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Pochi casi possono ridurre il limite assoluto di dieci metri previsto dal D.M. 1444/68

Premessa importante: la disciplina in materia nasce come normativa primaria di pianificazione territoriale. Lo scopo è quella di tutela l’interesse pubblico della tutela igienico sanitaria, e di regolare di conseguenza i rapporti civilistici (e costituisce materia di esclusiva disciplina statale, vedi sentenza Corte Costituzionale n. 6/2013).

La distanza tra costruzioni, detta anche distacco, serve per evitare la formazione di intercapedini pericolose o pregiudizievoli da un punto di vista sanitario.

E la sua introduzione non intendeva tutela la riservatezza degli abitanti delle costruzioni, bensì la loro salubrità (Cass. Civ. 4885/2014).

E nel D.M. 1444/68, l’articolo 9 prevede una prima serie di distanze minime tra costruzioni, su cui il legislatore di recente è tornato ad esprimersi col Decreto “Sblocca Cantieri“.

All’ultimo comma dell’art. 9, è prevista una esigua possibilità di derogare alle stesse distanze prescritte.

Prima di prosegue, è meglio riportare per intero l’articolo 9 in questione:

Art. 9. Limiti di distanza tra i fabbricati
Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12.
Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
– ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7.
– ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
– ml. 10,00 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

Derogare alle distanze minime tra costruzioni significa incidere sull’assetto complesso del territorio.

La giurisprudenza ha precisato e chiarito i casi in cui si possono applicare le deroghe alle distanze minime.

L’unica possibilità di deroga è la progettazione di gruppi di edifici nell’ambito di specifici strumenti urbanistici attuativi, cioè i piani particolareggiati e i piani di lottizzazione convenzionate con previsioni planivolumetriche;

In sostanza, ci sono due condizioni conseguenziali da rispettare:

  • il riferimento ad una pluralità di edifici;
  • la loro ricomprensione in piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate;

DEFINIZIONI: Cosa è un PIANO PARTICOLAREGGIATO E LOTTIZZAZIONE

Restano esclusi, da esempio, le forme di progetto unitario compiute direttamente in edilizia diretta, cioè col permesso di costruire. Infatti lo strumento del piano/progetto unitario, tramite istanza congiunta di concessione edilizia relative a singole costruzioni, non è concernente in alcun modo l’assetto urbanistico di una intera area del territorio comunale (Cass. Civ. n. 29867/2019, Cass. Civ. 3803/2014).

Lo scopo della deroga è mantenere ordinata la pianificazione dello sviluppo insediativo

Trovo calzante il passaggio centrale di questa sentenza di Cassazione, che meglio di tutte sintetizza la questione della deroga alle distanze minime:

In tema di distanze tra costruzioni, la deroga alla disciplina stabilita dalla normativa statale, da parte degli strumenti urbanistici regionali deve ritenersi legittima quando faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (“gruppi di edifici”) che siano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni, considerate come fossero un edificio unitario, e siano finalizzate a conformare un assetto complessivo di determinate zone; ciò in quanto la legittimità di tale deroga è strettamente connessa al governo del territorio e non, invece, ai rapporti fra edifici confinanti isolatamente intesi (Cass. Civ. n. 29687/2019, Cass. Civ. n. 27638/2018).

In altre parole, neppure le regioni possono oltrepassare la linea di deroga imposta a livello statale nel D.M. 1444/68: possono tuttavia disciplinare la materia rispettando gli stessi riferimenti di deroga previsti dal D.M. 1444/68, ovvero la anzidetta doppia condizione: gruppi di edifici e oggetto di quei piani attuativi già detti.

Per concludere, le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite nei limiti indicati dall’art. 9 ultimo comma D.M. 1444/68, se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (Cass. Civ. 4885/2014)

Se leggete bene tra le righe, la finalità della norma è puramente pianificatoria. Hanno poco a che vedere con l’edilizia in senso lato.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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