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Entrambe le categorie di vincolo apportano limitazioni e condizioni al regime di edificabilità dei suoli.

Il vincolo è una imposizione che può essere applicata in determinati ambiti del territorio, esso stabilisce speciali limitazioni al fine di tutelare una specifica finalità di interesse collettivo, come conservazione del paesaggio, rischio idrogeologico, fasce di rispetto, eccetera.

Queste due tipologie si distinguono tra loro in base agli effetti comportanti o meno la perdita della proprietà privata del bene.

Ogni vincolo  discende da un ufficio o ente preposto alla verifica e alla sua tutela, e tali vincoli devono essere rispettati in tutte le tipologie di intervento edilizio, che sia soggetto a titolo abilitativo, SCIA, sanatoria, condono e anche per l’edilizia “minore” (manutenzione, restauro, ecc).

L’esecuzione di interventi edilizi, a prescindere dalla relativa pratica amministrativa comunale, deve aver ottenuto il preventivo rilascio di apposito titolo, nulla/osta, autorizzazione o qualsivoglia documento emesso dall’ente/ufficio preposto alla tutela e vigilanza del vincolo stesso.

Ad esempio, un vincolo di bene culturale sul Colosseo deve essere rilasciato dalla competente Sovrintendenza dei Beni culturali, una volta dette “Belle Arti”.

In caso di mancato rispetto, a seconda delle tipologie di vincolo, i contravventori possono incorrere in specifiche sanzioni amministrativi e penali, che si sommano a quelle per ciascun profilo di vincolo e a quelle sul piano puramente edilizio urbanistico.

I vincolo si possono distinguere sulla conservazione o meno della proprietà privata, ed essi sono:

Non tutti i vincoli urbanistici sono soggetti a decadenza quinquennale, e conseguentemente alla possibilità di indennizzo allorché reiterati, ma soltanto quelli aventi carattere particolare, per i quali la mancata fruibilità del bene protratta nel tempo e non indennizzata determina violazione del comma 3 dell’art. 42 Costituzione.

In particolare non sono indennizzabili i vincoli posti a carico di intere categorie di beni, e tra questi i vincoli urbanistici di tipo conformativo, e i vincoli paesaggistici (Corte cost., 20 maggio 1999, n. 179).

Passiamo in rassegna la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi.

VINCOLI CONFORMATIVI

Sono sovraordinati alle scelte di pianificazione territoriale e urbanistica, sia di ente pubblico comunale che di livello superiore; derivano da norme, regolamenti o provvedimenti sovraordinati.

Essi non comportano la perdita definitiva della proprietà privata, ma impongono limitazioni e condizioni restrittive agli interventi edilizi in funzione degli obbiettivi di tutela dell’interesse pubblico (Es: vincolo paesaggistico, forestale, idrogeologico, rischio idraulico, fascia elettrodotto, ecc).

  • Non comportano inedificabilità assoluta, tuttavia possono limitare e condizionare moltissimo l’attività edificatoria;
  • Non comportano indennizzi di sorta per le limitazioni previsti dallo strumento urbanistico;
  • Non hanno scadenza temporale (le disposizioni attuative degli strumenti urbanistici meritano discorso a parte);

Esistono anche i vincoli conformativi capaci di “azzerare” di fatto la capacità edificatoria, senza essere qualificabili come vincoli con effetti espropriativi.

VINCOLI ESPROPRIATIVI (cfr art. 9 DPR 327/2001)

Comportano perdita di proprietà privata per l’esecuzione di opere di pubblica utilità, per le quali al privato è riconosciuto un equo indennizzo secondo le vigenti normative. Gli strumenti urbanistici comunali recepiscono il vincolo di esproprio proveniente dall’ente di riferimento che realizza l’opera pubblica.

Il vincolo espropriativo:

  • il vincolo preordinato all’esproprio diventa efficace quando l’atto di approvazione dello strumento urbanistico, ovvero una sua variante, prevede la realizzazione di un opera pubblica o di pubblica utilità;
  • ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera;
  • se non e’ tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dei comuni sprovvisti di strumentazione urbanistica;
  • il vincolo preordinato all’esproprio, dopo la sua decadenza, puo’ essere motivatamente reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 art. 2 DPR 327/2001 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard;

Nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all’esproprio, il consiglio comunale può motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato opere pubbliche o di pubblica utilità’ diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale.

In tal caso, se la Regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico generale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del Consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del Consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia.

La natura espropriativa del vincolo, essendo esso preordinato all’esproprio, ne implica la sua temporaneità: l’inutile decorso di un quinquennio, in difetto di una legittima reiterazione ne comporta la decadenza, tuttavia non riacquista automaticamente la propria antecedente destinazione urbanistica, configurandosi area non urbanisticamente disciplinata, ossia come le cosiddette zone bianche. Rispetto a tali zone, allorché cessino gli effetti dei preesistenti vincoli, l’amministrazione comunale deve esercitare la discrezionale propria potestà urbanistica, attribuendo agli stessi una congrua destinazione (Consiglio di Stato Sez. IV n. 3684 del 24 agosto 2016).

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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