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L’apposizione di un vincolo può avere diverse controindicazioni

La presenza o l’arrivo di un vincolo comporta una limitazione dell’uso immobiliare

Nell’Italia stracolma dei vincoli più disparati, l’introduzione di un vincolo in un area o su di un immobile non fa certo felice il proprietario.

Ovviamente la BuroKrazia, quella con la K, si è pure sbizzarrita ad applicare i diversi vincoli, sia di natura inedificabile (assoluta) sia di natura condizionale.

I primi, comportanti inedificabilità assoluta, comportano anche il diritto all’indennizzo al proprietario per gli svantaggi di cui si deve far carico.

Nel secondo caso, cioè di vincoli “relativi” ovvero che limitano, ponendo diverse condizioni, l’attività edificatoria e di intervento.

Mi astengo dal fare una classifica in funzione della “severità”, sicuramente nessun vincolo è simpatico per definizione.

Già la parola vincolo significa limitazione di libertà.

L’arrivo di un vincolo, cioè la sua applicazione, estensione o apposizione su immobili già esistenti si chiama “sopravvenienza”.

Quelli di natura paesaggistica, per esempio, non sono neppure soggetti a comunicazione espressa verso coloro che lo “subiranno”.

Ergo, la sopravvenienza di un vincolo relativo dà inizio ad un nuovo e aggiuntivo regime edificatorio doppiamente condizionato sulle possibili trasformazioni consentite su di esso.

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Esempio pratico: immobile edificato in epoca remota in zona centro storico; ammettiamo che ieri gli sia stato notificato un vincolo di tutela storico architettonico da parte della Soprintendenza competente (ovviamente con procedura di legge da parte del Mibact).

Ne parlo in questo video pubblicato sul canale YouTube (iscrizione consigliata):

In tal caso si sommano i due distinti regimi di trasformabilità edilizia: alle normali limitazioni tipicamente imposte sugli edifici in centro storico, si vanno ad aggiungere quelle imposte col nuovo vincolo.

Compiere una trasformazione o ristrutturazione edilizia significa affrontare due disgiunte procedure vincolanti.

Se la proposta di intervento edilizio non soddisfa entrambe le procedure, l’intervento non è fattibile.

La sopravvenienza di un vincolo, oltre a limitare gli interventi prossimi e futuri, può arrivare ad essere un pericolo “sgambetto” nelle procedure ordinarie di sanatoria edilizia (sempre fattibili), e soprattutto a quelle di condono edilizio non ancora concluse.

Infatti, per espressa previsione della L. 47/85, per prassi e giurisprudenza, la sopravvenienza di un vincolo col condono aperto implica l’obbligo di ottenere un parere favorevole dall’ente competente alla tutela del vincolo, senza il quale il condono non solo non può concludersi, ma può esaurirsi col diniego alla stessa domanda.

Se inoltre, la vostra domanda di condono è stata presentata col terzo condono edilizio, la cosa diventerà ancora più difficile.

Ergo, se avete pratiche di condono da chiudere e (per ora) non avete vincoli, la parola d’ordine è una e categorica: chiudetelo!

Togliere un vincolo di questo tipo? Impresa ardua, da fare nei modi, tempi e procedure di legge, soprattutto quando in sede di revisione degli strumenti di pianificazione territoriale e paesaggistica, tenendo sempre gli occhi aperti anche sugli strumenti urbanistici locali.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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