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Cassazione conferma condizioni di nullità degli atti di trasferimento di immobili (escluso lo Stato Legittimo)

Resta costante l’orientamento stabilito con la sentenza di Cassazione Civile a Sezioni Unite n. 8230/2019, con cui era stato confermato l’orientamento formalista sul regime di commerciabilità immobiliare e nullità degli atti di trasferimento tra vivi.

Si riprendono i limiti imposti alla libera circolazione degli immobili nelle compravendite immobiliari, istituti con gli articoli 17 e 40 L. 47/85, come integrati o sostituiti dall’articolo 39 L. 724/94, articolo 2 L. 662/1996 e articolo 46 DPR 380/01.

Stavolta la fattispecie è stata oggetto dell’Ordinanza n. 3271/2024 di Cassazione Civile, e contempla una domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare di vendita (articolo 2932 C.C.) di un complesso edilizio concesso in locazione finanziaria (leasing), stipulato proprio tra gli utilizzatori dei beni immobili e la società di leasing (nonché proprietaria dell’immobile).

Per chi non lo conosce il leasing immobiliare è un contratto di locazione finanziaria e rappresenta una opzione per accedere all’utilizzo di beni immobili alternativa all’acquisto o alla locazione ordinaria. Con questo contratto un soggetto, detto concedente, mette a disposizione di un altro soggetto, detto utilizzatore, un immobile per un periodo di tempo definito. In cambio, l’utilizzatore versa un canone periodico e, alla scadenza del contratto, ha la facoltà di acquistare il bene versando un corrispettivo prestabilito nel contratto, tipo “maxi rata finale” delle automobili.

Il contenzioso è nato proprio perchè al momento in cui avevano esercitato l’opzione di acquisto erano emerse difformità rispetto ai titoli autorizzativi che avevano impedito la stipula dei contratti di riscatto con il trasferimento della proprietà.

Nei confronti della società concedente il leasing gli utilizzatori hanno chiesto la pronuncia della vendita coattiva (esecuzione in forma specifica) del preliminare, e la pronuncia di nullità del contratto di leasing qualora fosse stata ravvisata l’impossibilità a procedere alla regolarizzazione urbanistica e/o edilizia delle difformità denunciate e, quindi, fosse risultata incommerciabile l’unità immobiliare.

L’Ordinanza di Cassazione accoglie il ricorso della società di leasing perchè la Corte di Appello aveva emesso sentenza sulla base dell’orientamento assai minoritario “sostanzialista”* ormai superato dalla predetta sentenza a SS.UU. n. 8230/2019, affermando cioè che gli atti di trasferimento di diritti reali su immobili sono nulli, ai sensi dell’art. 40, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sia nel caso in cui gli immobili oggetto di trasferimento non siano in regola con la normativa urbanistica (nullità di carattere sostanziale), sia quando dagli atti di trasferimento non risulti la circostanza della regolarizzazione in corso (nullità di carattere formale).
*Si cita per l’orientamento sostanzialista la sentenza di Cass. Civile Sentenza n. 23591/2013, n. 25811 del 05/12/2014).

Successivamente, il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità tra l’interpretazione secondo cui la nullità di cui agli articoli 17 e 40 della Legge n. 47/1985, e 46, d.p.r. n. 380/2001, avrebbe natura formale in quanto derivante dalla mera assenza delle dichiarazioni del venditore circa i titoli abilitativi edilizi e quella che, invece, affermava la natura sostanziale della nullità in quanto derivante non soltanto dall’assenza della menzione del titolo nell’atto, ma anche dalla difformità tra il bene venduto e il progetto assentito. Come detto in precedenti articoli, a nulla rileva la rilevanza della gravità degli abusi e illeciti edilizi.

Le Sezioni Unite n. 8230/2019 hanno aderito alla prima opzione “formalista” enunciando il seguente principio di diritto:

La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.
A sostegno di questa tesi, si è fatto ricorso, in linea con le indicazioni contenute nell’art. 12, comma 1, delle Preleggi, sia al dato letterale delle norme esaminate, che connettono la nullità e l’impossibilità della stipula esclusivamente all’assenza di siffatta dichiarazione o allegazione ex art. 40, sia al dato teleologico, da individuarsi soltanto in esito all’esegesi del testo esaminando e non in funzione di finalità ispiratrici del complesso normativo in cui esso è inserito.
E’ stato poi evidenziato come l’intento perseguito dall’interpretazione sostanzialista, di supportare anche in ambito civilistico il disvalore espresso dall’ordinamento nei confronti del diffuso fenomeno dell’abusivismo edilizio, sia sconfessato dall’essere stata la nullità comminata soltanto con riguardo a specifici atti ad effetti reali inter vivos, con esclusione invece di quelli mortis causa, di quelli ad effetti obbligatori, di quelli riguardanti diritti reali di garanzia e di servitù e di quelli derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali, e come lo stesso istituto della conferma e l’atto aggiuntivo che la contiene presuppongano la sussistenza del titolo e della documentazione, senza implicare, altresì, l’effettiva corrispondenza al suo contenuto dell’edificio oggetto del negozio.

E’ stato inoltre chiarito che la sanzione in esame non possa essere sussunta nell’orbita della nullità c.d. virtuale di cui al comma 1 dell’art. 1418 c.c., la quale presupporrebbe l’esistenza di una norma imperativa e il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente inutilizzabili, in quanto non riscontrata in seno allo ius positum, e neppure nell’ambito della nullità di cui al comma 2, dell’art. 1418 c.c., per illiceità o impossibilità dell’oggetto o per illiceità della prestazione o della causa per contrarietà a norme imperative o al buon costume, in considerazione sia dell’esclusione di alcune tipologie di atti (quelli sopra richiamati) dal suo ambito applicativo, sia dell’estraneità dell’illiceità dell’attività di produzione del bene contemplato nell’atto dall’oggetto e dalla causa della compravendita, costituiti rispettivamente dal trasferimento della proprietà della res e dallo scambio cosa contro prezzo.
Alla stregua di tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno dunque ritenuto che la nullità urbanistica costituisca una specifica declinazione del comma 3 dell’art. 1418 c.c., da definirsi come testuale in quanto volta a colpire gli atti in essa menzionati, e sia insuscettibile, in quanto tale, di applicazione estensiva o analogica, ma soggetta a stretta interpretazione, sebbene con la precisazione che il titolo menzionato nell’atto non soltanto debba realmente esistere, così come veridica deve essere la dichiarazione dell’alienante, ma debba altresì riferirsi all’immobile oggetto dell’atto, non soltanto perché, diversamente, verrebbe svuotata di significato la previsione della conferma di cui agli artt. 46, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001, e 17, comma 4, e 40, comma 3, della l. n. 47 del 1985 (possibile soltanto in caso di omessa menzione non dipesa da insussistenza del titolo) e la stessa finalità perseguita dal legislatore di limitare le transazioni relative a immobili abusivi, ma anche perché verrebbe altrimenti vanificata la valenza essenzialmente informativa nei confronti della parte acquirente propria della dichiarazione, richiedente la concreta riferibilità del titolo all’immobile oggetto dell’atto.
E’ stata infine esclusa la necessità di distinguere tra variazioni essenziali e non essenziali del manufatto edificato, come richiesto nell’ordinanza di rimessione, in quanto irrilevante al fine di definire l’ambito della nullità del contratto, anche in considerazione della moltiplicazione dei titoli abilitativi previsti in riferimento all’attività edilizia da eseguire e della conseguente indeterminatezza del sistema delle nullità, che verrebbe affidato a graduazioni di irregolarità urbanistica difficilmente identificabili e sostanzialmente lasciate all’arbitrio dell’interprete.

Nella fattispecie la sentenza di Appello impugnata in Cassazione risultava antecedente la pronuncia delle Sezioni Unite sopra riportata e, inoltre, dalla sua motivazione non emerge con chiarezza quale sia l’effettiva ragione della nullità del contratto di compravendita intercorso tra le parti, ovvero se dipenda da un c.d. abuso di tipo “sostanziale” derivante da irregolarità urbanistiche o se a mancare sia il titolo edilizio necessario secondo le indicazioni dell’intervento nomofilattico.
Come si è detto, infatti, le norme sulla nullità sono di stretta interpretazione e ciò che si richiede è che il titolo menzionato nell’atto non soltanto debba realmente esistere, così come veridica deve essere la dichiarazione dell’alienante, ma debba altresì riferirsi all’immobile oggetto dell’atto.

Pertanto viene accolto il ricorso in Cassazione, ordinando il rinvio alla Corte di Appello affinché riesamini la validità dei contatti alla luce della sentenza di Cassazione Civile emanata a Sezioni Unite n. 8230/2019.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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