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Le parti di fabbricato entro terra costituiscono volume ancorché non utilizzabile con riempimenti

Si pensa che gli spazi costruiti al di sotto di un fabbricato fuori terra possano godere di un particolare regime di favore, tipo l’esclusione totale e automatica dal conteggio delle volumetrie. O peggio ancora, che siano praticamente “liberi” per il fatto che stando sottoterra, la loro mancata percezione non comporti alcun effetto ambientale e urbanistico.

In linea generale anche i locali, spazi e manufatti realizzati entro terra rientrano nella volumetria, salvo quei pochissimi casi previsti dal regime di edilizia libera e pertanto di modesta rilevanza urbanistico edilizia.

Poi, nel caso delle porzioni di edifici da progettare o verificare occorre sempre distinguere il doppio criterio di dimensionamento tra volumetria e superfici, sia lorde che accessorie. Ai fini del dimensionamento dei carichi urbanistici, negli strumenti urbanistici e piani regolatori si fa normalmente riferimento alle superfici lorde. Ed ecco perchè trasformare una superficie accessoria in superficie lorda è intervento urbanisticamente rilevante.

Il caso a cui fare riferimento riguarda alcune porzioni di fabbricato costruite al di sotto di esso, in parte entro terra e in parte fuori terra, riempite parzialmente di terra con funzione di vespaio, trattate nella sentenza di Consiglio di Stato n. 8358/2023 (vedi anche in fondo al post); in essa, il mantenimento di alcuni spazi interrati nella richiesta di sanatoria edilizia non ha avuto esito favorevole. La predetta sentenza fa riferimento ad una casistica apertasi prima dell’emanazione del Regolamento Edilizio Tipo nazionale del 2016, ma ritengo opportuno analizzare i principi in entrambi i regimi.

Aggiornamento: rammento che la giurisprudenza amministrativa, già prima dell’emanazione del R.E.T. aveva indicato un criterio generale sugli spazi realizzati in piani interrati, fatto salvo diverse disposizioni locali di allora, ovvero escludendoli dalla volumetria “qualora adibite ad uso umano”:

la realizzazione di un volume interrato determina, infatti, inevitabilmente, una alterazione dello stato dei luoghi rilevante sul piano urbanistico ed edilizio, salvo che per le sue caratteristiche non possa essere riferita, appunto, ad un “volume tecnico” e, come affermato dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio ,“correttamente l’Amministrazione… tiene conto della volumetria relativa alla parte interrata del manufatto, in quanto – così come testualmente previsto dall’art. 3 comma 1, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001 – il computo della volumetria di un edificio deve essere effettuato con riferimento all’opera in ogni suo elemento, compresi gli ambienti funzionalmente asserviti o interrati e con esclusione dei soli volumi tecnici, con la conseguenza che anche le opere realizzate entro terra, qualora adibite ad attività umane di tipo continuativo, devono essere considerate ai fini dei calcoli delle volumetrie assentibili in relazione ai carichi urbanistici che ne derivano” (cfr., ex multis, Cons. di Stato n. 4348/2013, ripresa anche da Cons. di Stato n. 6046/2023).

Con l’entrata in vigore del Regolamento Edilizio Tipo nazionale (R.E.T.) nonchè coi vari recepimenti regionali e infine comunali, le definizioni dei parametri urbanistici ed elementi edilizi è cambiata per garantire una certa uniformità sul territorio.

Anche stavolta devo preliminarmente consigliare la verifica delle ulteriori disposizioni regionali e comunali nei propri regolamenti edilizi con definizioni unificate, sia per quanto disciplinato sulle trasformazioni urbanistico edilizie del territorio. Infatti non è detto che la tua regione abbia recepito il R.E.T., e tanto meno i Comuni presenti in tale regione. Un esempio potrebbero essere gli spazi ad uso scannafosso, vespai, eccetera.

Per capire meglio la questione, è opportuno riportare alcune definizioni estratte dal Regolamento Edilizio Tipo nazionale 2016 (Allegato A), ormai recepito in buona parte dalle legislazioni regionali:

  • 19 – Volume totale (VT) o volumetria complessiva: Volume della costruzione costituito dalla somma della superficie totale di ciascun piano per la relativa altezza lorda (VT = ST x h).
  • 12 – Superficie totale (ST): Somma delle superfici di tutti i piani fuori terra, seminterrati ed interrati comprese nel profilo perimetrale esterno dell’edificio. (la ST comprende anche le superfici accessorie, come confermato dalla definizione di Superficie Lorda SL nel R.E.T.).
  • 13 – Superficie lorda (SL): Somma delle superfici di tutti i piani comprese nel profilo perimetrale esterno dell’edificio escluse le superfici accessorie (SL = ST – SA).
  • 15 – Superficie accessoria (SA): Superficie di pavimento degli spazi di un edificio aventi carattere di servizio rispetto alla destinazione d’uso della costruzione medesima, misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre.
    La superficie accessoria può ricomprendere, per esempio:
    • i portici e le gallerie pedonali;
    • i ballatoi, le logge, i balconi e le terrazze;
    • le tettoie con profondità superiore a m 1,50; le tettoie aventi profondità inferiore a m. 1,50 sono escluse dal computo sia della superficie accessoria sia della superficie utile;
    • le cantine poste al piano interrato, seminterrato o al primo piano fuori terra e i relativi corridoi di servizio;
    • i sottotetti accessibili e praticabili per la sola porzione con altezza pari o superiore a m 1,80, ad esclusione dei sottotetti aventi accesso diretto da una unità immobiliare e che presentino i requisiti richiesti per i locali abitabili che costituiscono superficie utile;
    • i vani scala interni alle unità immobiliari computati in proiezione orizzontale, a terra, una sola volta;
    • spazi o locali destinati alla sosta e al ricovero degli autoveicoli ad esclusione delle autorimesse che costituiscono attività imprenditoriale;
    • le parti comuni, quali i locali di servizio condominiale in genere, i depositi, gli spazi comuni di collegamento orizzontale, come ballatoi o corridoi. Gli spazi comuni di collegamento verticale e gli androni condominiali sono esclusi dal computo sia della superficie accessoria sia della superficie utile.
  • 26 – Altezza lorda: Differenza fra la quota del pavimento di ciascun piano e la quota del pavimento del piano sovrastante. Per l’ultimo piano dell’edificio si misura l’altezza del pavimento fino all’intradosso del soffitto o della copertura.
  • 20 – Piano fuori terra: Piano dell’edificio il cui livello di calpestio sia collocato in ogni sua parte ad una quota pari o superiore a quella del terreno posto in aderenza all’edificio.
  • 21 – Piano seminterrato: Piano di un edificio il cui pavimento si trova a una quota inferiore (anche solo in parte) a quella del terreno posto in aderenza all’edificio e il cui soffitto si trova ad una quota superiore rispetto al terreno posto in aderenza all’edificio.
  • 22 – Piano interrato: Piano di un edificio il cui soffitto si trova ad una quota inferiore rispetto a quella del terreno posto in aderenza all’edificio.

Con queste definizioni si potrà capire meglio la valutazione contenuta nella predetta sentenza amministrativa.

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Volumi interrati come nuova costruzione

La fattispecie contenuta nella predetta sentenza si è aperta nel 2002 e pertanto fa riferimento ad un quadro normativo e di definizioni anteriore a quello vigente oggi col Regolamento Edilizio Tipo nazionale, tuttavia le conclusioni a cui pervengono sono analoghe a quelle comparabili ad ipotetica applicazione del R.E.T.

La realizzazione abusiva di un manufatto interrato configura volumetria, anche nei casi in cui si pensi di azzerarla mediante riempimento di terra; l’ipotesi di rendere impossibile l’accesso a tale spazio ad una permanenza umana o qualsiasi altro utilizzo, tramite riempimento artificioso di suolo, sabbie o simili, non consente di aggirare la valutazione urbanistica di questo spazio.

In primo luogo, anche i manufatti interrati per intero sono annoverabili nella nozione di nuova costruzione, quando, per la loro incidenza sull’assetto urbanistico, comportano una trasformazione del territorio; di conseguenza, la loro realizzazione rende necessario ottenere il permesso di costruire.

Infatti il Consiglio di Stato, in riferimento alla definizione degli interventi edilizi, ha ribadito che nella definizione di “interventi di nuova costruzione“, contenuta nell’art. 3, comma 1, punto e.1, del D.P.R n. 380/2001, riguarda anche la costruzione di “manufatti edilizi fuori terra o interrati“; ciò conferma che è indifferente la collocazione dell’edificio al di sotto del piano di campagna, e che solo in via eccezionale è consentito a livello amministrativo di non computare piani interrati di edifici per il resto realizzati fuori terra (Cons. Stato n. 8358/2023, n. 1440/2023).

Riguardo alla definizione di nuova costruzione contenuta in art. 3 c.1 lettera e.1 T.U.E:

la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6)”; a sua volta essa prevede che sono del pari interventi di nuova costruzione, soggetti a permesso di costruire, “e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale”.

Riempimenti astrattamente rimovibili a posteriori

La realizzazione di uno spazio interrato, al di sotto di un edificio fuori terra, costituisce volumetria come regola generale; l’opzione di trasformarlo in un vespaio tramite riempimento parziale non è di aiuto, come evidenziato nella predetta sentenza amministrativa.

In altre parole, non serve a renderlo inutilizzabile con riempimenti parziali o totali, in quanto costituiscono sempre un volume in base alle definizioni generali unificate. Come chiosato nella stessa sentenza, il riempimento con terreno di un volume interrato non può essere certamente equiparato ad una “rimozione” (dell’abuso, ndr), e men che meno ad una demolizione o ad un ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, occorre considerare che il riempimento del volume con terreno non determina affatto l’inutilizzabilità definitiva dell’opera: i ricorrenti ben potrebbero, in futuro, rimuovere il terreno e recuperare la possibilità di utilizzo del volume (Cons. di Stato n. 8358/2023).

Nulla vieta che norme regionali e comunali possano definire meglio quelle intercapedini areate per garantire salubrità dell’edificio. Preavviso che molte regioni hanno regolamentato la questione, agevolando il dimensionamento e nei calcoli delle superfici lorde e accessorie.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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