Onere probatorio impone al privato di dimostrare l'epoca di esecuzione, il Comune può confutarla mediante contro-prova

Quando tra edificio demolito e ricostruito manca continuità, il nuovo intervento rinnova un carico urbanistico senza correlazione con l’organismo precedente
Ormai infuria la guerra sulle inchieste milanesi verso i presunti abusi edilizi effettuati al di fuori delle categorie di intervento di ristrutturazione edilizia, utilizzando procedimenti ritenuti non idonei (SCIA alternativa) e addirittura senza la preventiva approvazione del piano attuativo.
Prima riprendiamo i 25 metri di altezza e obbligo piano attuativo
Alcuni giorni fa si è diffusa la notizia che una sentenza del TAR Milano, la n. 2748/2025, accogliendo un ricorso di parte, ha ritenuto non necessario procedere con piano attuativo ogni qualvolta l’intervento edilizio superi l’altezza di 25 metri: tale fattispecie però riguardava meramente quel punto, ma pochi sanno che le contestazioni sollevate dalla Procura riguardano un insieme complessivo di cose e irregolarità le quali, sommate e moltiplicate assieme, danno come risultante un presunto grave abuso edilizio (categoria intervento, procedimento, distanze legali, oneri urbanizzazione, monetizzazione, eccetera).
Lo ripeto anche qui: il mero superamento dell’altezza di 25 metri dell’edificio, da solo, non fa scattare in automatico l’obbligo di piano attuativo. Caso mai è necessaria una valutazione in fase di redazione dello strumento urbanistico generale, e di rilascio del titolo abilitativo, affinchè sia accertato se in quella determinata zona, e in quel lotto edificatorio, sia sufficiente dotata delle urbanizzazioni necessarie, qualora sia realizzato quell’organismo edilizio verticale sul lotto. E tant’è che non bisogna escludere a priori la necessità di un piano attuativo in zone poco urbanizzate, o perfino in lotti inedificati interclusi da una zona urbanizzata (il classico isolato rimasto libero in mezzo alla città).
Su tale notizia si è costruito un imprudente entusiasmo da parte di chi, evidentemente, potrebbe avere interessi o è coinvolto, e la relativa sentenza TAR Milano n. 2748/2025 l’ho analizzata in questo precedente approfondimento perchè, nemmeno a farla apposta, è uscita a stretto giro la pronuncia di Cassazione Penale n. 26650/2025 con cui è stato confermato il sequestro di uno dei cantieri oggetto di indagine. Essa, in termini veramente trancianti, conferma la funzione degli strumenti urbanistici attuativ per evitare “guasti urbanistici”, e lo fa affermando che:
«Dall’altra parte, di diverso avviso è questo Collegio in ordine alla tesi giurisprudenziale del cd. “lotto intercluso”, che escluderebbe l’applicazione dell’art. 41 quinquies comma 6 in parola, e con cui la giurisprudenza amministrativa (cfr. tra le altre Cons. di Stato 16.12.2021 sez. IV) intende un’area compresa in zona totalmente dotata di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti, cioè dotata di opere e servizi realizzati per soddisfare i necessari bisogni della collettività quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell’acqua e dell’energia elettrica, scuole, etc. In particolare, secondo la giurisprudenza amministrativa citata, si realizza la fattispecie del lotto intercluso solo se l’area edificabile: a) sia l’unica a non essere stata ancora edificata; b) si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni; c) sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie), previste dagli strumenti urbanistici; d) sia valorizzata da un progetto edilizio del tutto conforme al Piano Regolatore Generale.
In presenza del lotto intercluso, poiché la completa e razionale edificazione e urbanizzazione del comprensorio interessato avrebbe già creato una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall’attuazione del piano esecutivo (piano particolareggiato, piano di lottizzazione, etc.), lo strumento urbanistico esecutivo si ritiene superfluo. Ne deriverebbe, in casi del genere, l’illegittimità della pretesa del Comune di subordinare il rilascio del titolo edilizio alla predisposizione di un piano di lottizzazione, pur astrattamente previsto dallo strumento generale
Ebbene, alla luce delle considerazioni sopra esposte, con riguardo sia alla concreta problematicità in sé della soluzione giurisprudenziale da ultimo in parola, circa la individuazione delle opere di urbanizzazione necessarie ed esistenti (e quindi circa la non persistente concreta necessità funzionale del piano attuativo ex art. 41 quinques comma 6 in esame) pur in presenza di un nuovo intervento edile consistente ma inserito in area già pienamente urbanizzata, sia con riguardo alla interconnessione che si può porre per gli interventi di urbanizzazione anche tra aggregati vicini e sia, altresì’, con riferimento al dato letterale della norma, che evidentemente risente di tali possibili problematiche, la predetta soluzione appare quantomeno di difficile soluzione concreta nonché poco giustificabile – lo si ribadisce – a fronte di una norma che non introduce eccezioni e che, piuttosto, sembra fissare comunque, anche in caso di apparente piena e precedente urbanizzazione, la sede di elaborazione del piano attuativo come luogo di accertamento della situazione urbanistica ed edilizia concreta, in funzione, alfine, della legittima realizzazione dell’intervento. Del resto, lo stesso giudice amministrativo, in taluni casi non esclude che la predetta fattispecie del lotto intercluso (o similare) non sia invocabile pur rispetto ad interventi realizzati in area pur pienamente urbanizzata. Si è infatti rilevato in sede giurisdizionale amministrativa (cfr. TAR Basilicata Sez. I n. 112 del 15 febbraio 2016) che comunque secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale (cfr. per es. C.d.S. Sez. V n. 5326 del 6.10.2000 e n. 612 del 5.6.1997 e TAR Napoli Sez. VIII n. 3218 dell’11.6.2009) la predetta fattispecie del cd. lotto intercluso, con esclusione della necessità della preventiva adozione di strumenti attuativi per il rilascio dei permessi di costruire, non può essere applicata anche nelle aree completamente e/o totalmente urbanizzate, dove, però, la pianificazione esecutiva e/o attuativa possa ancora svolgere l’utile funzione di evitare “guasti urbanistici».
In conclusione, la Cassazione Penale ha respinto la tesi difensiva che l’articolo 41-quinques, comma 6, della L. 1150/42 (cioè quello sui 25 metri e piano attuativo) fosse soltanto una non transitoria e non più applicabile con la dotazione di un piano regolatore generale comunale di Milano dalla variante generale del 1980. Tra l’altro, è stata respinta anche le tesi fondata sulla Circolare Ministeriale n. 1501/1969, che riteneva superflua la pianificazione attuativa in zone urbanizzate o poco urbanizzate (eppure avevo già espresso perplessità su questa tesi).
E ciò ha inciso sulla categoria di illecito contestata dalla Procura, ossia la lottizzazione abusiva, ipotesi ben peggiore dell’assenza di permesso perchè non prevede alcun rimedio o sanatoria in nessuna ipotesi: lì si demolisce tutto o finisce in acquisizione gratuita. Tutto questo, a meno che il legislatore non intenda intervenire.
Ma non finisce qui: la stessa pronuncia di Cassazione penale summenzionata, rispondendo su altri punti, ha confermato il proprio orientamento sulla distinzione tra gli interventi di ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, riaffermando che: «anche a seguito della modifica all’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ad opera dell’art. 10 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia solo quelli finalizzati al recupero di fabbricati preesistenti di cui sia conservata traccia, dovendo l’immobile oggetto di ristrutturazione presentare caratteristiche funzionali o identitarie coincidenti con quelle del corpo di fabbrica preesistente» (vedasi Cass. Pen. n. 1669 e n. 1670 del 2023).
La fattispecie di Cassazione penale n. 26650/2025 ha avuto per oggetto la realizzazione di un complesso di ben tre grattacieli in luogo di un unico preesistente complesso, a destinazione non residenziale, è del tutto estraneo ai parametri sopra indicati come propri della ristrutturazione, quali quelli della connessione materiale o funzionale tra edificio rispettivamente preesistente e successivo, e della inerenza della ristrutturazione a singoli organismi, con impossibilità di ricavare da un singolo edificio, plurimi, distinti e consistenti manufatti, anche funzionalmente diversi dal precedente. Detto ciò, si passa ora ad analizzare la nuova pronuncia TAR Milano n. 2575/2025.

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Ristrutturazione non può prescindere da conservare traccia dell’immobile preesistente
Il TAR Milano ha emesso pochi giorni fa la sentenza n. 2575/2025, uniformandosi all’orientamento restrittivo adottato dalla Cassazione penale di cui sopra accennato. La fattispecie riguarda un intervento assentito con SCIA alternativa al permesso di costruire (art. 23 TUE) depositata a ottobre 2023, inquadrato in ristrutturazione edilizia.
Esso riguardava la demolizione di un edificio a due piani fuori terra, suddiviso in due unità immobiliari autonome di cui la prima, al piano terra, ad uso autorimessa e la seconda, al piano primo, ad uso residenziale (praticamente una villetta unifamiliare) e di costruzione al suo posto di una palazzina ad uso residenziale di cinque piani fuori terra, oltre il piano interrato, composta da otto appartamenti e da sette posti auto pertinenziali. A tale pratica il Comune di Milano ha inibito l’intervento, sostenendo il suo inquadramento in nuova costruzione, anzichè in ristrutturazione edilizia.
Intanto occorre premettere che, anche secondo un orientamento giurisprudenziale formatosi prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 76/2020, sebbene nelle ipotesi di demolizione e ricostruzione non sia necessario il rispetto del vincolo della sagoma, si fuoriesce dall’ambito della ristrutturazione edilizia e si rientra in quello della nuova costruzione quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo il nuovo intervento un rinnovo del carico urbanistico che non presenta più alcuna correlazione con l’edificazione precedente (cfr. Consiglio di Stato n. 4791/2021; T.A.R. Lombardia Milano n. 841/2020).
Questo orientamento restrittivo è stato confermato dalla Cassazione penale anche a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 10 del d.l. n. 76 del 2020. Afferma invero la Corte di Cassazione che «la conferma della ontologica necessità che l’intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversità tra la struttura originaria e quella frutto di “ristrutturazione”, non possa prescindere dal conservare traccia dell’immobile preesistente, è fornita dallo stesso art. 10 sopra già citato, integrativo dell’art. 3 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380 del 2001, laddove si premette che le novelle introdotte rispondono “al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo» (Cassazione penale, sez. III, 6 novembre 2022, n. 1670).
Ergo, il TAR Milano conferma la correttezza del Comune nel bloccare l’intervento; a questa giurisprudenza penale il TAR Milano si era già recentemente adeguato, in tal senso si veda anche T.A.R. Lombardia Milano n. 2353/2024.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare CONTATTI E CONSULENZE
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