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La trasformazione edilizia del Cambio di Destinazione d’uso da anni è oggetto di continue modifiche normative nazionali, alle quali si sono (pure) aggiunte quelle regionali già prima della famigerata modifica del Titolo V costituzionale avvenuta nel 2001.

articolo aggiornato al 31 marzo 2015

QUADRO LEGISLATIVO NAZIONALE

DAL 1934 AL 1942

Disaminando il Testo Unico sulle Leggi Sanitarie R.D. 1265 del 27/07/1934, in particolare i due Artt. 220 e 221 [1][2] abrogati dai DPR 425/1994 e DPR 380/2001, non contemplava espressamente tale trasformazione, anche se poneva la necessità di parere e visto comunale alle « modificazioni, che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità delle case esistenti », assoggettando inoltre l’uso condizionato dell’immobile all’ottenimento di Autorizzazione di Abitabilità/Agibilità.
Si rammenta inoltre che fino all’emanazione della L. 1150/1942 non vi era obbligo di licenza edilizia per gli interventi edilizi.
IN SINTESI: il cambio di destinazione d’uso era libero.


DAL 1942 ALLA LEGGE PONTE 1967

Rispetto al periodo precedente la Legislazione urbanistica introdusse qualche modifica sugli atti abilitativi per le trasformazioni edilizie, in particolare fu introdotto l’Art. 31 della Legge “Fondamentale” n° 1150/1942 che statuì l’obbligo di licenza edilizia per « Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l’aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7 (omissis) ».
Ai fini del cambio di destinazione d’uso la dizione « modificarne la struttura» appare capziosa e vaga: permane una certa difficoltà nel capire l’intento del Legislatore, ovvero se col termine “struttura” si fosse riferito solo agli aspetti strutturali/statici come li intendiamo oggi o se intendeva riferirlo alla sua complessità globale anche sul piano urbanistico.
Lo scrivente ritiene fondato interpretare la sua estensione anche alle modifiche “rilevanti” o diremmo oggi “sostanziali” nell’insieme dell’edificio, tenuto conto che la fonte di tutte le ambiguità deriva da una scarsa articolazione degli interventi edilizi, avviatasi a partire dal 1977.
Attenzione:
quanto sopra vigeva solo per edifici situati nei centri abitati ET in zone di espansione nei Comuni dotati di PRG: mentre in territorio aperto qualunque attività/trasformazione edilizia non necessitava la Licenza edilizia.
Su tale argomento si invita la lettura del seguente APPROFONDIMENTO:
ANTE ’67: Legittimazione urbanistica negli atti notarili

IN SINTESI: il cambio di destinazione d’uso nelle modifiche rilevanti avrebbe necessitato la Licenza edilizia.


DALLA LEGGE PONTE 1967 ALLA LEGGE BUCALOSSI 10/1977

Il quadro normativo sul Cambio di Destinazione d’uso fu radicalmente modificata con l’approvazione della Legge Ponte n° 765/1967, in particolare viene sostituito l’Art. 31 [3] della previgente L. 1150/1942 introducendo:
• l’estensione dell’obbligo di Licenza edilizia su tutto il territorio comunale, a prescindere della dotazione di strumenti urbanistici;
• l’assoggettamento alla Licenza edilizia per « modificare o demolire quelle esistenti »;
Ancora una volta la normativa, in un momento di forte speculazione edilizia del contesto italiano, non fu stesa in maniera esaustiva, tenuto conto dell’epoca e del normale standard qualitativo vigente all’epoca tra gli operatori del settore.
Tale dizione merita di essere interpretata nella sua più ampia accezione, e quindi da riferirsi alle modifiche più rilevanti che oggi definiamo “sostanziali”; ecco che il cambio d’uso, inteso oggi come trasformazione permanente e alienante la fisionomia integrale dell’unità immobiliari, si annovera tra gli interventi necessitanti obbligatoriamente la Licenza edilizia, oltre all’ottenimento finale di Autorizzazione di Abitabilità/Agibilità. Il cambio d’uso, con o senza opere edilizie, in questo decennio era gratuito in quanto per queste tipologie di trasformazione non era prevista l’onerosità.

IN SINTESI: il cambio di destinazione d’uso necessitava di licenza edilizia su tutto il territorio nazionale, ma non era onerosa.


LA LEGGE BUCALOSSI 10/1977, LA LEGGE 457/1978 E LA L. 94/1982.

La Legge sull’Edificabilità dei suoli, meglio nota come Bucalossi, introdusse sostanziali innovazioni all’impianto normativo urbanistico nazionale, che in buona parte è rimasto in essere fino alle abrogazioni apportate dal Testo Unico DPR 380/2001.
L’Art. 1 introdusse il principio che ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia fosse subordinata al rilascio di Concessione Edilizia [4], subordinando al pagamento degli oneri di urbanizzazione[5], non prevedendo altre tipologie di intervento in deroga.

Con l’Art. 9 furono contestualmente previsti i casi di gratuità della Concessione Edilizia, ovvero quelli esclusi dal pagamento degli Oneri di urbanizzazione e del contributo sul Costo di costruzione:

a) per le opere da realizzare nelle zone agricole ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153;
b) per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione che non comportino aumento delle superfici utili di calpestio e mutamento della destinazione d’uso, quando il concessionario si impegni, mediante convenzione o atto d’obbligo unilaterale, a praticare prezzi di vendita e canoni di locazione degli alloggi concordati con il comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione;
c) per gli interventi di manutenzione straordinaria, restando fermo che per la manutenzione ordinaria la concessione non è richiesta;
d) per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari;
e) per le modifiche interne necessarie per migliorare le condizioni igieniche o statiche delle abitazioni, nonché per la realizzazione dei volumi tecnici che si rendano indispensabili a seguito della installazione di impianti tecnologici necessari per le esigenze delle abitazioni;
f) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici;
g) per le opere da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità.

La lettera “a” contenuta nell’articolo 9 introdusse il diritto all’esenzione per gli immobili residenziali e strumentali/produttivi situati in zona agricola e connessi all’attività dell’imprese agricole; con esso fu implicitamente creato anche il concetto/criterio normativo di “Deruralizzazione” che si affronterà prossimamente.
L’anno successivo alla Bucalossi fu promulgata la L. 457/1978, che in stesura originaria introdusse l’Autorizzazione Edilizia [6] non onerosa per le sole opere di manutenzione straordinaria e provvide a integrare le definizioni degli interventi edilizi con manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia e ristrutturazione urbanistica.
La Legge n° 94/1982 (Nicolazzi) estese il regime autorizzatorio gratuito anche agli interventi di restauro e risanamento conservativo ex Art. 31 della L. 457/1978.

La definizione di Restauro e Risanamento Conservativo ha dato luogo a contenziosi e orientamenti giurisprudenziali altalenanti tra loro:

« interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. (omissis) ; »

Leggendo alcuni esiti di ricorsi (TAR Bari n° 910/2004) si evince la non inconciliabilità delle opere di Restauro/Risanamento col cambio d’uso purché in armonia con le caratteristiche edilizie dell’immobile da conservare.
Si ritiene condivisibile quest’interpretazione non restrittiva vincolante un cambio di destinazione d’uso “compatibile” sia alla conservazione dell’organismo edilizio sia al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali.
Purtroppo questo genere di stesura lascia spazio a diverse interpretazioni: infatti non è da escludere che il vero intento del Legislatore fosse di evitare più interventi successivi in un ottica di lungimiranza conservativa dei caratteri testimoniali e culturali nel patrimonio esistente.

IN SINTESI: il cambio di destinazione d’uso rientrava nelle ristrutturazioni edilizie soggette a Concessione Edilizia onerosa.


LE INNOVAZIONI DELLA LEGGE n° 47/1985

La normativa urbanistica divenne più complessa e articolata a seguito dell’approvazione della norma sul Condono Edilizio, la L. 47/1985, che introdusse le seguenti modifiche:
• il mutamento di destinazione d’uso che implicasse variazione agli standard urbanistici ex DM 1444/68 fu inserito  nelle casistiche delle variazioni essenziali; [7]
• l’assenza di modifiche della destinazione d’uso divennero condizione necessaria per effettuare le varianti in corso d’opera e per effettuare le modifiche interne ex Art. 26. [8]
• delega alle leggi regionali  con possibilità di normare quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, subordinare a concessione, e quali mutamenti, connessi e non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti siano subordinati ad autorizzazione [9];

• delega alle leggi regionali  di definire termini e modalità di pagamento degli oneri d’urbanizzazione in relazione alla tipologia edilizia, destinazione d’uso; [10]

IN SINTESI: il cambio di destinazione d’uso rientrava nelle ristrutturazioni edilizie soggette a Concessione Edilizia onerosa, salvo quanto disposto dalle Regioni.


IL TESTO UNICO DELL’EDILIZIA DPR 380/2001

Col T.U.E. in prima stesura sul cambio di destinazione d’uso vi furono introdotte alcune modifiche:
• definizioni di Restauro e Ristrutturazione Edilizia lievemente modificate ma invariate sul cambio d’uso; [11]
• assoggettamento al Permesso di Costruire per le ristrutturazioni edilizie comportanti modifiche di destinazione d’uso limitatamente alle zone omogenee “A” (centri storici) [12] ;
• assoggettamento a Denuncia di Inizio Attività per tutte le altre tipologie d’intervento non espressamente soggette al PdC; [13]
• mantenimento delega alle Regioni a legiferare in materia di mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, da subordinare a Permesso di Costruire o a DIA ; [14]
In seguito, tra il 2010 e 2012 le procedure delle DIA furono sostituite dalla SCIA.

Recentemente in ambito nazionale il Decreto “Sblocca Italia” ha apportato modifiche sostanziali sul mutamento di Destinazione d’uso, introducendo l’Art. 23/ter ovvero la casistica di « Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante ».
• esso ha istituito cinque categorie funzionali ovvero residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale, e rurale;
il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale e’ sempre consentito, salvo diversa legislazione regionale e strumenti urbanistici;
il passaggio, con o senza opere, tra le diverse categorie funzionali costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso;
• introduce il concetto di “prevalenza” di destinazione d’uso in termini di superficie utile per ogni unità immobiliare (quindi fino al 49% ?);
• alle Regioni è stato concesso il termine (decorso) di novanta giorni dalla sua entrata in vigore per adeguare la propria legislazione ai suddetti principi.

IN SINTESI: in ambito nazionale e salvo norme regionali, il cambio di destinazione d’uso “rilevante” rientra nelle ristrutturazioni edilizie soggette a SCIA onerosa, eccettuato per gli immobili situati nelle zone A (centri storici) sottoposti al PdC;

IL CAMBIO DI DESTINAZIONE D’USO IN TOSCANA

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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Note e Riferimenti:
[1] R.D. 1265/1934 Art. 220:
I progetti per le costruzioni di nuove case, urbane o rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni, che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità delle case esistenti, debbono essere sottoposti al visto del podestà, che provvede previo parere dell’ufficiale sanitario e sentita la Commissione edilizia.

[2] R.D. 1265/1934 Art. 221:
Gli edifici o parti di essi indicati nell’articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a cio’ delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità. Il proprietario, che contravvenga alle disposizioni del presente articolo, e’ punito con l’ammenda da lire duecento a duemila.

[3] L. 1150/1942 Art. 31, modificato dalla L. 765/1967:
Chiunque intenda nell’ambito del territorio comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere all’esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno, deve chiedere apposita licenza al Sindaco.

[4] L. 10/1977 Art. 1:
Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente legge.

[5] L. 10/1977 Art. 3:
La concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione.

[6] L. 457/1978 Art. 31:
a) interventi di manutenzione ordinaria, quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
b) interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonche’ per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso;
c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio;
d) interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti;
e) interventi di ristrutturazione urbanistica, quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

[7] L. 47/1985 Art. 8 comma 1 lettera a;

[8] L. 47/1985 Artt. 15 e 26;

[9] L. 47/1985 Artt. 25;

[10] L. 47/1985 Artt. 29;

[11] DPR 380/01 Art. 3;

[12] DPR 380/01 Art. 10;

[13] DPR 380/01 Art. 22;

[14] DPR 380/01 Art. 10 comma 2;

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