione della riforma Madia L. 124/2015.

La sentenza del Cons. St., A.P., 17 ottobre 2017, n. 8:

Motivazione dell’annullamento d’ufficio dell’ordinanza edilizia in sanatoria disposto a distanza di anni dal suo rilascio Edilizia – Concessione edilizia in sanatoria – Annullamento d’ufficio – Disposto a distanza di anni dal rilascio della sanatoria – Motivazione in ordine all’interesse pubblico comparato con quello del privato – Necessità – Limiti.

Nella vigenza dell’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 – introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 – l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
a) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
b) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi);
c) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte (1).
(1) La questione era stata sollevata dalla sez. IV con ord. 19 aprile 2017, n. 1830. Ha ricordato l’Adunanza plenaria che sulla questione si sono formati due orientamenti. In base a un primo, maggioritario, orientamento (Cons. St., sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3660; id., sez. V, 8 novembre 2012, n. 5691), l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo (in specie se rilasciato in sanatoria) risulta in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. Ciò, in quanto il rilascio stesso di un titolo illegittimo determina la sussistenza di una permanente situazione contra ius, in tal modo ingenerando in capo all’amministrazione il potere-dovere di annullare in ogni tempo il titolo edilizio illegittimamente rilasciato. I fautori di tale tesi ritengono in particolare che non gravi in capo all’amministrazione un particolare onere motivazionale – ovvero l’obbligo di valutare i diversi interessi in campo – laddove l’illegittimità del titolo in sanatoria sia stata determinata da una falsa rappresentazione dei fatti e dello stato dei luoghi imputabile al beneficiario del titolo in sanatoria (Cons. St., sez. IV, 27 agosto 2012, n. 4619).
In base a tale prospettazione, uno specifico onere motivazionale a sostegno dell’autotutela può essere imposto all’amministrazione soltanto laddove l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione imputabili alla stessa amministrazione (Cons. St., sez. V, 8 novembre 2012, n. 5691).
In base a un secondo orientamento (più recente e allo stato minoritario), anche nel caso di annullamento ex officio di titoli edilizi in sanatoria dovrebbero trovare integrale applicazione i generali presupposti legali di cui all’art. 21 nonies, l. 241 del 1990, non potendo l’amministrazione fondare l’adozione dell’atto di ritiro sul mero intento di ripristinare la legalità violata (Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 351 del 2016; id., sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 915).
Ne consegue che l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio postula l’apprezzamento di un presupposto – per così dire – ‘rigido’ (l’illegittimità dell’atto da annullare) e di due ulteriori presupposti riferiti a concetti indeterminati, da apprezzare discrezionalmente dall’amministrazione (si tratta della ragionevolezza del termine di esercizio del potere di ritiro e dell’interesse pubblico alla rimozione, unitamente alla considerazione dell’interesse dei destinatari: Cons. St., sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341).
In base a tale orientamento, il fondamento di tali ulteriori presupposti va individuato nella garanzia della tutela dell’affidamento dei destinatari circa la certezza e la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento illegittimo, mediante una valutazione discrezionale volta alla ricerca del giusto equilibrio tra il ripristino della legalità violata e la conservazione dell’assetto regolativo impresso dal provvedimento viziato. L’amministrazione che intende procedere all’annullamento ex officio di un provvedimento di sanatoria di opere abusive di operare un motivato bilanciamento fra (da un lato) l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e (dall’altro) l’interesse dei destinatari al mantenimento dello status quo ante (interesse vieppiù rafforzato dall’affidamento legittimo determinato dall’adozione dell’atto e dal decorso del tempo).
La motivata ponderazione fra i diversi interessi in gioco risulta tanto più necessaria nel caso di atti di ritiro di titoli edilizi, i quali sono destinati ad esaurirsi con l’adozione dell’atto ampliativo, palesando una scelta legislativa volta a riconoscere maggiore rilevanza all’interesse dei privati destinatari dell’atto e minore rilevanza all’interesse pubblico alla rimozione dell’atto i cui effetti si sono ormai prodotti in via definitiva. L’Adunanza plenaria ha affermato che le generali categorie in tema di annullamento ex officio di atti amministrativi illegittimi trovino applicazione (in assenza di indici normativi in senso contrario) anche nel caso di ritiro di titoli edilizi in sanatoria illegittimamente rilasciati, non potendosi postulare in via generale e indifferenziata un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione di tali atti. Conseguentemente, grava in via di principio sull’amministrazione (e salvo quanto di seguito si preciserà) l’onere di motivare puntualmente in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto, tenendo altresì conto dell’interesse del destinatario al mantenimento dei relativi effetti. Ha aggiunto che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha condivisibilmente stabilito al riguardo che non sussiste l’esigenza di tutelare l’affidamento di chi abbia ottenuto un titolo edilizio – anche in sanatoria – rappresentando elementi non veritieri, e ciò anche qualora intercorra un considerevole lasso di tempo fra l’abuso e l’intervento repressivo dell’amministrazione (Cons. St., sez. IV, 12 dicembre 2016, n. 5198; id., sez. V, 13 maggio 2014, n. 2451).
La stessa giurisprudenza ha inoltre stabilito (in modo parimenti condivisibile) che non può essere configurato alcun affidamento legittimo, in specie ai fini risarcitori, il quale risulti fondato su un provvedimento illegittimo. Si è osservato al riguardo che può essere non più opportuno far luogo all’annullamento in autotutela, in considerazione del tempo trascorso e degli interessi dei destinatari e dei controinteressati; ma quando tali condizioni sono rispettate non vi è spazio per la tutela patrimoniale (Cons. St., sez. VI, 27 settembre 2016, n. 3975).
Ebbene, se le acquisizioni in parola risultano valide ai fini risarcitori e a fronte di illegittimità imputabili all’amministrazione, esse risulteranno tanto più condivisibili nel caso in cui l’illegittimità dell’atto sia stata determinata dalla non veritiera prospettazione dei fatti rinveniente dal soggetto che si sarebbe in seguito avvantaggiato dell’errore dell’amministrazione. In tali ipotesi l’amministrazione potrà adeguatamente motivare l’adozione dell’atto di annullamento sul mero dato dell’originaria, non veritiera prospettazione.
Nelle medesime ipotesi, infatti (e anche a prescindere dai profili di rilevanza penale), l’oggettiva falsità della prospettazione dei fatti rilevanti e la sua incidenza ai fini dell’adozione dell’atto illegittimo non consentiranno di configurare una posizione di affidamento legittimo e consentiranno all’amministrazione di limitare l’onere motivazionale alla dedotta falsità, non sussistendo un interesse privato meritevole di tutela da porre in comparazione con quello pubblico (comunque sussistente) al ripristino della legalità violata.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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