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Installazione di manufatti, leggeri e anche prefabbricati ai fini abitativi comporta nuova costruzione, derogabile in poche casistiche

La collocazione di case mobili per qualcuno potrebbe essere una soluzione di carattere temporaneo, apparentemente senza trasformazione permanente del suolo.

E purtroppo per qualcuno potrebbe anche rappresentare l’unica soluzione per avere un tetto, forse per indisponibilità ad acquistare un’abitazione tradizionale.

Resta il fatto che la collocazione di manufatti, abitazioni e costruzioni di ogni tipo con caratteristiche di mobilità non rientra in edilizia libera, e sono assoggettate allo stesso regime delle nuove costruzioni stabili e permanenti al suolo, assoggettandole all’ottenimento del Permesso di Costruire.

Avevo già affrontato il tema analogo sulle case prefabbricate, ma per comprendere bene la fattispecie, facciamo riferimento soprattutto alla normativa del Testo Unico Edilizia DPR 380/01, modificata dal DL 76/2020; devo dire però che in tema di case e strutture mobili, tale modifica ha voluto precisare (e beneficiare) soltanto quelli situati in ambito ricettivo.

Ma qui facciamo riferimento a quelle case mobili finalizzate a soddisfare una esigenza residenziale vera e propria.

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Partiamo dal DPR 380/01 art. 3 comma 1 lettera e), il quale dispone la definizione generale di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, qualora non rientri tra:

  • interventi descritti ai punti precedenti a), b), c) e d), cioè manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia (art. 3 c.1 lettera e.1 DPR 380/01);
  • interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale (art. 3 c.1 lettera e.6 DPR 380/01);
  • linstallazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, a condizione che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti; (art. 3 c.1 lettera e.5 DPR 380/01, modificato dall’art. 10 comma 1 lettera b) della legge n. 120/2020)

Da quest’ultima descrizione emerge chiaramente che la qualifica di nuova costruzione per case mobili si applica in via generale, mentre l’esclusione è assai condizionata e riservata esclusivamente a quelle strutture ricettivo all’aperto per turisti.

Neppure le strutture ricettive all’aperto hanno proprio un regime liberalizzato: devono infatti premunirsi di autorizzazione sotto il profilo urbanistico edilizio per le modifiche dell’assetto del territorio; a questo bisogna aggiungere che in tali strutture devono comunque rispettare diversi requisiti, ad esempio l’esclusione della natura permanente al suolo, proprio per evitare di qualificare trasformazione permanente di esso.

A conferma che anche alle case mobili situate in strutture ricettive all’aperto sia applica un rigido quanto limitato regime favorevole condizionato, lo si evince dalla giurisprudenza:

E, tipici di quelle strutture ricettive, perdono la loro “naturale” connotazione di amovibilità e precarietà, e divengono invece indicatori di una stabile trasformazione del territorio, laddove ne sia modificata la connotazione di agevole spostamento (si pensi alla necessità che conservino “meccanismi di rotazione in funzione”) ovvero presentino “collegamenti di natura permanente al terreno”. La sola verifica dell’una o dell’altra di tali condizioni esclude la sussistenza della fattispecie derogatoria, che – non va dimenticato – ha natura eccezionale rispetto al principio di opposto segno codificato, oggi come ieri, nella prima parte della citata disposizione, laddove l’ipotesi derogatoria qui in esame viene introdotta con le parole: “ad eccezione di”. (Cass. Pen. n. 36552/2022).

Una volta escluse le case mobili in ambito ricettivo, gestite anche su piattaforme rotabili (tipi tinyhouse in voga in nord-Europa), non rimangono tante possibilità per le abitazioni vere e proprie, anche di natura precaria, semplicemente appoggiate o rialzate dal suolo.

Volendo cercare maggiore risposta dettagliata, preferisco riportare un passaggio interessante della sentenza d. 5965/2020 del Consiglio di Stato, relativa a fattispecie pure anteriore al DL 76/2020:

<<Quanto alla caratterizzazione funzionale dei manufatti di che trattasi – nell’avversata sentenza descritti come “appartamenti mobili installati su due binari longitudinali in ferro provvisti, al centro, di ruote gommate utili allo spostamento e trasporto, e lateralmente di gancio di traino e barre verticali utili a stabilizzarne l’assetto” – va rilevato come, per effetto di quanto disposto dal citato art. 3 del T.U. dell’edilizia, l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper e, come nella specie, case mobili, possa ritenersi consentita in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, solo ove diretta a soddisfare esigenze meramente temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono; laddove, diversamente, l’installazione stabile di mezzi (teoricamente) mobili di pernottamento determina una trasformazione irreversibile o permanente del territorio, con la conseguenza che per tali manufatti, equiparabili alle nuove costruzioni, necessita il permesso di costruire.
Secondo orientamento giurisprudenziale consolidato, il carattere precario di un manufatto deve essere valutato non con riferimento al tipo di materiali utilizzati per la sua realizzazione, ma avendo riguardo all’uso cui lo stesso è destinato; nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria dell’opera, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata (cfr. Cons. di Stato n. 150/2018).
La natura precaria di un manufatto, ai fini dell’esenzione dal permesso di costruire, deve quindi ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di esso ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione.
La precarietà non va, peraltro, confusa con la stagionalità, vale a dire con l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo.>>

Tutto questo per dire che non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, perché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Consiglio di Stato n.5965/2020).

Né può rilevare, in senso contrario, il mero fatto che tali strutture non siano adibite ad “abitazione”, intesa in senso di domicilio principale e/o residenza, dagli utilizzatori, in quanto deve ritenersi che non sia la continuità della presenza ad imprimere la funzione, bensì la potenziale fruibilità del manufatto, costante nel tempo, ancorché con la ciclicità dell’alternarsi delle stagioni che la rendano gradevole e/o apprezzabile.

Infatti, i manufatti funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo, come quelli del caso di specie, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie; non risultando essi, in concreto, deputati a un uso per fini contingenti, ma rivelandosi, piuttosto, destinati ad un impiego protratto nel tempo.

L’esistenza di elementi tali da dimostrare un carattere permanente anziché transitorio è sufficiente da solo a rendere necessario il permesso di costruire. Lo sono ad esempio la rimozione delle ruote e la collocazione sopra alcuni stabilizzatori sopra una piattaforma in cemento armato; inoltre gli elementi di decoro esterno e gli allacci ad una fonte idrica (recipiente contenitore con autoclave) e ad uno scarico, denotavano una struttura non provvisoria ma stabile (Cass. Pen. III n. 26924/2017).

Oppure anche se il manufatto, pur essendo dotato di piccole ruote, fosse privo di gancio per traino, di targa, di dispositivi di illuminazione e di documenti di circolazione ed stabilmente installato sul posto con tanto di cancello e recinzione, concretizza una durevole trasformazione del fondo (Cass. Pen. III n. 52834/2016).

La casa mobile/prefabbricata stabilmente infissa al suolo attraverso sostegni che entrano nella pavimentazione con fondamenta in cemento e ferro, pur mantenendo la presenza di ruote, sostegni retrattili e ganci di traino, si configura come un tentativo di fornire una parvenza di mobilità alla stessa, non sufficiente a conferire carattere di temporaneità (Cass. Pen. III n. 38923/2013).

In tema di case abitative mobili, soprattutto quando la loro collocazione avviene congiuntamente ad altre, oppure anche all’esecuzione di opere di urbanizzazione, apre la possibilità di contestazione di lottizzazione abusiva. Questo perché tale intervento oltre ad aver realizzato il manufatto senza titolo edilizio, è accompagnato da opere che modificano l’assetto del territorio in contrasto alle previsioni di piano.

Ad esempio la realizzazione di sistemi fognari, di acquedotto, fornitura utenze elettriche, sono elementi sintomatici della residenza umana, della continuità del manufatto e di trasformazione permanente del territorio.

In definitiva le case mobili a destinazione residenziale, con o senza ruote, non possono considerarsi fattibili in “edilizia libera”, visto peraltro che non sono neppure elencate nell’apposito Glossario di Edilizia Libera, nell’art. 6 del DPR 380/01 e sicuramente neppure nelle norme regionali sul Governo del territorio.

E a proposito di norme regionale, è assai improbabile (e suscettibile di contrasto coi principi al TUE) che una norma regionale possa prevedere deroghe in tal senso, qualificando manufatti precari le abitazioni mobili.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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