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E’ necessario essere imprenditore agricolo con rapporto strumentale della coltivazione del fondo.

Il legislatore con la L. 10/1977 ha impostato un cambio di approccio nel territorio aperto.

Nel Dopoguerra italiano le zone agricole sono state prevalentemente considerate zone “residuali” rispetto ai centri abitati e zone di espansione, una specie di zona di avanzo su cui tutto sommato era interesse che tutto rimanesse invariato.

Qualcosa è andato storto, però.

Sopratutto a partire dagli anni Sessanta in poi il fenomeno di urbanesimo iniziò a far convergere nelle città molti abitanti delle zone agricole e montane, a scapito di quest’ultime.

Molte di essere sono diventate abbandonate, incolte e riforestate naturalmente, con tutti gli effetti nefasti di aggravamento del dissesto idrogeologico, erosione dei versanti e pericolosità idraulica.

Inoltre le zone agricole, in buona parte dei comuni italiani sprovvisti di strumenti urbanistici di “fascia alta” come il Piano Regolatore generale, erano urbanisticamente “terre di nessuno”, oppure semplici zone bianche o non pianificate, con una differenza: la normativa nazionale allora vigente non condizionava l’edificazione in zona agricola a certi presupposti, lasciando libertà di costruire nel rispetto di certi indici edificatori.

 Dal 1977 il regime dei suoli in zona agricola è stato modificato in maniera restrittiva.

Il primo segnale è stata l’esenzione dal pagamento degli oneri di costruzione e contributo sul costo di costruzione (art. 9 L. 10/77) per le opere da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153.

Col tempo molte leggi regionali in ambito di pianificazione urbanistica e governo del territorio, allo scopo di salvaguardare le zone agricole e contenere la diffusione di residenze abitative “civili” in zone agricole, hanno iniziato a imporre ulteriori restrizioni, proprie e legittime nell’ambito dei propri poteri di pianificazione del territorio come disposto dal DPR 616/1977.

Molte regioni, come la Toscana, hanno iniziato a porre limitazioni in tal senso pochi anni dopo la L. 10/1977.

Spesso, o quasi sempre possiamo dire, le legislazioni urbanistiche regionali richiedono la presenza di due presupposti per realizzare costruzioni residenziali ad uso rurale in zone agricole, escludendo a priori le costruzioni altrimenti civili di ogni tipo (residenziale, artigianale, industriale, commerciale, ricettivo, ecc).

Il rilascio del permesso di costruire fabbricati rurali in zone agricole è subordinato ad un duplice requisito.

Il primo requisito è di natura soggettiva, e riguarda il possesso di status e requisiti di imprenditore agricolo. Tale qualifica è stata modificata nel tempo da ulteriori norme, ponendo condizioni sempre più particolari, quali il raggiungimento dei ricavi reddituali superiori al 50% delle proprie attività, il possesso di determinati requisiti professionali, ecc. 

Il secondo invece è di natura oggettiva, e consiste nel rapporto di strumentalità della coltivazione del fondo agricolo. In tal senso molte regioni impongono con maggior dettaglio l’aspetto indicando superfici minime adibite a certi usi del suolo.

Molto spesso le legislazioni regionali (anzi, possiamo dire quasi sempre fino a prova contraria), impongono e condizionano anche il rilascio del permesso di costruire all’approvazione di uno specifico Piano di miglioramento aziendale agricolo, soggetto all’approvazione degli organi provinciali competenti.

Il Piano di miglioramento aziendale agricolo è appunto uno strumento e documento attestante la strategia di sviluppo dell’azienda agricola, la quale illustra le proprie potenzialità di crescita che giustificano la realizzazione della residenza rurale per la famiglia dell’imprenditore agricolo e di eventuali lavoratori, nonchè degli immobili strumentali per la conduzione dell’attività.

L’approvazione del piano di miglioramento valida e dimostra l’esigenze di edificazione a favore del richiedente.

Molto spesso il Permesso di Costruire in zona agricola è pure soggetto ad atti unilaterali trascritte e vincolanti verso terzi.

I legislatori regionali, allo scopo di dare pubblicità immobiliare verso soggetti terzi e per imporre vincoli di destinazione d’uso per certi periodi (venti anni, per esempio) impongono pure l’obbligo di far stipulare a carico dei soggetti richiedenti appositi atti unilaterali d’obbligo, con cui il proponente imprenditore agricolo “giura” di adempiere nei termini e nei modi prescritti dal Piano di miglioramento e di non effettuare ulteriori trasformazioni edilizie, pena decadenza dei vantaggi ricevuti e severo sanzionamento sotto il profilo amministrativo ed edilizio.

Lo scopo di queste norme, e soprattutto la politica territoriale volta a salvaguardare il territorio agricolo è quella di evitare che qualsiasi soggetto sprovvisto dei suddetti requisiti soggettivi e oggettivi possa edificare qualsiasi tipologia di fabbricato residenziale in zona agricola (Cass. Pen. III 57914/2017).

Un ordinato assetto del territorio agricolo è prioritario nelle politiche di tutela dell’attività agricola stessa, onde evitare la formazione e inserimento di aree residenziali sparse in zone agricole, venendosi a creare esigenze contrapposte e ad aggravare il carico urbanistico e antropico in aree assolutamente non idonee a ciò (pensiamo ai servizi, rifiuto, scuole, ecc).

Infine tale assetto territoriale in zona agricola, aperto soltanto all’edificazione connessa ai fondi rurali, intende limitare lo sfruttamento speculativo di queste zone, andando in senso opposto alla loro necessaria tutela di esclusiva destinazione ad attività agronomiche.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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