Per la Cassazione qualifica ristrutturazione se mantiene caratteristiche identitarie con edifici anche dopo DL 76/2020
Evidenziati nuovi limiti agli interventi di ristrutturazione pesante previsti dal Piano Casa
In Puglia la normativa del Piano Casa è stata oggetto di esame per vizio di incostituzionalità su alcuni aspetti, che si ripercuotono a livello nazionale.
Si parte da alcuni nuovi limiti volumetrici e traslativi per demolizioni e ricostruzioni “speciali” consentiti dal Piano Casa, per estendersi poi alle categorie ordinarie. Se posso anticipare la conclusione, è stato individuato un “bug” nella disciplina edilizia nazionale che creerà senz’altro problemi applicativi.
Ciò sembra sia stato generato dalle modifiche introdotte con lo “Sblocca Cantieri” L. 55/2019, inserendo nel D.P.R. 380/01 il comma 1-ter dell’art. 2-bis.
Prima di proseguire meglio riepilogare brevemente alcuni aspetti del Piano Casa, senza i quali non si può capire la conclusione pronuncia n. 70/2020 della Corte Costituzionale.
Origini e storia del Piano Casa nazionale 2009
L’oggetto della questione è circoscritto al Piano Casa, una normativa straordinaria che consente di derogare ad aspetti più attinenti la pianificazione territoriale che propriamente edilizi.
Il Piano Casa nacque nel 2009 come disciplina straordinaria, cioè consiste i una eccezione rispetto alla quella ordinaria. E cioè quella derivante dalla sovrapposizione del Testo Unico per l’Edilizia D.P.R. 380/01 e le rispettive discipline regionali.
Lo scopo del Piano Casa è sempre stato quello di rilanciare il comparto edilizio entrato in crisi a partire dal 2008. Il Legislatore nazionale provvide con l’Intesa raggiunta in Conferenza unificata del 1 aprile 2009, frutto del D.L. 112/2008 convertito in L. 133/2008.
Il Piano Casa si attuava tramite due possibilità alternative:
- Ampliamento volumetrico in deroga agli strumenti di pianificazione in misura massima del 20%;
- Demolizione e ricostruzione con contestuale aumento volumetrico in deroga agli strumenti di pianificazione in misura massima del 35%;
Tutte queste previsioni ovviamente erano al netto di una serie di condizioni stabilite a livello nazione, oltre a quelle eventualmente aggiunte a livello regionale.
Le esclusioni nazionali e subito cogenti sono:
- edifici abusivi
- centri storici
- aree a inedificabilità assoluta.
Le scopo del Piano Casa era velocizzare e rendere convenienti una particolare categoria di ristrutturazioni “pesanti”.
Il Piano Casa infine ha inteso accelerare queste misure semplificando la procedura, alle regioni è consentito disciplinare anche con semplificazioni amministrative (senza mai delegare o “declassare” espressamente gli interventi in DIA e poi SCIA). Molte regioni hanno comunque ammesso l’uso della SCIA per gli interventi del Piano Casa.
In effetti fin dai primi passi il Piano Casa si rivelò da subito una procedura autonoma, a sè stante e sopratutto da non confondersi con le normali procedure.
La procedura straordinaria del Piano Casa va sempre tenuta distinta e sovrapposta alle definizioni di ristrutturazione edilizie del D.P.R. 380/01.
Il motivo prevalente che ha sostenuto il Piano Casa è stata l’eccezionalità, aspetto che poi si è propagato per oltre un decennio. Tale situazione era anche finalizzata ad avviare una sorta di rigenerazione urbana con costruzioni a miglior livello qualitativo energetico e antisismico.
In altre parole, la categoria di intervento di ristrutturazione edilizia del Piano Casa è di tipo pesante, perchè incide sulle modifiche volumetriche.
Qui riporto alcuni articoli utili sulla “ristrutturazione edilizia pesante“.
Oggi, a livello nazionale lo spartiacque tra ristrutturazione e nuova costruzione passa solo per l’identità di volumetria?
Nell’ultimo decennio il Testo Unico D.P.R. 380/01 è stato modificato molte volte: la stessa definizione di categoria di ristrutturazione edilizia è stata cambiata assieme alla “linea rossa” di spartiacque tra DIA/SCIA e Permesso di Costruire.
In estrema sintesi:
- Il D.Lgs. 301/2002 ha modificato il concetto di “ristrutturazione ricostruttiva”, eliminando sia lo specifico riferimento alla identità dell’area di sedime e alle caratteristiche dei materiali, sia il concetto di “fedele ricostruzione”.
- Il D.L. 70/2011 le Regioni sono state autorizzate a introdurre normative che disciplinassero interventi di ristrutturazione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici, concessi quale misura premiale per la razionalizzazione del patrimonio edilizio, eventualmente anche con «delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse». In tal modo, il legislatore nazionale ha ammesso deroghe all’identità di volumetria nell’ipotesi di ristrutturazioni realizzate con finalità di riqualificazione edilizia.
- La L. 98/2013 (“Decreto del fare)” ha qualificato come interventi di ristrutturazione edilizia quelli di demolizione e ricostruzione «con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza (eccettuato gli immobili assoggettati a vincoli del D.Lgs. 42/2004).
- D.L. 32/2019 “Sblocca Cantieri” ha introdotto alcune specifiche di tipo urbanistico per demolizioni e ricostruzioni, ovvero il rispetto delle distanze legittimate preesistenti, eccetera;
Leggendo oggi il D.P.R. 380/01, da una prima lettura appare che l’uso della SCIA risulti consentito per interventi di demolizione e ricostruzione a parità di volume, senza entrare nel merito della sagoma. La sagoma entra in merito solo per gli immobili oggetto di vincolo del D.Lgs. 42/2004. In caso contrario, si supera lo scalino della ristrutturazione “leggera” e si entra in quella “pesante”, o peggio ancora di sostituzione edilizia.
E quando si parla di sostituzione edilizia, si parla di nuova costruzione, soggetta a Permesso di Costruire (al netto dei casi di SCIA alternativa al PdC).
La questione di legittimità costituzionale sollevata per il Piano Casa della Puglia invece ha sollevato un altro (notevole) problema delle demolizioni e ricostruzioni.
Infatti nella parte conclusionale della pronuncia n. 70/2020 si legge testualmente un passaggio:
Il nuovo comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia stabilisce che i limiti volumetrici e di sedime si applichino «in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione», così esprimendo una ratio univoca, volta a superare tutte le disposizioni (anche regionali), in materia di SCIA, incompatibili con i nuovi vincoli.
L’intervenuta modifica del parametro interposto rappresentato dal nuovo principio fondamentale rende quindi costituzionalmente illegittima la norma impugnata, a partire dalla entrata in vigore della novella legislativa statale.
In sostanza: per qualificare un intervento di demolizione e ricostruzione, si deve applicare il combinato disposto di:
- comma 1-ter art. 2-bis D.P.R. 380/01;
- comma 3 lettera “d” articolo 3 D.P.R. 380/01;
Se è vero che la ristrutturazione edilizia ricomprende in SCIA la demo-ricostruzione a parità di volume (senza vincoli), bisogna aggiungere che il Decreto “Sblocca Cantieri” ne ha ridotto (involontariamente?) la portata aggiungendo il limite del:
- rispetto dell’area di sedime;
- rispetto dello stesso volume, senza ampliamenti.
E come si legge nella stessa pronuncia di Corte Costituzionale (punto 9.3 e seguenti), il nuovo “divieto” di aumento di volume nelle demolizioni e ricostruzioni di fatto va a mutilare gli effetti del Piano Casa.
Abbiamo idea che questa interpretazione mette in discussione alcune tipologie di demolizione e ricostruzione future, e quelle compiute dall’entrata in vigore del Decreto “Sblocca Cantieri” ?
Praticamente un passo avanti, e due indietro.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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