Installazione semplificata per sistemi di protezione solare mobili o regolabili adiacenti agli immobili
Caratteristiche funzionali e costruttive per qualificare il gazebo come arredo da esterni
Con l’avvicinarsi dell’estate a molti viene in mente di voler installare un gazebo nel proprio giardino oppure, per chi è titolare di una attività commerciale, potrebbe rendersi utile l’utilizzazione di gazebi a fini espositivi delle merci vendute, o per altri scopi. Da un punto di vista pratico l’operazione potrebbe essere semplice, ma la problematica si pone dal momento in cui l’elemento “gazebo”, una volta installato, non dovesse rispettare i criteri di installazione e giuridici previsti dalla normativa, andando ad integrare un vero e proprio abuso edilizio, con tutte le conseguenze che ne derivano nel senso delle sanzioni applicabili. Appare quindi fondamentale evidenziare primariamente cosa s’intenda per gazebo e quali manufatti possano considerarsi assimilabili alla “categoria” dei gazebi, solitamente installati sul giardino, terrazze e balconi a servizio di abitazioni ed edifici residenziali.
Per fornire una migliore comprensione sull’argomento occorre fare rifermento alla giurisprudenza amministrativa dalla quale emergono le modalità di interpretazione delle norme ed elementi discriminanti, utili a capire quando l’installazione di un gazebo possa rientrare in edilizia libera o meno.
Indice
Norme nazionali
Nel Regolamento Edilizio Tipo nazionale del 2016 la definizione di gazebo è del tutto assente, mentre nel Glossario di edilizia libera 2018 la definizione di gazebo è menzionata due volte nella relativa tabella, distinguendo due tipi di funzioni alle voci:
- n. 44: installazione, riparazione, sostituzione, rinnovamento di gazebo, di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo (Aree ludiche senza fini di lucro ed elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, riferimento art. 6 c.1 lett. e-quinques TUE)
- n. 53: installazione gazebo con Comunicazione Avvio Lavori, nonchè interventi di manutenzione, riparazione e rimozione per i quali non è necessaria la Comunicazione, qualora siano diretto a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni (portato a centottanta giorni col DL 76/2020).
Dalla queste definizioni emergono due distinte tipologie di gazebo, da inquadrare come:
E’ facile passare da gazebo a nuovi manufatti assoggettati ai vari titoli edilizi: per individuare i criteri più precisi occorre fare riferimento alla giurisprudenza amministrativa, ma anche alle eventuali disposizioni regionali e infine regolamentari locali. Importante premessa: anche il gazebo rientrante in attività edilizia libera deve rispettare comunque tutte le disposizioni, regole e prescrizioni previste dall’intera disciplina urbanistico-edilizia, dalle norme di settore e da tutti gli strumenti/regolamenti locali in materia. Potrebbe essere vietato installare gazebi su edifici storici anche dal regolamento edilizio comunale.
Il gazebo in giurisprudenza
Al quesito risponde la prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza n. 6146/2024, n. 6263/2023, n. 306/2017), nella quale definisce cosa debba intendersi per gazebo e cosa, dal punto di vista costruttivo, lo integra e definisce, affermando che: «una struttura leggera, non aderente ad altro fabbricato, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati e realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili e talvolta realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.».
Tale definizione, pur avendo natura prettamente giurisprudenziale e interpretativa delle norme, restituisce certamente una definizione tecnica vaga in quanto manchevole di elementi quantitativi e dimensionali per descrivere o realizzare l’elemento gazebo. A volte tale carenza dimensionale è colmata dai Regolamenti locali (esempio i regolamenti edilizi e strumenti urbanistici comunali), prevedendo orientativamente l’altezza massima di un gazebo tra i 2,50 ed i 3 metri, e una superficie massima variabile tra 15 e 40 metri quadri.

Iscriviti al mio canale WhatsApp
Regime di edilizia libera del gazebo
Per comprendere quando l’installazione di un gazebo sia inquadrabile in attività edilizia libera, disciplinata dall’articolo 6, comma 1, DPR 380/01, e dal relativo Glossario del 2018, è opportuno fare riferimento, fra le tante sentenza, alla n. 6263/2023 del Consiglio di Stato. La fattispecie riguardava l’impugnazione di una ordinanza di demolizione emanata per una «struttura tipo gazebo di mq 4,00 X 4,00 circa, che usufruisce per due lati del muro esterno dell’edificio, realizzato da tubolari di metallo verticali di forma triangolare ed orizzontali con copertura in PVC con altezza da m. 2,20 a m. 2,80, poggiata a terra su vecchio pavimento e collegata al muro dell’edificio con scossalina e gronde».
In tal senso, il Consiglio di Stato ha ritenuto che «non essendovi dunque uno spazio chiuso stabilmente configurato, non si è conseguentemente realizzato un nuovo volume o superficie, e tanto meno una copertura o tamponatura di una costruzione, ovvero una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. Allo stesso modo, deve escludersi che si sia realizzata una ristrutturazione edilizia in senso tecnico, dato che l’art. 3, lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001, riconduce tale tipologia di intervento edilizio agli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere, tra cui il ripristino o la sostituzione di elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti. Le opere in questione, dunque, non necessitavano di alcuna autorizzazione a costruire, con conseguente illegittimità dei provvedimenti impugnati».
Dal punto di vista interpretativo, la suddetta sentenza del Consiglio di Stato ha confermato la qualifica di gazebo, e il relativo inquadramento nel regime di attività edilizia libera ex articolo 6 D.P.R. 380/2001, avendo sancito la qualifica di “manufatti leggeri” privi di autonomia funzionale e senza realizzare uno spazio chiuso stabile. Alla luce di quanto sopra si può quindi sintetizzare che un gazebo possa rientrare in attività edilizia libera quando congiuntamente risulti:
- costituito da una struttura leggera, eseguita con materiali come ferro battuto, alluminio o legno;
- facile amovibilità, ossia non fissato permanentemente al terreno;
- coperto sulla parte superiore con tenda o teloni facilmente rimovibili (es. retrattili o ruotanti), in caso contrario la sua configurazione diviene quella di tettoia;
- aperto ai lati, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili;
- dotato di autonomia strutturale, ovvero non essere collegata o appoggiata ad altri edifici, mantenendo la sua indipendenza;
- avere dimensioni contenute;
- una funzione stagionale o provvisoria, di riparo temporaneo dal sole, dalla pioggia, dal vento e dall’umidità per fruire meglio la permanenza all’esterno, senza peraltro creare un ambiente in alcun modo assimilabile a quello interno, a causa della mancanza della necessaria stabilità, di una idonea coibentazione termica e di un adeguato isolamento dalla pioggia, dall’umidità e dai connessi fenomeni di condensazione.
Il gazebo può essere dotato di docce pluviali e relativi discendenti, nonché di illuminazione elettrica, e posizionato in adiacenza all’edificio.
Questione distanze legali e civilistiche
Le distanze legali fanno riferimento ai manufatti edilizi “propri”, cioè quelli infissi al suolo, essendo piuttosto assimilabili agli elementi di arredo e amovibili. Anche per i gazebi si applicano gli stessi principi: qualora rispettosi di tutti i precedenti requisiti, non configurano “costruzione” né “edificio”, e pertanto sfuggono all’applicazione delle distanze stabilite dal Codice Civile (dai confini e tra costruzioni), quanto da quelle amministrative.
Certamente un minimo di rispetto delle distanze da altre proprietà è caldamente raccomandato, soprattutto per buon vicinato: consiglierei comunque di rispettare le distanze minime del Codice Civile (articoli 873 e seguenti) per non vedersi contestare possibili profili di riduzione di aria, luce, vedute e più in generale di questioni “visive”.
Gazebi ad uso commerciale ed espositivo
Per completare l’analisi, dopo aver analizzato l’orientamento giurisprudenziale circa l’installazione di gazebi in ambito tipicamente residenziale, è necessario esaminare la categoria dei gazebi installati per scopi di natura commerciale ed espositivi, ad esempio per offrire riparo dalle intemperie o dal sole a merci collocate su piazzale esterno.
All’uopo, si rende interessante l’analisi della sentenza del TAR Lazio n. 11418/2023 (vedi approfondimento) riguardante un ricorso avverso l’ordinanza di demolizione di opere abusive qualificate ristrutturazione edilizia, e ritenute realizzate senza permesso di costruire, consistenti nell’installazione nell’area antistante il locale commerciale di 5 gazebi di dimensioni variabili da 4 x 4 metri a 5 x 5 metri, di varie fattezze e altezze in area destinata dal P.R. G. vigente a infrastrutture per la mobilità- ferrovie, sottoposta a vincolo archeologico e paesistico ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004, e al vincolo Beni d’insieme – Vincolo Spizzichina ex D.M. 11 giugno 1975.
Avverso l’ordinanza di demolizione è stato proposto ricorso dalla titolare dell’attività commerciale che aveva installato i suddetti gazebi, e per il quale il TAR Lazio ha stabilito che «nella fattispecie in esame viene in rilievo l’installazione di gazebo che, con finalità espositiva della merce, comporta un’estensione della superficie commerciale, e non risponde in alcun modo a finalità di mero arredo di spazi esterni.
Tenuto conto, inoltre, del numero di gazebo installati e delle relative dimensioni, implicanti un significativo impatto sul territorio, con visibile alterazione dello stesso, siffatte opere sono qualificabili come di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. d, D.P.R. n. 380 del 2001, subordinati quindi, ai sensi dell’art. 10 del citato T.U., al regime del permesso di costruire o comunque della scia alternativa al permesso a costruire, la cui mancanza legittima l’adozione dell’ordine di demolizione.».
Nel prosieguo della sentenza si evince anche che «deve disattendersi la qualificazione delle opere come provvisorie, stante la loro permanente funzionalizzazione alle esigenze commerciali del negozio, in modo da dotarlo di vetrina esterna allestita con prodotti di vendita, per soddisfare, quindi, esigenze permanenti mediante collocazione di opere che, sebbene non infisse al suolo e quindi dotate del carattere di precarietà strutturale, non sono volte a soddisfare esigenze temporanee.».
Ai fini dell’identificazione del regime abilitativo edilizio, per la qualificazione di un’opera come precaria, occorre riferirsi non tanto e non solo alla consistenza strutturale e all’ancoraggio al suolo dei materiali di cui si compone, ma condurre l’esame in termini funzionali, accertando se si tratta di un’opera destinata a soddisfare bisogni duraturi, ancorché realizzata in modo da poter essere agevolmente rimossa. Le caratteristiche costruttive del manufatto, evidenziate da parte ricorrente, sono risultate inidonee a comprovarne il carattere precario, essendo destinato ad uso duraturo nel tempo, avente notevoli dimensioni ed impatto.
La natura precaria di un manufatto deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo o la temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore (quest’ultima peraltro in alcun modo dedotta ed anzi contraddetta dalla presentazione di istanza di sanatoria proprio al fine di rendere legittime e stabili le opere), non dovendo l’opera precaria comportare una trasformazione irreversibile del territorio e l’accertamento della natura precaria dell’intervento deve essere effettuato secondo un criterio obiettivo: perché un’opera possa essere qualificata come precaria, deve trattarsi di un intervento oggettivamente finalizzato ad un uso temporaneo e limitato.
Il concetto di precarietà va distinto, quindi, da quello di amovibilità, non essendo quest’ultimo coessenziale per l’individuazione della natura precaria dell’opera realizzata e ciò coerentemente con l’art. 3, lettera d, punto e.5, che disciplina le strutture leggere, espungendo dalla nozione di ristrutturazione edilizia solo quelle opere che siano destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee.
In tal senso, quindi, l’orientamento giurisprudenziale stabilisce che l’intervento di installazione di un gazebo configurante una vera e propria ristrutturazione edilizia, sia soggetto al permesso di costruire o SCIA alternativa, ai sensi dell’art. 23 del D.P.R. 380/2001, configurandosi una nuova volumetria o superficie.
Tutti i diritti sono riservati – all rights reserved

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
CONTATTI E CONSULENZE
Articoli recenti
- Installazione gazebo in edilizia libera, tra norme e giurisprudenza
- Condono edilizio ’85 e ’94, silenzio assenso richiede completezza documentale
- CILAS incompleta, niente superbonus per assenza attestazione Stato Legittimo semplificato
- Certificato destinazione urbanistica, affidabilità e Due Diligence urbanistica
- Pergola bioclimatica in Edilizia libera dopo Salva Casa, a certe condizioni
- Abusi edilizi o immobili legittimi, incertezze sulla foto aerea probatoria