Comune non poteva certificare Agibilità con illegittimità edilizie, ma Salva Casa ha disciplinato l'argomento
L’effettiva realizzazione del manufatto ante 1° settembre 1967 va dimostrata con un complesso di dati ed elementi rilevanti
Di questa particolare soglia temporale troverete molti articoli nel mio blog, e ringrazio l’Ing. M. Federici che mi segnala la sentenza del Consiglio di Stato n. 4568/2021, utile anche per gli interessati al SuperBonus 110 tramite CILA (approfondimento).
L’obbligo di dimostrare la realizzazione e consistenza effettiva di un manufatto alla data del 1° settembre 1967 trae origine da esigenze e norme diverse:
- Commerciabilità immobiliare: dichiarazione da poter rendere in atto notarile di compravendita, in presenza di certi presupposti (art. 40 L. 47/85);
- Pratiche edilizie: domande di condono edilizio (articoli 31 e 33 L. 47/85), e successivi condoni; ma anche ai sensi dell’art. 9-bis comma 1-bis DPR 380/01;
Ciò si è consolidato anche come normale prassi tra gli operatori del settore edilizio e immobiliare, ma come più volte ho sostenuto nel blog e nel mio omonimo libro “Ante ‘67”, sconsiglio di confidare in questo tipo di dichiarazione in maniera automatica perchè espone venditore, acquirente e proprietario dell’immobile a seri rischi.
Si ribadisce da subito, la data del 1° settembre 1967 non costituisce “anno zero” dell’urbanistica italiana: l’entrata in vigore della Legge “ponte” n. 765/1967 appunto non ha creato uno spartiacque netto e non significa che qualsiasi edificio, opera o intervento edilizio anteriore ad essa fosse stato libero, sotto tutti i punti di vista (cioè anche strutturale, paesaggistico, vincoli, eccetera).
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Al contrario, l’obbligo di ottenere licenza edilizia c’era già prima del 1° settembre 1967 (art. 31 L. 1150/42), in particolare per effettuare:
- nuove costruzioni
- ampliare quelle esistenti
- modificare la struttura o l’aspetto di quelle esistenti
Nel periodo intercorrente tra la vigenza dell’articolo 31 L. 1150/1942 e fino alla L. 765/1967, tale obbligo si applicava:
- nei centri abitati;
- nelle zone di espansione previste dal Piano Regolatore comunale;
- nelle zone o territori comunali con l’obbligo di licenza edilizia disposto da Regolamento edilizio comunale;
DETTAGLI: Ante ’67: Legittimazione e conformità urbanistica negli atti notarili – (agg. 2020)
Come già evidenziato nel presente blog e nel mio libro “Ante ‘67”, neanche la L. 1150/42 può essere considerata un “anno zero” dell’urbanistica italiana: l’obbligo di licenza edilizia poteva essere già stato disciplinato da regolamenti edilizi comunali (oltre al fatto che alcuni Regi Decreti del 1935 e 1937 erano già entrati nel merito).
A chi spetta provare l’esistenza dell’edificio Ante ’67? Al proprietario, principalmente.
Riprendo i principi espressi dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4568/2021, utilissima anche per chi vorrà fare la “CILA semplificata 110% introdotta dal D.L. “Semplificazioni” n. 77/2021.
La preesistenza delle opere in data anteriore al 1° settembre 1967 è un presupposto necessario per rendere legittimi i manufatti “risalenti”, presumibilmente realizzati in assenza del titolo abilitativo in una zona ed epoca in cui non vi era obbligo di titolo abilitativo.
Questo riferimento si può anche estrapolare dalla definizione di Stato Legittimo introdotta nel D.P.R. 380/01 all’art. 9-bis comma 1-bis, dal D.L. “Semplificazioni” n. 76/2020.
Il Consiglio di Stato ha prodotto un consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui «grava sul privato l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto.» (Cons. di Stato n. 4568/2021, n. 2115/2019; n. 3696/2019; n. 1391/2018).
A prima lettura questo orientamento può apparire poco “piacevole”, tuttavia si è formato sul principio di vicinanza della prova:
«essendo nella sfera del privato la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere non abusivo di un’opera edilizia, in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell’introduzione di un determinato regime autorizzatorio dello ius aedificandi, dovendosi, dunque fare applicazione del generale principio processuale per cui la ripartizione dell’onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova» (Cons. di Stato n. 3304/2020).
Sembra quasi che l’intero problema e la sua risoluzione venga messa nelle mani del privato cittadino.
Tutto a carico del privato? No, la Pubblica Amministrazione deve analizzare con attenzione
L’orientamento della giurisprudenza ha previsto un equilibrio nel rapporto col cittadino che ha l’onere di prova dell’epoca di realizzazione del manufatto o delle relative porzioni o trasformazioni edilizie.
Infatti la Pubblica Amministrazione non deve mantenere una posizione passiva, bensì deve attivarsi con un ruolo proattivo e di efficacia verso il cittadino; in sostanza non può limitarsi a ricevere gli elementi probanti e documentazioni che fondano la preesistente consistenza della costruzione.
Se da una parte si applica il criterio della vicinanza della prova a carico del proprietario dell’immobile, esiste un temperamento rigoroso dell’onere probatorio “secondo ragionevolezza”.
In altre parole: se da una parte il privato cittadino si attiva per dimostrare la realizzazione dell’intervento anteriore ad una certa data presentando elementi rilevanti (ad esempio, aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti o circostanze rilevanti), dall’altra parte la Pubblica Amministrazione deve analizzare debitamente tali elementi o che essi siano incerti sulla presumibile data di realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio.
In tal caso, non è escluso il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche basate su fatti notori o massime di comune esperienza, inferendo, così e secondo criteri di normalità, la probabile data di tale ultimazione da un complesso di dati, documentali, fotografici e certificativi, necessari in contesti o troppo complessi o laddove i rilievi cartografici e fotografici sono scarsi (Cons. di Stato n. 4568/2021, n. 3304/2020, n. 6360/2018, n. 5988/2019, n. 3177/2016).
Il cittadino dimostra l’epoca di esistenza, la P.A. deve valutare complessivamente la ricostruzione fattuale e documentale.
In definitiva, se il proprietario dell’immobile dimostra la preesistenza presentando concreti elementi di fatto relativi all’epoca, trasferisce l’onere della prova contraria in capo all’amministrazione (Cons. di Stato n. 4568/2021, n. 3133/2019, n. 5984/2018, n. 3527/2018).
In questo modo si crea un equilibrio tra le due parti dove la P.A. deve assumere un ruolo oggettivo e critico, cercando di confutare e convalidare il valore probante dei dati, elementi e documentazioni reperite dal cittadino.
Infatti, più si va indietro nel tempo e più le fonti documentali diventano scarse e mute.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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