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Negli ultimi anni la giurisprudenza si è orientata a non ammettere più questo istituto pretoriano per regolarizzare immobili

Non è consentito l’esercizio, da parte dell’Amministrazione, di un potere di sanatoria che vada oltre i limiti imposti dal Legislatore.

Interessante il caso affrontato dalla recente sentenza del Cons. di Stato VI n. 03559/2016 per un magazzino situato nel Friuli.

Tutto ha inizio col rilascio di una concessione edilizia per realizzare in zona agricola un capannone ad uso magazzino, con tassative prescrizioni di non alterare la destinazione d’uso e di non tamponare le pareti perimetrali, in quanto la chiusura avrebbe comportato superamento dell’indice di fabbricabilità fondiaria. Si trattava quindi di una ampia tettoia aperta sui lati.

I proprietari del capannone chiedono il rilascio di una variante con cui intendono realizzare i tamponamenti laterali del manufatto; il comune respinge la variante in quanto non conforme alle disposizioni dello strumento urbanistico comunale.

Secondo voi cosa è successo?

I proprietari dopo il diniego procedono ugualmente al tamponamento delle pareti, e prontamente il Comune emette ordinanza di rimessa in pristino, «in quanto con la chiusura viene superato l’indice di fabbricabilità fondiaria massima ammissibile».

In seguito alle richieste fatte dai titolari, il Comune rilasciò una prima concessione in sanatoria per parte delle opere realizzate, e poi una seconda concessione edilizia per la costruzione dei tamponamenti laterali.

A volte i vicini di casa non stanno a guardare e basta.

Impugnano questi provvedimenti rilasciati in sanatoria davanti al T.A.R., il quale li annulla motivando che il tamponamento aveva determinato «la creazione di una volumetria prima inesistente» e quindi «un ampliamento della volumetria eccedente quella consentita».

Dopo la decisione del T.A.R. il Comune, in data 10 settembre 2001, emanò una nuova ordinanza di demolizione e di remissione in pristino dello stato dei luoghi.

Successivamente, a seguito di richiesta fatta dai proprietari, il Consiglio comunale, con deliberazione approvò un Piano particolareggiato ad iniziativa privata con c.d. sanatoria giurisprudenziale delle opere originariamente abusive, in ragione della intervenuta approvazione delle N.T.A. del Piano regolatore comunale.

E vicini ? Neanche stavolta sono rimasti a guardare.

Anche la deliberazione del piano particolareggiato viene impugnata dai impugnata dai vicini (coriacei, direi) e veniva annullata dal T.A.R. del Friuli e confermata dal Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato conferma che la concessione in sanatoria è un provvedimento tipico, capace di legittimare l’antigiuridicità dell’abuso e di estinguere il potere repressivo dell’Amministrazione.

Il Consiglio di Stato ha ribadito che il suo ambito di applicazione non può che essere specificamente disciplinato dalla normativa, non essendo consentito all’Amministrazione un potere di sanatoria oltre i limiti imposti dal Legislatore.

L’alta corte amministrativa ha ribadito che il T.U. n. 380 del 2001 continua e richiedere (ex art. 36) l’accertamento di duplice conformità delle opere (alla strumentazione urbanistica vigente al momento della realizzazione delle stesse e alla strumentazione urbanistica vigente al momento della sanatoria).

Lo stesso articolo non concepisce la possibilità di sanatoria “singola”, nonostante che la possibilità di riconoscere a livello normativo l’ammissibilità, entro certi limiti, di tale istituto giurisprudenziale fosse stata espressamente prospettata tra l’altro dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato nel parere all’uopo reso in data 29 marzo 2001.

Come va a finire la vicenda ?

I proprietari provano quindi a giocare la carta del sanzionamento dell’abuso, motivando con perizia di parte che gli abusi non potevano essere rimossi senza compromettere la statica dell’immobile. E presentano istanza di sanzionamento per mancata demolizione.

Il Comune comunicò quindi che avrebbe avviato il procedimento per la quantificazione della sanzione pecuniaria sostitutiva.

Secondo voi i vicini mollano la presa ? No, fanno ricorso (ancora) al Tar perchè si poneva in violazione.

Il Tar risponde all’istanza rigettava il ricorso, lasciando immutata tuttavia la discrezionalità del Comune in ordine alle misure conformative da adottare.

Ma ecco che il Comune, avendo ritenuto che gli abusi edilizi commessi fossero sostanziali e non formali, ritenne non applicabile la sanzione pecuniaria sostitutiva e rinnovava l’ordine di demolizione parziale del capannone in questione.

Stavolta a ricorrere al Tar sono i proprietari del capannone, contestando la nuova e ultima ordinanza di demolizione integrale – e non più parziale – del manufatto in questione, in quanto l’abuso edilizio compiuto costituiva variazione essenziale, sia a causa dell’aumentata volumetria, sia per la diversa attività svolta.

Il TAR del Friuli rileva che i proprietari avevano trasformato una tettoia aperta in un capannone chiuso, generando un volume prima inesistente ed ha ricordato che sono interventi eseguiti in totale difformità dalla concessione edilizia, realizzando un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche o di utilizzazione da quello concessionato.

Inoltre il Tar nella sentenza ha ribadito un consolidato orientamento:

  • l’illecito edilizio è permanente, si protrae e si conserva nel tempo, e con esso si protrae e si conserva nel tempo l’interesse pubblico al ripristino dell’ordine violato, che è sempre prevalente sull’interesse del privato al mantenimento dell’opera abusiva;
  • non vi è necessità di motivare l’ordine di demolizione in modo particolare del manufatto illecitamente costruito, nemmeno quando è decorso un notevole lasso di tempo, perché l’affidamento del titolare di bene abusivo non è mai incolpevole;
  • colui che realizza un abuso edilizio non può dolersi del fatto che l’Amministrazione lo abbia inizialmente avvantaggiato, non esercitando il potere sanzionatorio di cui è titolare o esercitandolo in misura meno afflittiva di quanto avrebbe dovuto.

I proprietari fanno appello al Consiglio di Stato, sostenendo che per le opere realizzate in difformità rispetto ai titoli edilizi avevano ottenuto le concessioni edilizie in sanatoria, e che l’abusività delle opere si era determinata col successivo annullamento in sede amministrativa, sostenendo che erroneamente il T.A.R. ha ritenuto legittima l’ordinanza di demolizione (integrale) delle opere, emessa dal Comune.

Al Consiglio di Stato i proprietari fanno notare che la mancata disposizione contenuta nell’art. 38 del T.U. dell’edilizia, secondo la quale in caso di annullamento di un titolo edilizio, l’amministrazione deve comparare l’interesse pubblico al recupero dello stato legittimo col rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino che ha fatto affidamento sul titolo rilasciato.

E quindi i proprietari ritenendo impossibile il ripristino, come risultava accertato anche dal tecnico comunale nel 2007, ribadivano l’applicazione di una sanzione pecuniaria, anche tenendo conto della circostanza che nell’area non vi è un divieto assoluto di edificazione.

Il Consiglio di Stato respinge la posizione del proprietario, confermando l’indirizzo del TAR friulano.

Non si può ritenere illegittima l’ordinanza di demolizione integrale delle opere in questione, a causa della mancata applicazione della disposizione relativa all’annullamento del titolo edilizio.

L’art. 38 del t.u. dell’edilizia in caso di annullamento del titolo edilizio, permette all’amministrazione di comparare l’interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino che ha fatto affidamento sul titolo rilasciato e quindi può disporre l’irrogazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione.

Tale norma può trovare applicazione quando l’amministrazione procede all’annullamento in autotutela, di un titolo già rilasciato nelle forme ordinarie; l’annullamento del titolo non può essere invocato quando le opere sono state realizzate in mancanza dei necessari titoli abilitativi e gli atti di assenso dell’Amministrazione, intervenuti successivamente in sanatoria, sono stati poi annullati perché ritenuti illegittimi, dal giudice amministrativo.

Ben diversa è la condizione di chi ha realizzato un’opera edilizia col titolo rilasciato dall’Amministrazione (poi annullato) e di chi invece ha realizzato un’opera edilizia in assenza dei titoli abilitativi ed ha ottenuto un provvedimento di sanatoria poi rivelatosi illegittimo e quindi per questo annullato.

La valutazione comparativa tra interesse pubblico e affidamento al privato ex art. 38 presuppone l’esecuzione di opere congruenti ai titoli edilizi, e non anche abusivi.

Solo nel caso in cui è stata l’Amministrazione, con il suo comportamento, ad ingenerare un affidamento sulla legittimità delle opere realizzate (nella vigenza del titolo abilitativo) si deve, quindi, ritenere possibile una forma di tutela per chi ha realizzato le opere e per le stesse opere, la cui eliminazione è condizionata ad una valutazione sull’interesse pubblico non limitata alla sola necessità di ripristinare la legalità violata.

In pratica, per le opere realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, non si può derogare alle disposizioni che prevedono il ripristino della legalità violata e quindi l’eliminazione delle opere abusive realizzate. 

Sulla possibile applicazione dell’art. 38 del t.u. dell’edilizia nei soli casi di vizi formali dei titoli edilizi o anche nei casi di vizi di carattere sostanziale l’attuale giurisprudenza è oscillante.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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