L’obbligo di attestare la regolarità in base all’articolo 34-bis TUE esiste, tuttavia non specifica chi debba dare incarico

Fino all’emanazione della sentenza di Corte Costituzionale n. 119/2023, la normativa e giurisprudenza hanno stabilito che la compravendita di immobili gravati da uso civico è nulla per impossibilità giuridica dell’oggetto: un suolo gravato da uso civico, così come i manufatti edilizi sovrastanti, non può essere oggetto di libera commerciabilità, a prescindere da eventuali precedenti atti di compravendita, fintanto che non sia stato “sclassato” attraverso l’apposita procedura prevista dalla normativa sopra citata. A nulla sono serviti, per legittimare la proprietà e la commerciabilità, eventuali titoli abilitativi edilizi rilasciati per i manufatti costruiti, in ragione della “demanialità” delle aree gravate da usi civici. Ma c’è di più: le Regioni non possono adottare provvedimenti volti a semplificare la procedura di “sclassamento” degli usi civici, poiché si tratta di una materia rientrante nell’ambito dell’ordinamento civile e soggetta all’esclusiva potestà legislativa statale (Corte Costituzionale n. 113/2018).
L’unica procedura che consente la cessazione degli usi civici è la cosiddetta affrancazione del fondo gravato: mediante tale procedura, cessa definitivamente il diritto di uso civico a favore della collettività, realizzandosi in concreto una forma di sdemanializzazione a favore del cittadino richiedente. L’affrancazione è una procedura onerosa, che prevede il versamento di una somma da parte dell’interessato (per l’entità e i criteri di stima si rinvia alla letteratura specifica in materia).
I beni gravati da usi civici sono vincolati paesaggisticamente dal 1985: l’approvazione della legge n. 431/1985 (“Galasso”) ha ricompreso tra le aree soggette a vincolo paesaggistico anche quelle gravate da uso civico, trattandosi di un vincolo istituito per legge. Tale vincolo è stato confermato e trasposto nei successivi provvedimenti normativi, dal D.Lgs. n. 490/1999 fino all’attuale Codice dei Beni Culturali di cui al D.Lgs. n. 42/2004. Scopo e principio fondamentale di questa forma di tutela è la conservazione del valore di interesse pubblico delle aree, a fronte di eventuali interventi edilizi. L’estensione del vincolo operata dalla legge n. 431/1985 ha avuto non solo la funzione di riconoscere il valore paesaggistico dei beni tutelati, ma anche di scoraggiare e reprimere l’abusivismo edilizio. Anche se retaggio di un’epoca passata, lo scopo del vincolo è tutelare sia il valore testimoniale del passato, sia quello ambientale e culturale, comprese le stratificazioni socio-culturali che si sono susseguite nel tempo (Cass. Sez. n. 32925/2018). Ergo, nelle aree soggette a questo tipo di diritto si applicano le medesime norme e livelli di tutela previsti per altre aree vincolate, come le fasce costiere, lacustri, boschive ecc., comportando l’obbligo (o meno) di acquisire l’autorizzazione paesaggistica per eventuali interventi edilizi.
La sentenza di Corte Costituzionale n. 119 del 15 giugno 2023 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi), nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall’art. 3, comma 1, non esclude dal regime della inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati.
Si tratta di un principio importantissimo e innovatore, in quanto supera il generale regime di «inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale» dei predetti beni descritti al comma 1, ovvero:
- le terre di originaria proprietà collettiva della generalità degli abitanti del territorio di un comune o di una frazione, imputate o possedute da comuni, frazioni od associazioni agrarie comunque denominate;
- le terre, con le costruzioni di pertinenza, assegnate in proprietà collettiva agli abitanti di un comune o di una frazione, a seguito della liquidazione dei diritti di uso civico e di qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento esercitato su terre di soggetti pubblici e privati;
- le terre derivanti:
- da scioglimento delle promiscuità di cui all’articolo 8 della legge 16 giugno 1927, n. 1766;
- da conciliazioni nelle materie regolate dalla predetta legge n. 1766 del 1927;
- dallo scioglimento di associazioni agrarie;
- dall’acquisto di terre ai sensi dell’articolo 22 della medesima legge n. 1766 del 1927 e dell’articolo 9 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102;
- da operazioni e provvedimenti di liquidazione o da estinzione di usi civici; da permuta o da donazione;
- le terre di proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati;
- le terre collettive comunque denominate, appartenenti a famiglie discendenti dagli antichi originari del luogo, nonché le terre collettive disciplinate dagli articoli 34 della legge 25 luglio 1952, n. 991, 10 e 11 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, e 3 della legge 31 gennaio 1994, n. 97;
- i corpi idrici sui quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici.
La Corte costituzionale ha spiegato nella sentenza n. 119/2023 che, qualora un fondo privato venga alienato prima della liquidazione o affrancazione degli usi civici che lo gravano, la sua destinazione originaria resta comunque tutelata. Ciò è garantito sia dalla natura giuridica degli usi civici come diritti reali su cosa altrui, sia dalla persistenza del vincolo paesaggistico. Di conseguenza, non sussiste un espresso divieto di alienazione del bene, e ciò si desume dalla sentenza in cui è stato affermato che:
«i diritti di uso civico in re aliena, pur non riconducibili ad alcuno dei diritti reali tipizzati dal legislatore codicistico, presentano i tratti propri della realità: l’inerenza e lo ius sequelae, l’immediatezza e l’autosufficienza, l’assolutezza e l’opponibilità erga omnes. Sono, dunque, proprio i caratteri tipici della realità a rendere la tutela e l’esercizio dei diritti di uso civico del tutto indifferenti alla circolazione del diritto di proprietà: gli usi civici seguono il fondo, chiunque ne sia titolare, grazie all’inerenza, e i componenti della collettività continuano a poter esercitare tutte le facoltà che gli usi civici conferiscono loro, essendo il diritto immediatamente opponibile a chiunque.»
Pertanto per questi particolari aree si viene ad attenuare un pesante freno alla loro commerciabilità.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare CONTATTI E CONSULENZE
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