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Il divieto di costruire a dieci metri dai corpi idrici pubblici intende tutelare il libero deflusso, ed è derogabile soltanto da specifica disciplina locale

Nonostante si siano costruite anche intere città a ridosso o perfino sulle sponde delle acque pubbliche censite in elenchi speciali (vedi R.D. n. 1775/1933 e successive modif), esiste da oltre un secolo il cosiddetto vincolo fluviale di inedificabilità assoluta dall’articolo 96 lettera f) del Regio Decreto n. 523/1904.

La norma, la cui vigenza è giunta fino ai giorni nostri, intende tutelare due principali aspetti come meglio evidenziati dalla seguente giurisprudenza:

  • tutelare la ragione pubblicistica dello sfruttamento delle acque demaniali; 
  • mantenere libero il deflusso delle acque scorrenti di fiumi, torrenti canali e scolatoi pubblici;
  • prevenire i danni che possano derivare da una disordinata attività costruttiva e manutentiva lungo i corsi d’acqua;

Tale articolo 96 dispone il divieto assoluto di effettuare molte opere sulle acque pubbliche, per una fascia di dieci metri dai loro alvei, sponde e difese, in particolare ai fini edilizi è interessante approfondire quello previsto dalla lettera f):

f) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi;

Focalizzando il punto f) si evince, come regola generale, la possibilità di realizzare opere e costruzioni ad una distanza specificatamente «stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località» e in mancanza di queste discipline, interviene la regola residuale di non effettuare ad una distanza «minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi».

L’art. 96 comma 1 lettera f) R.D. n. 523 del 1904, include sotto la dizione onnicomprensiva “fabbriche” gli interventi edilizi che comportino alterazioni o modificazioni dello stato dei luoghi della fascia di rispetto (Cons. di Stato n. 4052/2020, n. 8184/2019). Pertanto tale dizione include nuove costruzioni, ampliamenti e modifiche di sagome esistenti).

Riassunto: è possibile edificare a distanza inferiore dei dieci metri canonici soltanto quando sia espressamente disposto e giustificato da una disciplina locale.

Il Consiglio di Stato ha più volte osservato (sentenza n. 1484/2021, n. 8183/2019, n. 5537/2019, n. 3147/2014, n. 5619/2012, n. 2544/2011), che in tal senso “il rinvio alla normativa locale assume carattere eccezionale”, di talché “tale normativa, per prevalere sulla norma generale, deve avere carattere specifico, ossia compendiarsi in una normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la norma locale prende in considerazione al fine di stabilirvi l’eventuale deroga”.

Sulla materia in passato è intervenuta anche la Cassazione Civile con sentenza a Sezioni Unite, la quale ha stabilito le seguenti precisazioni:

  • il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi d’acqua, previsto dalla lettera f) dell’art. 96, è informato alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (Cass. Civ. SS.UU. n. 17784/2009);
  • Tale normativa, per prevalere sulla norma generale, deve avere carattere specifico, ossia essere una normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la norma locale prende in considerazione al fine di stabilirvi l’eventuale deroga. Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche mediante l’utilizzo di uno strumento urbanistico, come può essere il piano regolatore generale, ma occorre che tale strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli argini anche in eventuale deroga alla disposizione della lettera f) dell’art. 96, in relazione alla specifica condizione locale delle acque di cui trattasi (Cass. Civ. SS.UU. n. 19813/2008, vedi anche Consiglio di Stato n. 1484/2021, n. 2544/2011).

L’art. 96, lett. f), del r.d. n. 523 del 1904, in materia di distanze delle costruzioni dagli argini, ha carattere sussidiario, essendo destinato a prevalere solo in assenza di una specifica normativa locale; tuttavia, quest’ultima, che può anche essere contenuta nello strumento urbanistico, per derogare alla norma statale, deve essere espressamente destinata alla regolamentazione delle distanze dagli argini, esplicitando le condizioni locali e le esigenze di tutela delle acque e degli argini che giustifichino la determinazione di una distanza maggiore o minore di quella indicata dalla norma statale (Cass. Civ. Sezioni Unite Ordinanza n. 31022/2019).

In mancanza di una difforme disciplina sul punto specifico nel P.R.G. dell’epoca, deve ritenersi non sussistere una normativa locale derogatoria di quella generale, alla quale dunque occorre fare riferimento (Cons. di Stato n. 8184/2019, n. 5619/2012).

Ciò significa che in mancanza di tale disciplina locale, non sono suscettibili di sanatoria edilizia e di condono le opere costruite in violazione di tale divieto, perchè ricadono nella previsione dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985 quali vincoli preesistenti e con natura inedificabile assoluta (cfr. per tutte Cons. di Stato n. 8184/2019, n. 3781/2011, n. 772/2010, n. 1814/2009). Si configura in questi caso l’ipotesi di costruzione realizzata in contrasto a tale divieto/vincolo assoluto, con conseguente insanabilità dell’opera (Cons. di Stato n. 4052/2020).

La giurisprudenza ritiene inoltre che “i vincoli previsti dal r. d. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno essere riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio di manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione e ripulitura delle condutture (…) per l’inderogabilità delle norme poste a tutela della fascia di servitù idraulica (…) alla luce del carattere assoluto dei vincoli previsti dall’art. 96, r. d. n. 523 del 1904, e della natura prioritaria degli interessi pubblici ad essi sottesi (…)” (Tribunale Sup. Acque, 18.02.2014, n. 44; sull’inderogabilità del divieto di costruzione imposto dall’art. 96, lett. f), del R. D. 25 luglio 1904 n. 523, si veda anche Cons. di Stato n. 7695/2019, n. 1814/2009).

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Quale disciplina locale poteva stabilire prescrizioni specifiche?

Seguendo il ragionamento avallato dalla citata giurisprudenza, ben poteva un Piano Regolatore generale del Comune prevedere specifiche prescrizioni e ridurre la distanza minima dal piede dell’argine o sponda del corpo idrico, fissando cioè una fascia di rispetto idraulico più ristretta. Ciò equivale ad un riconoscimento di competenze regolamentari in materia idraulica e regimazione delle acque pubbliche.

Ciò potrebbe significare che una diversa disciplina locale poteva (e può) contenere prescrizioni e distanze inferiori a quelle dei 10 metri per le costruzioni, ad esempio:

  • strumento urbanistico generale (P.R.G. comunale)
  • strumenti urbanistici attuativi (lottizzazione o piano particolareggiato)
  • regolamento edilizio comunale
  • regolamento di polizia idraulica comunale (ma anche provinciale)
  • piani territoriali di coordinamento provinciali o discipline provinciali in materia di acque.

In presenza di una disciplina locale derogatoria, in questi ambiti territoriali o fasce di rispetto, il vincolo degraderebbe da assoluto a relativo, in quanto la riduzione (ma anche maggiorazione) della distanza minima dal corpo idrico trova espressa valutazione discrezionale nel rilascio del titolo abilitativo edilizio.

Oggi la materia è passata anche alla gestione delle Autorità di bacino e delle Regioni, in maniera articolata e complessa. E mi fermo qui.

Le principali norme sulle risorse idriche vigenti e abrogate sono le seguenti:

  • R.D. n. 523/1904 (T.U. acque)
  • R.D. n. 1775/1933 (T.U. acque e impianti elettrici)
  • L. 319/1976 (Legge Merli, abrogata con D.Lgs. 152/2006)
  • Delibera Comitato Interministeriale Tutela Acque del 4/2/1977
  • L. 183/1989 (difesa del suolo, abrogata con D.Lgs. 152/2006)
  • L. 36/1994 (sistema idrico integrato)
  • D.P.C.M. 4/3/1996 (Disposizione in materia di risorse idriche)
  • D.Lgs. 152/1999 (abrogata con D.Lgs. 152/2006)
  • D.Lgs. 31/2001 (acque destinate al consumo umano)
  • D.M. 185/2003 (riuso acque reflue)
  • D.Lgs. 152/2006 (c.d. Testo Unico norme in materia ambientale)

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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