Realizzare piscine sul territorio supera il concetto di pertinenza, configurando invece trasformazione edilizia permanente

Alterare il naturale assetto del territorio e del suolo potrebbe sembrare un intervento minore, quando invece è trasformazione rilevante edilizia
La modifica anche solo superficiale del suolo, quando finalizzata ad un mutamento della sua destinazione, può integrare gli estremi di illecito edilizio di particolare gravità.
Trattandosi di un intervento di trasformazione permanente del terreno, realizzato mediante riempimento con materiale di risulta, asfalto o conglomerati diretti a compromettere o eliminare l’originaria caratteristica del suolo naturale, è subordinata al preventivo rilascio del permesso di costruire. Infatti, secondo la clausola residuale contenuta nel Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, articolo 3, comma 1, lettera e), rientrano nel regime del permesso di costruire gli interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio che non si collocano nelle categorie della manutenzione ordinaria e straordinaria, del restauro e risanamento conservativo, nonché della ristrutturazione edilizia.
Il principio è costantemente confermato dalla giurisprudenza penale ad esempio la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 35849/2023, n. 1308/2017:
«Integra un illecito edilizio l’esecuzione, in assenza del permesso di costruire, di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante apporto di terreno e materiale inerte e successivo sbancamento e livellamento del terreno, in quanto tale attività, pur non comportando un’edificazione in senso stretto, determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio.».
Allo stesso modo, il titolo abilitativo rilasciato è richiesto per la realizzazione di depositi di merci o materiali, così come per la costruzione di impianti destinati ad attività produttive all’aperto, qualora comportino l’esecuzione di opere idonee a determinare una trasformazione permanente del suolo inedificato (art. 3, comma 1, lett. e.7 del T.U.E.).
Anche la giurisprudenza amministrativa conferma lo stesso orientamento, ad esempio il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6491/2025, ha stabilito che:
«La trasformazione di un suolo per crearvi un piazzale rientri nella nozione di costruzione si evince facilmente dall’art. 3, comma 1, lett. e.3), che qualifica come tali “la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato”, dovendosi intendere per “trasformazione in via permanente” non già la “trasformazione irreversibile” ma, semplicemente, quella trasformazione destinata a garantire per un lasso di tempo indeterminato un certo utilizzo. Peraltro anche l’art. 3, comma 1, lett. e.2), qualificando come costruzione gli interventi di urbanizzazione primaria, tra i quali rientrano anche piazzali di sosta e aree asfaltate, conferma che rientrano nella nozione di costruzione anche gli interventi che non si estrinsecano nella realizzazione di edifici.».
Sull’argomento le legislazioni regionali si sono attivate nel disciplinare anche gli aspetti correlati alla permeabilità e consumo di suolo, per contrastare i fenomei della cosiddetta “cementificazione”.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare CONTATTI E CONSULENZE
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