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Pubblicato il 24/01/2022

N. 00469/2022REG.PROV.COLL.

N. 03087/2018 REG.RIC.

(Disclaimer: la presente versione non sostituisce quella ufficiale pubblicata nel sito istituzionale)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3087 del 2018 proposto dal signor xxxxx, rappresentato e difeso dall’avvocato yyyyyyy ,domiciliato presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliato presso lo studio del suindicato difensore in Roma, viale Parioli, n. 44;

contro

il Comune di Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato zzzzzz, dell’Avvocatura comunale, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, via Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II-bis, 20 novembre 2017 n. 11436, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma Capitale e i documenti prodotti;

Vista l’ordinanza della Sezione 28 maggio 2018 n. 2371 con la quale è stata accolta l’istanza cautelare proposta dalla parte appellante;

Vista l’ordinanza collegiale 10 dicembre 2020 n. 7895, con la quale è stata disposta verificazione e la successiva ordinanza collegiale 10 maggio 2021 n. 3651 con la quale è stata accolta la richiesta di proroga dei termini per la conclusione delle operazioni di verificazione;

Esaminata la relazione di verificazione e i documenti allegati depositati nel fascicolo digitale del processo in data 10 agosto 2021;

Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica, depositate e le note d’udienza nonché i documenti con esse prodotti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 21 dicembre 2021 il Cons. Stefano Toschei. Si registra il deposito, da parte dei difensori di entrambe le parti, di note d’udienza con richiesta di passaggio in decisione della causa senza la preventiva discussione, ai sensi del Protocollo d’intesa sullo svolgimento delle udienze e delle camere di consiglio “in presenza” in stato di emergenza del 20 luglio 2021;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello n. R.g. 3087/2018 il signor xxxx ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II-bis, 20 novembre 2017 n. 11436, con la quale è stato respinto il ricorso (R.g. n. 9871/2017) proposto dal predetto al fine di ottenere l’annullamento dei seguenti provvedimenti e atti:
a) la determinazione dirigenziale numero repertorio CD/123/2017 del 19 gennaio 2017, adottata dal Municipio Roma III, Direzione tecnica, Urbanistica/edilizia privata: ispettorato, disciplina, contrasto abusivismo, Servizi al cittadino, Ufficio disciplina urbanistica, con la quale gli è stata ingiunta la rimozione o la demolizione, ai sensi degli articoli 33 d.P.R. 380/2001 e 16 l. Regione Lazio n. 16/2008, con riferimento agli interventi di ristrutturazione edilizia asseritamente realizzati presso l’immobile di sua proprietà e contestati a seguito di sopralluogo effettuato in data 5 febbraio 2016 dal personale di Polizia locale di Roma Capitale, III Gruppo nomentano;
b) di ogni altro atto precedente, coevo e/o successivo, comunque connesso o collegato al precedente, inclusi, all’occorrenza, l’esito dell’accertamento tecnico prot. n. 77211 del 4 agosto 2016 e la determinazione dirigenziale di sospensione dei lavori n. 1824 del 14 ottobre 2016.

2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:

– il signor xxxxx è proprietario di un immobile, sito in Roma ed ubicato in zona di PRG “Sistema insediativo – Città della trasformazione – Art. 56 Definizioni, obiettivi e componenti b) Ambiti a pianificazione particolareggiata definita”;

– egli installava sul terrazzo (che poi si vedrà, più correttamente deve essere qualificato come “balcone”) di pertinenza dell’immobile di sua proprietà una struttura a vetri, formata da pannelli frangivento in vetro, rotabili su se stessi e scorrevoli su binari, riconducibili nello specifico al “Sistema di vetrate scorrevoli VETRATE PANORAMICHE ITALIANE”;

– in data 5 febbraio 2016 gli agenti della Polizia locale di Roma Capitale III Gruppo nomentano, a seguito di sopralluogo nell’immobile in questione, appuravano che detta struttura era stata installata in assenza del necessario titolo autorizzativo di tipo edilizio e, notificando al signor xxxx il relativo verbale di sopralluogo, lo invitavano a depositare documentazione presso l’ufficio tecnico comunale (nello specifico, tra l’altro, copia dell’atto di proprietà, comunicazione inizio lavori, planimetrie catastali, planimetrie ante e post operam);

– il xxxx depositava la documentazione in suo possesso in data 8 febbraio 2016;

– il Municipio Roma III, Direzione tecnica-urbanistica, edilizia privata, ispettorato, disciplina, contrasto abusivismo – servizi al cittadino – Ufficio disciplina urbanistica, con determinazione dirigenziale n. 1824 del 14 ottobre 2016, facendo seguito al sopralluogo del 5 febbraio 2016 e considerato che l’attività di installazione dei pannelli in vetro sul terrazzo pertinenziale dell’immobile di proprietà era stata realizzata in violazione di norme di legge (in particolare dell’art. 33 d.P.R. 380/2001 e dell’art. 16 l.r. Lazio 15/2008), determinava l’immediata sospensione dei lavori edilizi, comunicando il contemporaneo avvio del procedimento repressivo sanzionatorio conseguente;

– il xxxx, in data 4 novembre 2016, trasmetteva al competente ufficio comunale una memoria con controdeduzioni, con la quale assicurava l’assenza di lavori in corso di esecuzione presso l’immobile di sua proprietà;

– con determinazione dirigenziale n. CD/123/2017 del 19 gennaio 2017, il direttore del competente ufficio comunale ingiungeva al signor xxxx la rimozione o la demolizione entro 60 giorni delle opere abusivamente realizzate:

– nei confronti del suddetto provvedimento il signor xxxx proponeva ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, rispetto al quale il Comune di Roma Capitale interponeva opposizione ai sensi dell’art. 10 d.P.R. 1199/1971, di talché il contenzioso veniva trasposto in sede giurisdizionale dinanzi al TAR per il Lazio;

– quest’ultimo con sentenza 20 novembre 2017 n. 11436 respingeva il ricorso, atteso che l’opera così come realizzata determina una chiusura idonea a creare ulteriore superficie utile, necessitando quindi di idoneo titolo edilizio, non potendo detta opera, per il materiale utilizzato, essere ricondotta a strutture leggere quali pergotende o gazebi;

– successivamente all’emissione della suindicata sentenza il Comune di Roma Capitale adottava la determinazione dirigenziale n. prot. CD/154265/2017 del 22 dicembre 2017 con la quale, accertata l’inottemperanza al provvedimento ingiuntivo di rimozione o demolizione delle opere realizzate;

3. – Il signor xxxx ha quindi proposto appello chiedendo la riforma della predetta sentenza di primo grado, contestandone la erroneità per non avere ritenuto degni di accoglimento i motivi di impugnazione proposti in primo grado e che, in sede di appello, egli (ri)formula quali contestazioni ai singoli capi della sentenza di primo grado come segue:

I) Error in iudicando: violazione e/o falsa applicazione di legge in riferimento all’art 16 l.r. Lazio 15/2008 nonché agli articoli 3, 6, 10 e 33 del d.P.R. 380/2001 – Erroneità, illogicità, incoerenza, arbitrarietà, contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione – Travisamento dei fatti. Il TAR per il Lazio ha erroneamente fondato il proprio convincimento sulla rilevanza dell’opera edilizia installata e sulla necessità di un titolo edilizio adeguato sul presupposto che essa sarebbe stata realizzata con materiale e con modalità tali da non poterla ricondurre ad opere edilizie minori quali un semplice gazebo o una pergotenda. Il giudice di primo grado, incomprensibilmente, è giunto a tale conclusione senza disporre alcuna valutazione tecnica nel corso dell’istruttoria processuale e senza tenere conto della circostanza, da sola decisiva, che l’opera in questione è costituita da “pannelli frangivento (…) realizzati da una struttura leggera di arredo, ad esclusivo servizio dell’immobile stesso, facilmente amovibili, caratterizzati da elementi in materiale leggero di esigua sezione, privi di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere, costituite da elementi leggeri, assemblati tra loro, tali da rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non demolizione” (così, testualmente, a pag. 10 dell’atto di appello). E ciò in quanto; a) lo spessore del vetro utilizzato per la realizzazione degli stessi è tra i 5 e i 10 mm, di gran lunga inferiore rispetto ai vetri utilizzati per la realizzazione di finestre e/o vetrate; b) tra un pannello e l’altro rimane dello spazio non perfettamente isolato; c) lo spazio delimitato con pannelli di siffatto genere, non rimanendo isolato né in termini termici, né dalla formazione di condensa o infiltrazioni piovane, non potrebbe in nessun caso essere soggetto a cambio di destinazione d’uso, rimanendo a tutti gli effetti un terrazzo non abitabile e non creando alcuna superficie utile lorda aggiuntiva;

II) Error in iudicando – Omessa valutazione, ai fini della decisione, della circolare esplicativa del Comune di Roma Capitale – Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica, prot. n. 19137 del 9 marzo 2012 – Erroneità, illogicità, incoerenza, arbitrarietà, contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione – Travisamento dei fatti. Il giudice di primo grado ha poi errato nel non avere considerato utile quanto indicato nella circolare esplicativa del Comune di Roma Capitale – Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica, prot. n. 19137 del 9 marzo 2012, il cui contenuto, nella parte in cui annovera tra le attività di edilizia libera, non subordinate all’ottenimento di alcun titolo abilitativo, le “strutture semplici quali gazebo, pergotende con telo retrattile, pergolati, se elementi di arredo annessi ad unità immobiliari e/o edilizie aventi esclusivamente destinazione abitativa”, conduce ad escluder che per la installazione dell’opera in questione fosse necessario il rilascio di un apposito titolo abilitativo;

III) Error in iudicando: omessa valutazione, ai fini della decisione, del difetto di motivazione del provvedimento impugnato in violazione degli art. 3, 7, 8, 10, 10-bis l. 7 agosto 1990, n. 241, irragionevolezza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione anche in violazione dell’art. 97 Cost. – Erroneità, illogicità, incoerenza, arbitrarietà, contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione – Travisamento dei fatti. Il provvedimento demolitorio impugnato è privo di una adeguata motivazione e si presenta di per sé contraddittorio, atteso che con esso è stata ordinata “la demolizione di una struttura leggera non necessitante, sulla base delle indicazioni emanate dai medesimi uffici comunali, di alcun titolo autorizzativo preliminare, essendo paragonabile a tutti gli effetti ad un tendaggio di arredo” (così, testualmente, a pag. 26 dell’atto di appello). L’istruttoria svolta, inoltre, non ha visto la partecipazione dell’interessato, violandosi in tal modo tutte le disposizioni della l. 241/1990 che consacrano la condivisione istruttoria tra cittadino ed amministrazione, oltre al fatto che nella motivazione dell’atto impugnato non si fa cenno alle controdeduzioni e alle documentazioni presentata dall’interessato;

IV) Error in iudicando: omessa valutazione della contestata inosservanza del termine di adozione e notificazione del provvedimento definitivo, in violazione dell’art. 27, comma 3, d.P.R. 380/2001. Il giudice di primo grado, poi, non ha affatto scrutinato il motivo di illegittimità del provvedimento di demolizione, in quella sede dedotto, con il quale si è contestata la tardività dell’adozione dell’ingiunzione a demolire, notificata al destinatario dell’atto repressivo sanzionatorio oltre il termine di quarantacinque giorni dalla data di adozione del provvedimento di sospensione dei lavori, come invece impone di rispettare l’art. 27, comma 3, del Testo unico edilizia.

4. – Si è costituito in giudizio il Comune di Roma Capitale che ha confermato la correttezza della procedura svolta per giungere ad adottare i provvedimenti impugnati in primo grado nonché la ineccepibilità delle conclusioni alle quali è pervenuto il Tribunale amministrativo regionale nella sentenza qui oggetto di appello. Il comune appellato chiedeva quindi, con analitica contestazione dei motivi di appello, la reiezione del mezzo di gravame proposto.

Con ordinanza 28 maggio 2018 n. 2371 è stata accolta l’istanza cautelare proposta dalla parte appellante, al solo fine di mantenere la res adhuc integra fino all’approfondimento di merito, a garanzia di un equilibrato bilanciamento degli interessi in gioco.

Nel corso del processo, con ordinanza collegiale 10 dicembre 2020 n. 7895, la Sezione disponeva verificazione al fine di poter esaminare le criticità tecniche connesse al contenzioso e, quindi, per rispondere ai seguenti quesiti: a) descrivere l’opera realizzata dall’appellante, indicando i materiali utilizzati, l’eventuale presenza di opere murarie, l’esatto spessore del vetro, le modalità di installazione e “aggancio”, il funzionamento dei “binari” di scorrimento; b) indicare le misure dello spazio “chiuso” mediante tali vetrate e, alla luce delle modalità realizzative della struttura, quale sia il suo attuale utilizzo e, in particolare, se si tratti di un ambiente isolato dal punto di vista termico ed abitabile ovvero se la sua funzione sia quella di protezione dagli agenti atmosferici; c) indicare se si tratti di una opera che, per come è stata realizzata, è finalizzata a soddisfare esigenze temporanee ovvero stabili.

Con detta ordinanza veniva nominato per l’incarico di verificatore il Preside della Facoltà di Architettura di Roma la Sapienza, con facoltà di indicare un professore o ricercatore di tale Università dotato delle competenze per svolgere la suddetta verificazione tecnica.

Con nota del 22 dicembre 2020, depositata nel fascicolo digitale del processo in data 2 febbraio 2021, il Preside della Facoltà di Architettura di Roma la Sapienza indicava il professor Eugenio Arbizzani, professore associato presso il Dipartimento di architettura e progetto, quale delegato del Preside in qualità di organismo verificatore.

In data 25 febbraio 2021 l’appellante depositava nel fascicolo digitale del processo l’atto di nomina del consulente di parte indicando il geometra Marco Molinari.

Con ordinanza collegiale 10 maggio 2021 n. 3651, accogliendo una richiesta del verificatore depositata nel fascicolo digitale del processo il 29 marzo 2021, era disposta la proroga dei termini per la conclusione delle operazioni di verificazione.

La relazione di verificazione e i documenti allegati venivano depositati nel fascicolo digitale del processo in data 10 agosto 2021

Le parti hanno prodotto memorie, anche di replica e note d’udienza, con documentazione ulteriore, con le quali hanno confermato le conclusioni già rassegnate nei precedenti atti processuali.

5. – Gli esiti della verificazione disposta dalla Sezione (e svolta in contraddittorio tra le parti e alla presenza dei rispettivi consulenti tecnici di parte, atteso che anche l’appellato comune ha fatto partecipare alle operazioni di verificazione un tecnico del competente Municipio) hanno condotto ai seguenti risultati:

1) con riferimento al primo quesito, relativo alla consistenza delle opere, materiali utilizzati e meccanismi di collegamento delle stesse al soffitto e al pavimento della terrazza (rectius, balcone), si è potuto appurare che: a) l’opera consiste in una “barriera in vetro trasparente a chiusura del balcone preesistente, con un andamento curvo; la barriera è realizzata mediante n. 23 pannelli di vetro trasparente stratificato 55.1, di spessore complessivo di 10 mm., con altezza pari a 241 cm. e larghezza di ogni pannello variabile da 50 a 75 cm”; b) “I pannelli sono fissati in sommità e al piede su guide costituite da profilati in alluminio di spessore 40 mm. e altezza 60 mm., su cui scorrono i pannelli mediante piste di scorrimento in teflon autolubrificante. In particolare, il profilo superiore è fissato direttamente all’intradosso del soffitto del balcone, mentre il profilo inferiore e fissato sopra uno zoccolo preesistente in muratura, alto 20 cm. Il parapetto in tubolare di acciaio e le fioriere in calcestruzzo bianco sono preesistenti all’opera e non sono stati modificati”; c) “I pannelli di vetro sono privi di montanti laterali e, nella posizione di chiusura del balcone, mantengono una fuga a luce libera di circa 3 mm. L’uno dall’altro”; d) “L’altezza complessiva del manufatto montato è pari a 253 cm., dall’intradosso del solaio superiore del balcone, allo zoccolo murario preesistente, con altezza di 20 cm. dal pavimento, tale zoccolo non risulta modificato a motivo della installazione del nuovo manufatto”; e) l’opera è stata realizzata con “pannelli di vetro trasparente stratificato spessore 10,35 mm” e sono state utilizzate “guide metalliche in profili di alluminio verniciato bianco, mm. 50 x 60, montate all’intradosso del soffitto e in sommità dello zoccolo murario preesistente”. Non sono “presenti opere murarie realizzate in dipendenza del montaggio della vetrata”; f) “i pannelli sono appoggiati alla guida inferiore – agganciati mediante un perno inserito nel binario – e scorrono su due piste di scorrimento in polietilene autolubrificante; i pannelli sono privi di dispositivi rotabili. Il meccanismo di aggancio consente di ruotare i pannelli e di impacchettarli tutti su un solo lato della vetrata, perpendicolarmente alla linea di posizionamento”;

2) con riferimento al secondo quesito relativo alle misure dello spazio “chiuso” mediante tali vetrate e all’utilizzo attuale di detto spazio e, quindi, se si tratti di un ambiente isolato dal punto di vista termico ed abitabile ovvero se la sua funzione sia quella di protezione dagli agenti atmosferici alla luce delle modalità realizzative della struttura, quale sia il suo attuale utilizzo, il verificatore ha evidenziato che: a) lo spazio racchiuso dalla vetrata consiste nel balcone dell’unità immobiliare di proprietà del signor xxxx che, è pari a 44,07 mq; b) “l’utilizzo riscontrato è relativo ad un ambiente che, quando è chiuso dalla vetrata, consente il soggiorno delle persone, al riparo dal vento e dalla pioggia (nel balcone sono infatti presenti tavoli, un divano e mobili da esterno)”; c) “le caratteristiche del vetro, privo di camera d’aria e di spessore pari a 10 mm. (trasmittanza termica: Uv = 5,6 W/m2 K), inoltre la costruzione dei pannelli, privi di montanti di telaio e accostati fra loro con una luce d’aria libera pari a circa 3 mm., non consentono prestazioni di isolamento termico compatibili con i requisiti di abitabilità attualmente richiesti dalle norme relative alla trasmittanza termica degli edifici di abitazione in Roma (zona climatica D, trasmittanza termica richiesta per le pareti verticali opache: Uv = 0,29 W/m2 K)”;

3) con riferimento al terzo quesito con il quale si chiedeva di comprendere se si trattasse di una opera che, per come è stata realizzata, è finalizzata a soddisfare esigenze temporanee ovvero stabili, il verificatore ha risposto nel senso che: a) “l’opera realizzata, per le sue caratteristiche costruttive, per le prestazioni termiche della vetrazione, per la completa amovibilità della partizione tramite impacchettamento, è finalizzata a soddisfare esigenze temporanee”; 2) tenuto conto della temperatura media estiva e invernale nella zona geografica ove è collocato il balcone in questione, in considerazione del materiale con il quale è stata realizzata l’opera e delle caratteristiche costruttive della stessa, può desumersene un utilizzo a fini abitativi in periodi stagionali intermedi e con temperature esterne oscillanti fra + 10° centigradi e + 24° centigradi, finendo quindi la vetrata installata per adempiere a funzioni di protezione agli agenti atmosferici e fornendo inoltre una parziale barriera acustica rispetto ai rumori esterni.

6. – Con riferimento ad interventi costruttivi volti a chiudere un’area aperta e delimitata, pertinenziale all’appartamento di proprietà, consistente in un balcone ovvero in una loggia (tenuto conto che in merito al reale significato di ciascuna delle due espressioni si è registrato un dibattito tecnico architettonico critico nel corso dello svolgimento della verificazione acquisita agli atti istruttori del presente processo ma che, sotto il profilo giuridico, poco sposta rispetto alla qualificazione dell’intervento in termini di capacità di creazione di un nuovo locale e, quindi, di necessità o meno della previa acquisizione del titolo edilizio per realizzare l’intervento) ovvero ancora portici o porticati attraverso la installazione di pannelli in vetro, si è affermato che l’installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un’area (un porticato, ma analogamente, ad avviso del Collegio, la questione può essere posta per balconi o logge) che si presenti aperta su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria e ciò perché l’intervento va riguardato dall’ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili (cfr., in tal senso, con specifico riferimento ai porticati ma, per quanto si è sopra detto, analogamente riferibile alla chiusura di logge o di balconi, Cons. Stato, Sez. II, 27 giugno 2019 n. 4437 e Sez. V, 5 maggio 2016 n. 1822). L’avvenuta realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un’area (portico, loggia o balcone) non può neppure qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2018 n. 1893).

Tenuto conto di quanto sopra, con specifico riferimento alla chiusura di balconi, logge o balconate con pannelli in vetro, la giurisprudenza amministrativa è ferma nell’affermare che:

– la realizzazione di un veranda con chiusura di un balcone, comportando nuovi volumi e modifica della sagoma dell’edificio, è soggetta a permesso di costruire; la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile, infatti, soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici, ma non anche ad opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tali, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 12 febbraio 2020 n. 1092);

– le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planovolumetrica ed architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire. Si tratta, infatti, di strutture fissate in maniera stabile al pavimento che comportano la chiusura di una parte del balcone, con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto. Né può assumere rilievo la natura dei materiali utilizzati, in quanto la chiusura, anche ove realizzata con pannelli in alluminio, costituisce comunque un aumento volumetrico. Deve anche escludersi che la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda costituisca una “pertinenza” in senso urbanistico. La veranda integra, infatti, un nuovo locale autonomamente utilizzabile, il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie (cfr. Cons. Stato, Sez.VI, 4 ottobre 2019 n. 6720);

– la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda non costituisce una pertinenza in senso urbanistico. La veranda integra, infatti, un nuovo locale autonomamente utilizzabile, che viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie, con la conseguenza del necessario preventivo rilascio di permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 ottobre 2018 n. 5801);

– ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), del TUE, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportino, modifiche del volume o dei prospetti. Le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire in quanto queste comportano la chiusura di una parte del balcone con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto. Pertanto va escluso che la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda costituisca una pertinenza in senso urbanistico. La veranda integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 1893/2018, cit.);

– la nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico – edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie; infatti è irrilevante che le dette opere siano realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, laddove comportino la trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio (cfr Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2003, n. 419) e ciò anche se ciò avvenga con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 28 giugno 2019 n. 4449).

7. – In considerazione di quanto sopra rammentato, con riguardo all’orientamento giurisprudenziale costante in materia e tenuto conto degli esiti della verificazione, al Collegio pare che il caso qui in esame si ponga, nel concreto, in una dimensione, edilizia e giuridica, analoga rispetto alle consuete vicende legate alla chiusura con pannelli in vetro di portici, porticati, logge, balconi, balconate.

Va preliminarmente ribadito (dopo averlo già sopra accennato) che il dibattito tecnico in merito alla qualificazione del “terrazzo” in questione in termini di loggia o di balcone può avere rilievo esclusivamente in ambito tecnico ma non determina significative conseguenze in ambito giuridico con riferimento alla qualificazione di nuova costruzione dell’intervento edilizio teso a chiudere l’area corrispondente allo spazio pertinenziale esterno rispetto all’immobile di proprietà.

Infatti, le diversificate denominazioni degli elementi architettonici -“balcone” o “terrazza”, da un lato, e “loggia” o “loggiato”, dall’altro- sono state compiutamente declinate nel Regolamento edilizio-tipo approvato in sede di intesa Stato-Regioni, in attuazione dell’art. 4, comma 1-sexies, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, pubblicato sulla G.U. n. 268 del 16 novembre 2016, proprio allo scopo di omogeneizzarne gli ambiti definitori, ponendo ordine nel variegato linguaggio utilizzato nella prassi degli uffici, ovvero consacrato in maniera divergente nei singoli provvedimenti normativi comunali. Il riferimento alle stesse, tuttavia, seppur innegabilmente utile ad inquadrare descrittivamente la tipologia dell’intervento realizzato, non ne consente anche la diversificazione di regime giuridico, a parità di risultato finale.

Nello specifico il verificatore ha avuto modo di segnalare alcune caratteristiche dell’opera che potrebbero – in thesi – escludere, dall’applicazione delle norme che impongono il previo rilascio del titolo edilizio per la realizzazione di siffatti interventi di chiusura “leggeri” e dall’interpretazione, pervero granitica in materia, espressa dalla giurisprudenza di questo Consiglio, l’opera realizzata sull’immobile di proprietà dell’appellante.

Deporrebbero quindi per una considerazione “più mite” (sotto il profilo edilizio e, quindi, di riflesso, anche in ambito giuridico) dell’opera installata:

a) la circostanza per cui “l’opera realizzata, per le sue caratteristiche costruttive, per le prestazioni termiche della vetrazione, per la completa amovibilità della partizione tramite impacchettamento, è finalizzata a soddisfare esigenze temporanee”;

b) l’ulteriore considerazione che, tenuto conto della temperatura media estiva e invernale ordinariamente registrata nella zona geografica ove è collocato il balcone in questione, tenuto conto del materiale con il quale è stata realizzata l’opera e delle caratteristiche costruttive della stessa, l’utilizzo a fini abitativi della corrispondente area, verosimilmente, sarebbe limitato a periodi stagionali intermedi e con temperature esterne oscillanti fra + 10° centigradi e + 24° centigradi;

c) di conseguenza la vetrata installata adempirebbe a funzioni di protezione dagli agenti atmosferici e di parziale barriera acustica rispetto ai rumori esterni e di essa si farebbe un utilizzo “temporaneo”.

Nondimeno, ad avviso del Collegio, il verificatore, pur sottolineandone l’utilizzo limitato, non ha escluso che la chiusura con vetrate dell’area corrispondente al balcone, sebbene dette vetrate siano richiudibili “a pacchetto” (come si evidenzia puntualmente dalle fotografie allegate alla relazione), costituisca un’area abitabile, per la conformazione tecnica dell’opera e per il risultato che emerge a seguito della installazione, seppure ciò è stimato che possa avvenire limitatamente in corrispondenza di alcuni periodi dell’anno.

Tali circostanze legate ad un limitato utilizzo, nel corso dell’anno, da parte del proprietario dello spazio creato dalla chiusura del balcone per mezzo di pannelli in vetro non scongiura la effettiva creazione di un volume ulteriore che, per le osservazioni e i richiami normativi e giurisprudenziali sopra riportati, impone la previa richiesta del rilascio del titolo abilitativo ai competenti uffici comunali, dovendosi badare, nella ricostruzione giuridica del bene realizzato, non ai materiali utilizzati ma all’effetto finale e alla vocazione di utilizzo dell’area trasformata grazie alle ridette installazioni, la cui capacità di essere chiuse attiene (anch’essa) alle sole modalità di utilizzo dell’opera.

E a nulla vale affermare, per sostenere il contrario rispetto a quanto sopra, la circostanza che si creino (o siano state lasciate) “fessure” d’aria tra i pannelli di vetro (nonché la circostanza per cui in occasione del sopralluogo le fessure non vi sarebbero state, in quanto erano presenti “guarnizioni lungo i lati dei vetri tali da chiudersi in maniera ermetica ed aderente tra essi”, per come è stato segnalato dal tecnico del Municipio competente presente alla verificazione) ovvero che (come ancora si legge nella relazione di verificazione) “l’opera realizzata, per le sue caratteristiche costruttive, per le prestazioni termiche della vetrazione, per la completa amovibilità della partizione tramite impacchettamento, è finalizzata a soddisfare esigenze temporanee”, atteso che il risultato finale della installazione in questione (anche visivamente, per come emerge dalle fotografie allegate alla relazione suddetta) si compendia in una reale trasformazione del balcone, con creazione di volume (seppure utilizzato in alcuni periodi dell’anno, ma per quei periodi è idoneo ad esserlo costantemente) con alterazione della sagoma dell’edificio.

8. – Le risultanze della verificazione, quindi, depongono per la infondatezza del primo e del secondo motivo di appello dedotti dall’appellante.

Quanto alla contestazione su supposti deficit procedimentali e di motivazione che minerebbero la legittimità del provvedimento ingiuntivo adottato, merita di ricordare come l’appellante sostenga (testualmente alle pagg. 25 e 26 dell’atto di appello) che “Ove esaminata alla luce di tutte le risultanze acquisite in corso di procedimento amministrativo – al quale il ricorrente, presunto trasgressore, ha attivamente e significativamente partecipato, per quanto gli è stato possibile in relazione alle censure intellegibilmente comunicate dal Comune – l’ordinanza di demolizione oggetto di impugnazione, infatti, si rivela non solo scollegata dall’effettiva consistenza dell’installazione contestata, ma, soprattutto, intimamente contraddittoria ed irrazionale nella misura in cui, ordinando il ripristino del legittimo stato dei luoghi, ha, cionondimeno ed al contempo imposto la demolizione di una struttura rientrante nella tipologia delle attività di edilizia libera, rimovibile mediante smontaggio e non demolizione”.

Parte di tale contestazione è, evidentemente, contrastante con i risultati della verificazione, per come sopra segnalato sicché va respinta; come non possono essere accolte le contestazioni aventi ad oggetto l’asserita violazione delle disposizioni recate dalla l. 241/1990 in materia di procedimento amministrativo, avendo ammesso lo stesso appellante di avervi partecipato, con la conseguenza che il rilievo che si fa all’amministrazione è soprattutto quello di non avere accolto le tesi dell’interessato, che poi – nel presente giudizio – sono state sconfessate dalla verificazione.

Inoltre, per costante orientamento giurisprudenziale che, ad avviso del Collegio, non vi è ragione di non confermarsi anche nella presente occasione, presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata realizzazione di esse in assenza o in difformità della concessione, con la conseguenza che, nella sussistenza di tale presupposto, il provvedimento costituisce atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l’accertamento dell’abusività del manufatto, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione, anche quando la sanzione sia adottata a distanza di anni dalla realizzazione dell’abuso (cfr., in argomento e di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 11 ottobre 2021 n. 6823).

Quanto, infine, all’asserito collegamento tra lo spirare del termine di efficacia di 45 giorni del provvedimento di sospensione dei lavori e la tardiva, rispetto a tale termine, adozione del provvedimento di ingiunzione a demolire, al fine di affermare la infondatezza anche di quest’ultimo profilo del quarto e ultimo motivo di appello è sufficiente ricordare che:

– il decorso del termine di quarantacinque giorni di cui all’art. 27 d.P.R. 380/2001 comporta un’unica conseguenza, ovvero l’automatica perdita d’efficacia dell’ordinanza di sospensione, senza incidere sulla persistenza in capo all’amministrazione procedente del potere sanzionatorio degli abusi commessi (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 8 settembre 2021 n. 6235);

– per l’effetto, il comune appellato, nonostante la decorrenza del termine di quarantacinque giorni dalla notificazione dell’ordinanza di sospensione, non poteva ritenersi decaduto dal potere sanzionatorio, ben potendo assumere, come nei fatti è avvenuto, l’ordinanza di demolizione delle opere abusive in concreto riscontrate;

– l’ordinanza di sospensione, una volta decorso il termine ex art. 27 d.P.R. 380/2001, non produceva più alcun effetto lesivo della sfera giuridica dell’odierno appellante (e proprietario dell’immobile in cui sono state realizzate le opere), né poteva costituire un presupposto per l’adozione di futuri provvedimenti sanzionatori, attesa la sua sopravvenuta inefficacia e, dunque, la sua inidoneità a conformare la successiva attività amministrativa.

9. – In ragione delle suesposte osservazioni i motivi di appello dedotti non si presentano fondati, il che conduce alla reiezione dell’appello proposto e alla conferma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II-bis, 20 novembre 2017 n. 11436, con la quale è stato respinto il ricorso (R.g. n. 9871/2017) proposto in primo grado.

Le spese del grado di appello seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., sicché esse vanno imputate a carico del signor xxxx e in favore del Comune di Roma Capitale, liquidandole nella misura complessiva di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge. Va inoltre imputato all’appellante il costo della verificazione alla cui liquidazione si provvederà con separato decreto una volta pervenuta la relativa notula.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 3087/2018), come indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II-bis, 20 novembre 2017 n. 11436, con la quale è stato respinto il ricorso (R.g. n. 9871/2017) proposto in primo grado.

Condanna il signor xxxx a rifondere le spese del grado di appello in favore del Comune di Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, che liquida in complessivi € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge. Lo condanna altresì al pagamento del costo della verificazione da liquidarsi con separato provvedimento.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

(omissis)

IL SEGRETARIO

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