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I provvedimenti amministrativi ottenuti su falsa rappresentazione dei fatti possono essere annullati anche dopo i dodici mesi di autotutela

Il notevole tempo decorso dal rilascio di titolo abilitativo edilizio ottenuto “truccando” le carte non garantisce affatto l’inattaccabilità da parte del Comune per annullarlo, anche oltre i fatidici diciotto mesi (divenuti dodici con D.L. 76/2020).

Non è proprio semplice dipanare questa matassa, riguardante il bilanciamento tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo e la tutela dell’affidamento dei destinatari circa la certezza e la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento. Vediamo allora come e quando è possibile annullare un permesso edilizio rilasciato sulla base di false rappresentazioni dei fatti.

Partiamo dai lineamenti generali e dalla giurisprudenza, che non prevedono un istituto di “sanatoria automatica” o decadenza all’azione repressiva della Pubblica Amministrazione contro gli abusi edilizi, o meglio contro quegli interventi non autorizzabili fin dall’origine.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8/2017 ha chiarito che l’erronea prospettazione, da parte del privato, delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare una sua posizione di affidamento, con la conseguenza che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte (Cons. Stato, A.P. 17 ottobre 2017, n. 8).«L’interesse pubblico all’eliminazione, ai sensi dell’ art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 , di un titolo abilitativo illegittimo è in re ipsa, a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento ampliativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente» (vedi anche Cons. di Stato n. 6615/2023).

L’esercizio del potere di autotutela è dunque, anche in materia di governo del territorio, espressione di una rilevante discrezionalità che non esime l’Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l’ambito di motivazione esigibile è integrato dall’allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall’eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato n. 10186/2022, n. 5277/2018).

In particolare, in materia edilizia, il potere di autotutela deve essere esercitato dall’Amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall’esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell’autorizzazione edilizia;

Di conseguenza, nell’esternazione dell’interesse pubblico l’Amministrazione deve indicare non solo gli eventuali profili di illegittimità ma anche le concrete ragioni di pubblico interesse, diverse dal mero ripristino della legalità in ipotesi violata, che inducono a porre nel nulla provvedimenti che, pur se illegittimi, abbiano prodotto i loro effetti.

Occorre comunque ribadire ancora che la Pubblica Amministrazione nell’esercitare i propri poteri di autotutela gode di discrezionalità, dal momento che le rappresentazioni non veritiere non determinano l’insorgenza di un interesse in re ipsa dell’Amministrazione al ripristino della legalità violata, in quanto l’asserito “mendacio” (o dichiarazioni non veritiere) non obbliga l’Amministrazione all’esercizio dei poteri inibitori e repressivi invocati, che, presupponendo la non conformità dell’atto alle vigenti norme edilizie e urbanistiche, richiede anche la ricorrenza dell’ulteriore presupposto dell’interesse pubblico al ritiro dell’atto, valutato tenendo anche conto degli interessi privati in gioco (cfr. ad es. Consiglio di Stato 10186/2022, n. 8495/2021).

Annullamento in autotutela per false rappresentazioni, senza limiti temporali

L’annullamento d’ufficio, detto anche in autotutela, è disciplinato dall’articolo 21-nonies L. 241/1990, contenente tra l’altro il comma 2-bis:

2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
(versione coordinata con l’art. 63 legge n. 108/2021).

Nella frase è indicato un lungo elenco articolato, e ad una prima lettura non si capisce bene quali casistiche debbano necessariamente rientrare in condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato. Esse riguardano complessivamente le false rappresentazioni dei fatti assieme alle dichiarazioni sostitutive e atti di notorietà, oppure le false rappresentazioni sono escluse dal presupposto di punibilità penale con relativa condanna definitiva? La risposta corretta è la seconda.

Per costante giurisprudenza la costruzione sintattica e l’interpretazione logico sistematica implicano una chiara distinzione tra il caso in cui il provvedimento sia conseguito in funzione di una mera “falsa rappresentazione dei fatti” e l’ipotesi in cui il rilascio del provvedimento sia fondato (anche) su “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci”; a tale conclusione deve pervenirsi non tanto e non solo per l’uso della disgiuntiva “o”, che separa e differenzia le due fattispecie, bensì e soprattutto perché soltanto alle dichiarazioni e all’atto di notorietà è riferita la proposizione “false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, e solo a queste ultime, appunto in quanto effetto di condotte costituenti reato, è ricollegabile il successivo inciso “accertate con sentenza passata in giudicato. Pertanto, qualora, in spregio alla peculiare efficacia probatoria che è riconosciuta dall’ordinamento alle dichiarazioni e all’atto di notorietà, esse siano false o mendaci, al fine di superarne tale efficacia è imprescindibile l’accertamento in sede penale; diversamente la mera falsa rappresentazione, che può limitarsi anche al solo silenzio su circostanze rilevanti o al riferimento solo parziale delle medesime, si impone nella sua oggettività e non richiede alcun accertamento processuale penale (cfr., ex plurimis, T.A.R. Catania n. 488/2024, T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 22 agosto 2023, n. 4826; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III ter, 23 dicembre 2022, n. 17518; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 21 luglio 2021, n. 1802; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 2 novembre 2021, n. 1583). Di quest’ultimo riferimento giurisprudenziale ne ho preso conoscenza anche grazie al commento pubblicato sul proprio profilo social dell’esperto Avvocato Andrea Di Leo.

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Ciò significa che le false rappresentazioni dei fatti sono sufficienti da sole a consentire l’annullamento di titoli abilitativi come permesso di costruire, concessione edilizie, anche in versioni a sanatoria, i condoni rilasciati, nonostante il notevole lasso di tempo intercorso, senza dover attendere una sentenza penale passata in giudicato (vedi caso di condono annullato perchè dolosamente infedele).

Più semplicemente è inutile il decorso del tempo per evitare annullamenti in autotutela per casistiche in cui, ad esempio, gli elaborati grafici risultino essere stati prodotti in maniera non veritiera, con comportamenti costituenti reato accertato e condannato in via definitiva.

Lo dice a chiare lettere il Consiglio di Stato: in base al comma 2-bis dell’art. 21 nonies L. n. 241/1990, tale falsa rappresentazione dei fatti legittima l’amministrazione ad agire in via di autotutela anche oltre il termine fissato dal comma 1 del medesimo articolo (Cons. di Stato n. 1394/2024). Per le false rappresentazioni non serve un giudicato penale definitivo, quindi anche la prescrizione penale diviene inutile.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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