Mancato o ritardato pagamento degli oneri concessori non impedisce il rilascio del titolo abilitativo
La giurisprudenza ha elaborato principi utili per determinare il contributo di costruzione
In molti casi la quantificazione dei cosiddetti oneri di urbanizzazione e contributo sul costo di costruzione richiede valutazioni particolari, per cui si riportano i criteri stabiliti dalla giurisprudenza amministrativa. Il nodo della questione passa dai criteri per individuare l’incremento di carico urbanistico, o le sue variazioni sostanziali.
Ovviamente occorre tenere conto anche delle recenti semplificazioni e modifiche normative intervenute con L. 105/2024 “Salva Casa” (già decreto legge n. 69/2024), in particolare sui mutamenti di destinazione d’uso.
In linea generale ciò che rileva ai fini del calcolo del contributo di costruzione è l’oggetto sostanziale dell’intervento, essendo questo determinante per stabilire l’effettiva incidenza sul carico urbanistico. Facendo riferimento alla sentenza di Consiglio di Stato n. 148/2022, si sottolinea che:
a) il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’Amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV, 23 febbraio 2021, n. 1586);
b) è stata ritenuta sufficiente, al fine della configurazione di un maggior carico urbanistico, la circostanza che, quale effetto dell’intervento edilizio, sia mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta (Cons. Stato, Sez. II, 21 luglio 2021, n. 5494);
c) considerato che il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità, nel caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel momento in cui l’intervento va a determinare un aumento del carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV, 31 luglio 2020, n. 4877), il che può verificarsi anche nel caso in cui la ristrutturazione non interessi globalmente l’edificio, ma, a causa di lavori anche marginali, ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica (Cons. Stato Sez. IV, 31 luglio 2020, n. 4877).
E il Comune quali competenze mantiene?
Nell’ambito dei principi tracciati dal D.P.R. 380/01 e dalle leggi regionali (coerenti con quest’ultimo), si osserva che la Corte costituzionale, con la sentenza 10 aprile 2020, n. 64, ha affermato la natura di norma statale di principio nella materia “governo del territorio” di quella sancita dall’art. 16, comma 9, del t.u. edilizia, in quanto concernente l’onerosità del titolo abilitativo.
Invero, tale previsione “nel fissare una cornice entro la quale le singole Regioni possono determinare il contributo per il costo di costruzione, persegue un obiettivo di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale”, in quanto “solo con la previsione di una quota minima ed inderogabile il principio di onerosità del titolo edilizio acquisisce un connotato di effettività; e ciò in quanto, ove tale previsione mancasse, il legislatore regionale sarebbe libero di prevedere interventi edilizi che non comportano alcun costo, o comportano un esborso talmente irrisorio da eludere ogni profilo di corrispettività del contributo rispetto al titolo edilizio rilasciato”.
9. D’altro canto, l’art. 16, comma 10, t.u. edilizia, nel prevedere che “al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni”, facoltizza e non obbliga i Comuni a mitigare i costi di costruzione per le ipotesi di ristrutturazione.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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