La giurisprudenza ha elaborato principi utili per quantificare il contributo di costruzione
La ricostruzione di ruderi con precedente consistenza legittima potrebbe avvenire col SuperBonus
Nei contesti insediativi e nel territorio aperto possono presentarsi edifici che si presentino in condizioni degradate, allo stato di rudere o meglio noti come “collabenti”.
Negli ultimi anni vi è stata una presa di coscienza di questi immobili situati un po’ ovunque, in particolare nelle zone agricole, quest’ultime interessate dal business degli agriturismi.
Negli ultimi mesi l’emergenza sanitaria ha stimolato l’esigenza di “sfollamento” dai centri abitati verso il territorio aperto, e quindi ha riacceso un certo appetito relativo ai manufatti esistenti.
Se a ciò aggiungiamo l’improvviso “plusvalore” virtuale che è scaturito dall’arcinoto Superbonus 110% avviato dal D.L. 34/2020, il gioco è fatto.
Infatti nella stragrande maggioranza dei casi, i bonus in materia edilizia (Ecobonus, Sismabonus, Bonus Ristrutturazioni) devono avvenire come interventi sul patrimonio edilizio esistente, senza sconfinare nel regime di nuova costruzione.
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Esiste un confine tra queste due categorie di intervento quando si intende ricostruire un manufatto degradato o demolito.
E ciò vale per queste due categorie di immobili degradati:
- Ruderi crollati per abbandono naturale e azione del tempo;
- Manufatti demoliti per volontà (es. ordine demolizione per pregiudizio sicurezza)
Il ripristino di un manufatto edilizio costituisce anche ripristino di un preesistente carico urbanistico sul territorio, e questa operazione in passato celava dubbi sull’inquadramento ai fini amministrativi (pratica edilizia, oneri di urbanizzazione, ecc.)
Prima del “Decreto del Fare” 2013
La giurisprudenza anteriore al D.L. 69/2013 (convertito con modificazioni dalla L. 98/2013) qualificava la ricostruzione dei ruderi come nuova costruzione, in quanto questi hanno perduto i caratteri dell’entità urbanistico-edilizia originaria sia in termini strutturali che funzionali (Consiglio di Stato n. 5106/2016).
Secondo tale pregresso orientamento, la ricostruzione dei ruderi costituiva sempre “nuova costruzione”, in quanto il concetto di ristrutturazione edilizia postulava necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un organismo edilizio dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
In mancanza di tali elementi strutturali non era possibile valutare l’esistenza e la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata (Cassazione Penale n. 40342/2014, n. 15054/2007).
Dopo l’entrata in vigore del ” Decreto del Fare” 2013
Con l’entrata in vigore del D.L. 69/2013 (lettera a) c.1 art. 30) il legislatore ha deciso di spostare il ripristino dei manufatti (crollati o demoliti) dal regime di nuova costruzione a quella più mite di ristrutturazione edilizia, seppure a certe condizioni.
Ciò è avvenuto modificando la lettera d) c.1 dell’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, specificando cioè che nella ristrutturazione edilizia sono compresi anche gli interventi di <<demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza>>.
In ultimo, anche il D.L. “Semplificazioni” n. 76/2020 ha provveduto a modificare parzialmente la definizione di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) art. 3 comma 1 D.P.R. 380/01, lasciando praticamente invariata la possibilità di ripristinare i manufatti crollati o demoliti:
<<Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.>>
Condizione essenziale per ripristinare il rudere: accertamento della consistenza preesistente
La ricostruzione del rudere, crollato o demolito, deve avvenire dimostrando prima di tutto il suo stato legittimato in precedenza.
Ciò è indispensabile anche nei casi in cui sia ammissibile effettuare l’intervento nell’ambito del SuperBonus 110% (a maggior ragione, mi viene da aggiungere).
Pertanto occorre svolgere una meticolosa ricostruzione dello stato legittimato della consistenza crollata o demolita, che descrivo di seguito.
Il legislatore ha posto una condizione molto rigida nel consentire il recupero di volumetrie preesistenti, cioè il loro pregresso stato legittimo. Nella suddetta definizione non c’è il richiamo espresso alla nuova definizione ex art. 9-bis del D.P.R. 380/01 introdotta dallo stesso D.L. Semplificazioni, ma è pacifico il suo richiamo analogico alla preesistente consistenza accertata.
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Questa condizione può apparire scontata, ma il legislatore ancora una volta si è visto costretto a specificare una nozione per evitare la ricostruzione di manufatto o volumetrie prive di piena legittimazione urbanistica.
Esistono due fasi e metodi integrati tra loro per dimostrare la precedente consistenza legittima, cioè rispondente alla possibilità di accertarne la preesistente consistenza:
- Dimostrando inconfutabilmente lo stato legittimo secondo l’art 9-bis DPR 380/01 (ne parlo ampiamente sul blog), cioè sulla base di elementi e documenti con valore probatorio;
- Dimostrando inconfutabilmente le caratteristiche oggettive della precedente consistenza edilizia da recuperare. Questa modalità è da intendersi come integrativa della prima, cioè da compiersi a prescindere anche nel caso di silenzio delle fonti documentali;
Nel primo ambito si procede tramite produzione di tutti i documenti utili a dimostrare la precedente consistenza quali titoli abilitativi edilizi del passato, oltre alla restante documentazione suggerita dal suddetto articolo 9-bis T.U.E.
Nel secondo invece si procede con la ricostruzione oggettiva dell’aspetto materiale e dei relativi elementi costitutivo.
Lo stato legittimo del manufatto verifica anche l’oggettiva consistenza, ma non il contrario.
Nota bene: sconsiglio vivamente di procedere soltanto col secondo ambito di verifiche.
In altre parole, le verifiche della preesistente consistenza non deve avvenire soltanto con un rilievo delle parti costruttive esistenti.
La presenza attuale di un vecchio manufatto non è sufficiente da sola a dimostrarne la legittimazione urbanistica.
Al contrario, deve avvenire in maniera integrata per dimostrare inconfutabilmente lo stato legittimo nei confronti della precedente consistenza.
Caratteristiche oggettive del manufatto (in caso di carenza documentale).
Ipotizziamo il caso in cui le ricerche documentali relative al manufatto abbiano dati risultati insufficienti a ricostruire con certezza la precedente consistenza legittima.
In questi casi si rischia di muoversi in un campo molto difficile, perché si potrà dimostrare soltanto la preesistente consistenza sulla base degli elementi superstiti che connotano l’edificio.
Tale dimostrazione dovrà essere comunque comparata a tutti gli elementi documentali o di archivio rinvenuti e aventi valore probante, in modo da comprovare la ricostruzione storico urbanistica delle rispettive porzioni nel tempo.
E qui iniziano le difficoltà, soprattutto quando un edificio risulta parzialmente crollato o peggio ancora integralmente degradato al suolo, lasciando in piedi pochi elementi; ciò rende impossibile il riconoscimento dei tratti essenziali della sagoma dell’edificio “come era”, partendo dallo stato attuale di rudere.
In sostanza per gli edifici si rende necessario dimostrare (almeno, ndr) la consistenza dell’organismo edilizio sulla base degli elementi costitutivi quali mura perimetrali, strutture orizzontali e di copertura in condizioni sufficienti da testimoniare le dimensioni e caratteristiche dell’edificio da recuperare (Cons. di Stato n. 5350/2020).
Al netto delle novelle normative evidenziate, la giurisprudenza amministrativa ha maturato il seguente orientamento che esclude la ricostruzione del rudere dalla ristrutturazione edilizia <<nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente (Cons. di Stato n. 5174/2014). In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare l’esistenza e la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata>> (Cons. di Stato n. 8634/2019, n. 1725/2018, n. 1025/2016).
Ruderi edilizi: tra restauro, ristrutturazione e nuova costruzione
La categoria di intervento del restauro e risanamento conservativo comprende un insieme di opere che non comportano alterazione delle caratteristiche edilizie dell’immobile da recuperare, e quindi rispettando gli elementi formali e strutturali dell’immobile stesso, mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell’edificio (Cons. di Stato n. 6005/2013, n. 5350/2020).
L’assenza degli elementi costitutivi del fabbricato è condizione sufficiente per non rientrare neppure nella categoria di intervento del restauro e risanamento conservativo, di cui alla lettera c) comma 1 art. 3 D.P.R. 380/01 (cfr Cons. di Stato n. 5350/2020).
A differenza della “nuova costruzione”, le nozioni di “risanamento conservativo” e di “ristrutturazione edilizia” costituiscono interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, e postulano necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o risanare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura; di conseguenza, la ricostruzione su ruderi o su di un edificio già da tempo demolito costituisce nuova opera (cfr. Cons. Stato, Sez. IV 17 settembre 2019 n. 6188).
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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