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Salvo specifici ambiti particolareggiati o di lottizzazione, le regioni non possono estendere la deroga delle distanze minime rientranti in legislazione statale esclusiva.

Recentemente sul tema si è espressa (di nuovo) la Consulta con sentenza costituzionale n. 41 del 24 febbraio 2017 in merito ad una disposizione fissata dal Veneto.

La legge della Regione Veneto 16 marzo 2015, n. 4 (Modifiche di leggi regionali e disposizioni in materia di governo del territorio e di aree naturali protette regionali) e in particolare, il citato art. 8, comma 1, emanata in attuazione della norma statale di cui all’art. 2-bis del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, avrebbe demandato allo strumento urbanistico generale la fissazione dei limiti di densità, altezza e distanza tra fabbricati, in deroga a quelli stabiliti dall’ordinamento statale, in una serie di ipotesi espressamente elencate.

Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, la disciplina delle distanze fra costruzioni si colloca anzitutto nella sezione VI del Capo II del Titolo II del Libro III del codice civile, intitolata appunto “Delle distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra fondi”.

Tale disciplina, ed in particolare quella degli articoli 873 e 875 del C.C., attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi, ovvero una materia civilistica o privatistica.

La disciplina sulle distanze minime tra edifici, per quanto concerne i rapporti suindicati, rientri nella materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2005).

Tuttavia ha pure rilevato che quando i fabbricati insistono su di un territorio che può avere specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda – e in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai limiti privatistici e tocca anche interessi pubblici, il cui interesse deve ritenersi affidato anche alle Regioni perché attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio (si veda sempre la sentenza n. 232 del 2005).

Le Regioni possono fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio.

Dove sono quindi i confini tra legislazione concorrente ed esclusiva sulle deroghe regionale consentite?

Sulle distanze tra gli edifici, da una parte non può essere esclusa del tutto una competenza legislativa regionale, dall’altra essa, interferendo con l’ordinamento civile, è rigorosamente circoscritta dal suo scopo (il governo del territorio) che ne detta anche le modalità di esercizi (sentenza cost. n. 6 del 2013; nello stesso senso, da ultimo, anche le sentenze n. 231, n. 189, n. 185 e n. 178 del 2016).

Ecco che la Consulta, con sentenza costituzionale n. 41 del 23 febbraio 2017 ha delineato l’ambito applicativo delle deroghe regionali.

Nel delimitare i rispettivi ambiti di competenza − statale in materia di «ordinamento civile» e concorrente in materia di «governo del territorio» la Consulta ha individuato il punto di equilibrio nell’ultimo comma dell’art. 9 del DM 1444 del 1968, più volte ritenuto dotato di particolare «efficacia precettiva e inderogabile» (sentenza n. 185 del 2016, ma anche sentenze n. 114 del 2012 e n. 232 del 2005), in quanto richiamato dall’art. 41-quinquies della L. 1150/42 (Legge urbanistica), introdotto dall’art. 17 della legge n. 765/1967 (Legge Ponte).

La deroga regionale sulle distanze minime opera solo in caso di gruppi di edifici oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche

Questo orientamento è stato ribadito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 41/2017 (cfr sentenza cost. n. 231 del 2016).

In definitiva, le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite «se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sent. cost. n. 134 del 2014; analogamente sentenze n. 178, n. 185, n. 189, n. 231 del 2016), poiché la loro legittimità è strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti considerati isolatamente (sentenza n. 114 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 232 del 2005).

I medesimi principi sono stati ribaditi anche dopo l’introduzione dell’art. 2-bis del TUE, da parte dell’art. 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Decreto del Fare), convertito in legge n. 98/2013, recependo l’orientamento della giurisprudenza costituzionale: con esso è stato inserito nel TUE i principi fondamentali della vincolatività, anche per le Regioni e le Province autonome, delle distanze legali stabilite dal DM 1444/68 e dell’ammissibilità delle deroghe, solo a condizione che siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 185 del 2016; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 189 del 2016).

La deroga ammessa può applicarsi solo ad una pluralità di fabbricati mediante la conformazione di una specifica previsione planivolumetrica complessiva e unitaria di determinate zone del territorio.

Infatti l’art. 9, ultimo comma, del DM 1444/68 ammette deroga alla disciplina delle distanze effettuata dagli strumenti urbanistici a condizione che faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (“gruppi di edifici”) e sia fondata su previsioni planovolumetriche che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un organismo unitario.

In questo senso le interpretazioni della Consulta ritengono che i piani urbanistici attuativi (PUA) siano assimilabili ai piani particolareggiati o di lottizzazione citati dall’art. 9 del DM 1444/68, e pertanto ammessi alla disciplina derogatoria richiamata.

D’altro canto la stessa giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che la deroga alle distanze minime potrà essere contenuta, oltre che in piani particolareggiati o di lottizzazione, in ogni strumento urbanistico equivalente sotto il profilo della sostanza e delle finalità, purché caratterizzato da una progettazione dettagliata e definita degli interventi (sentenza costituzuinale n. 6 del 2013).

Di conseguenza devono ritenersi ammissibili le deroghe predisposte nel contesto dei piani urbanistici attuativi, in quanto strumenti funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio, secondo quanto richiesto, al fine di attivare le deroghe in esame, dall’art 2-bis del TUE, in linea con l’interpretazione nel tempo tracciata dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 231, n. 189, n. 185, n. 178 del 2016 e n. 134 del 2014).

L’art. 8 c.1 legge della Regione Veneto n. 4/2015, limitatamente ai suddetti interventi, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo perché consente agli strumenti urbanistici comunali deroghe alla disciplina delle distanze tra fabbricati al di fuori dell’ambito della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, in violazione del limite dell’ordinamento civile assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (da ultimo, sentenza n. 231 del 2016).

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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