La giurisprudenza ha elaborato principi utili per quantificare il contributo di costruzione
Potenziale modificabilità dell’immobile con facili accorgimenti può essere contestata dalla P.A.
Predisporre spazi con opere edilizie e impianti per aggirare divieti imposti da norme non è consigliato
Le norme sono molte. Troppe, e spesso si intersecano tra loro. D’altra parte chi scrive le norme deve tracciare la classica riga spartiacque.
Sappiamo bene gli italiani sono molto creativi, e pertanto se la norma non può essere superata, si cerca di avvicinarsi quel tanto che basta per raggiungere comunque il risultato.
Il caso tipico riguarda sottotetti e mansarde: molte leggi regionali si sono mosse da tempo per disciplinare e incentivare il riuso degli spazi sottostanti la copertura.
Lo scopo è quello di rendere, ove possibile, legittimamente abitabili alcuni spazi di costruzioni esistenti senza creare nuove volumetrie. Uno scopo condivisibile, alla luce della politica di limitare il consumo del suolo.
Aggirare limiti imposti da norme con opere facilmente rimovibili e temporanei può presupporre un futuro diverso utilizzo potenziale
Aggirare limiti imposti da norme con opere facilmente rimovibili e temporanei può presupporre un futuro diverso utilizzo
E’ proprio il caso di dirlo: può esistere anche il caso di contestazione del “processo all’intenzione”, senza attendere il perfezionamento dell’illecito o difformità edilizia.
Sempre in tema di sottotetti, mansarde e volumi tecnici, è utile rammentare che il Consiglio di Stato ha confermato da tempo una linea precisa.
La presenza di caratteristiche tali da consentire una materiale potenzialità di utilizzo ai fini abitativi di volume realizzato a copertura di edificio, è sufficiente per impedire il rilascio dell’idoneo titolo abilitativo.
La questione sull’uso potenziale di spazi di questo tipo sconfina spesso anche nell’ambito dell’abitabilità e agibilità di questi locali
Ho trovato interessante alcune sentenze del Consiglio di Stato come la n. 1208/2016, come pure le n. 839/2016, n. 2825/2014 e 812/2011.
La sentenza del Cons. di Stato n. 1208/2016 conferma un principio importante in tema di abitabilità e agibilità degli immobili, meglio riportarlo per esteso:
“al fine di stabilire se un locale abbia o meno i requisiti dell’abitabilità, è necessario effettuare una valutazione complessiva delle sue caratteristiche atta a verificare se il locale in questione possa o meno essere considerato ambiente idoneo allo svolgimento della vita domestica. Invero, quando per le sue caratteristiche complessive il locale si appalesa idoneo ad assolvere a tale funzione, si deve giungere alla conclusione che esso sostenga carico urbanistico e che quindi non possa essere considerato alla stregua di un vano tecnico non abitabile”. E, in tale prospettiva, “quando un ambiente possieda nel suo complesso caratteristiche oggettive, tali da renderlo idoneo ad ospitare la vita domestica, al fine di escludere la volontà del privato di destinarlo a funzione abitativa, non si può addurre la circostanza che la sua altezza sia di poco inferiore rispetto a quella prescritta dal regolamento edilizio per i vani abitabili”, poiché “(…) si deve ritenere che tale caratteristica, lungi dal dimostrare un differente intento del costruttore, costituisca elemento ulteriormente ostativo all’assentibilità dell’intervento” (in questi termini TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 22 novembre 2013, n. 2605 e n. 2606, confermate da Cons. Stato, Sez. VI, 30 maggio 2014, n. 2825)
Al Comune spetta la possibilità di valutare se le caratteristiche dei locali sottotetto siano oggettivamente non idonei all’uso abitativo (altezze interne basse o scarsa aeroilluminazione); tuttavia se dalla configurazione emerge l’intento inequivocabile di rendere questi locali abitabili, non è sufficiente invocare il rispetto delle prescrizioni regolamentari e normative.
Ad esempio, realizzare un bagno e partizionare il volume sottotetti con tramezzature presagisce l’utilizzo potenziale ai fini abitativi del sottotetto. Ancora di più possono incidere a sfavore la presenza di impianti tipici degli spazi destinati alla permanenza umana.
Discorso diversi andrebbe fatto per alcune normative regionali che hanno diversificato la classificazione degli spazi ad uso sottotetto, per esempio la L.R. 12/2005 della Lombardia.
Tra sottotetto ad uso accessorio e locali tecnici c’è differenza
Per giurisprudenza costante, possono considerarsi volumi tecnici (come tali non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno.
Non sono tali – e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita – le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli « di sgombero », nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (Consiglio Stato n. 812/2011 n. 918/2008).
Il consiglio che posso condividere a conclusione è di sconsigliare il deposito di pratiche edilizie e gli interventi volutamente artefatti per aggirare i divieti.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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